Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-11-2012) 23-01-2013, n. 3396

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. D.P.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal giudice in sede di esecuzione con cui è stata rigettata la richiesta di annullamento della sentenza del Tribunale di Pavia in data 30 giugno 1981, confermata dalla Corte d’appello di Milano in data 16 marzo 1982, irrevocabile il 7 maggio 1984, data in cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, ed ha disposto ai sensi dell’art. 130 c.p.p. la rettifica del nome del condannato nell’intestazione della sentenza del Tribunale di Pavia in data 30 giugno 1981, e, a seguire in quella della Corte d’appello di Milano in data 16 marzo 1982 e della corte di cassazione in data 7 maggio 1984, là dove recano erroneamente il nome " D.G. P." in quello di " D.P.G.".

A sostegno dell’impugnazione il ricorrente ha dedotto:

a) Nullità ai sensi dell’art. 130 c.p.p., in combinato disposto con gli artt. 179 e 546 c.p.p. della sentenza n. 221/1981 del Tribunale di Pavia pronunciata a carico di D.G.P..

Il ricorrente lamenta che in base agli atti del procedimento non è stato mai individuato con il corretto nome anagrafico " D. P.G.", con la conseguenza che la sentenza è stata emessa a carico di " D.G.P.". Tale circostanza, non corretta con la procedura dell’errore materiale avrebbe dovuto comportare la declaratoria di nullità della sentenza. Erroneamente invece il giudice in sede di esecuzione ha rigettato la richiesta di annullamento della sentenza del Tribunale di Pavia in data 30 giugno 1981, confermata dalla Corte d’appello di Milano in data 16 marzo 1982, irrevocabile il 7 maggio 1984, data in cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, ed ha disposto ai sensi dell’art. 130 c.p.p. la rettifica del nome del condannato nell’intestazione della sentenza del Tribunale di Pavia in data 30 giugno 1981, e, a seguire in quella della Corte d’appello di Milano in data 16 marzo 1982 e della corte di cassazione in data 7 maggio 1984, là dove recano erroneamente il nome " D.G.P." in quello di " D.P.G.".

In data 13 novembre 2012 è pervenuta in Cancelleria una memoria a firma del ricorrente peraltro completamente eccentrica rispetto ai motivi del ricorso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

Osserva la Corte che correttamente sia stata attivata la procedura della correzione dell’errore materiale da parte del giudice dell’esecuzione, in quanto non vi è mai stata incertezza in ordine all’identità fisica del prevenuto. Come correttamente ritenuto nel provvedimento impugnato la inversione dell’ordine dei nomi è frutto di un semplice errore materiale commesso nella redazione grafica della intestazione della sentenza non essendovi alcun dubbio, in base alla documentazione presente agli atti, sulla riferibilità dell’attività giurisdizionale e dei provvedimenti finali, all’odierno ricorrente, anche in base alle dichiarazioni dallo stesso rilasciate in sede di udienza fissata ai sensi dell’art. 127 c.p.p. e al mandato conferito ai suoi difensori in sede di appello e di ricorso per cassazione.

Correttamente dunque è stato fatto riferimento alla disciplina prevista dall’art. 66 c.p.p., u.c., concernente l’ipotesi di semplice attribuzione di erronee generalità, situazione emendabile attraverso la procedura prevista dall’art. 130 c.p.p.. Infatti la incertezza nella individuazione anagrafica, nella certezza che si trattava della stessa persona anche in forza delle sue stesse dichiarazioni, prevede sempre la possibilità di procedere alla rettifica delle generalità dell’imputato, erroneamente attribuite, nelle forme di cui all’art. 130 c.p.p., (v,. Cass. 5 febbraio 1999, Nghiae, CED, n. 212623;

Cass., Sez. 1, 6 dicembre 2007, n. 3949/2008, Scatola, CED, n. 238376).

2. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

3. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e dell’ulteriore somma di Euro 500,00 considerati profili di colpa emergenti dal ricorso, da versarsi alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 500,00 alla Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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