Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-07-2012, n. 11790

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 4.7.07 la Corte d’appello di Catania rigettava il gravame interposto da D.V.V. contro la pronuncia del Tribunale di Ragusa che ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere, previa dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro intercorso con Poste Italiane S.p.A. dal 2.3.01 al 31.5.01, la conversione del rapporto in uno a tempo indeterminato, con condanna della società a reintegrarla in servizio e a pagarle le retribuzioni maturate medio tempore.

Statuivano i giudici di secondo grado che, pur nella specie non ravvisabile una risoluzione per mutuo consenso per fatti concludenti desunti dalla prolungata inerzia della lavoratrice prima di attivarsi in sede giudiziaria per ottenere la riammissione in servizio (come, invece, ritenuto dal Tribunale), nondimeno nel caso di specie il termine era stato legittimamente apposto ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre la D.V. affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso Poste Italiane S.p.A., che a sua volta propone ricorso incidentale articolato in tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378c.p.c..
Motivi della decisione

1- Preliminarmente ex art. 335 c.p.c., vanno riuniti i ricorsi perchè entrambi aventi ad oggetto la medesima sentenza.

2- Ancora in via preliminare va dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale con il quale Poste Italiane S.p.A. si duole, sotto plurimi profili, della motivazione della sentenza d’appello che, pur rigettando per altro verso la domanda della lavoratrice, non ha accolto l’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso desumibile da fatti concludenti.

Osserva questa S.C. che il ricorso incidentale è precluso – per difetto di interesse ex art. 100 c.p.c. – alla parte totalmente vittoriosa nel precedente grado (come Poste Italiane S.p.A., nel caso di specie).

Invero, il ricorso incidentale per cassazione presuppone pur sempre la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che nel giudizio di appello sia risultata completamente vittoriosa;

quest’ultima, del resto, non ha l’onere di riproporre in sede di legittimità le domande e le eccezioni non accolte o non scrutinate dal giudice d’appello, poichè l’eventuale accoglimento del ricorso principale comporta la possibilità che esse siano riesaminate nel giudizio di rinvio (cfr., e pluribus, Cass. Sez. 3^ 25.5.10 n. 12728;

Cass. Sez. 3^ 10.12.09 n. 25821; Cass. Sez. 1^ 18.10.06 n. 22346).

Nè, ovviamente, un ricorso per cassazione può essere proposto al solo fine di ottenere una correzione della motivazione della sentenza (cfr., ex aliis, Cass. 12.9.2011 n. 18674; Cass. 2.7.07 n. 14970;

Cass. 29.3.05 n. 6601; Cass. 16.7.01 n. 9637; Cass. 9.9.98 n. 8924 ed altre ancora), correzione che – per altro – se del caso può essere effettuata anche d’ufficio da questa S.C. ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c..

3- Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta vizio di motivazione in ordine all’eccepita violazione dei principi generali di cui alla L. n. 230 del 1962, in particolare in ordine alla circostanza dell’apposizione del termine non per ragioni di carattere straordinario od occasionale, ma per sopperire ad una cronica carenza di personale appartenente all’area operativa.

Con il secondo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 1175, 2697 e 1431 c.c..

Con il terzo motivo si deduce violazione ed erronea applicazione degli artt. 1217, 1223 c.c., art. 1453 c.c., e segg. e art. 1460 c.c., in ordine alle conseguenze economiche della nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro de quo.

Osserva questa S.C. che tutti e tre i motivi sono inammissibili.

Quanto al dedotto vizio di motivazione, esso si colloca all’esterno dell’area dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che il vizio di motivazione spendibile mediante ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacchè quella in diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione (v. art. 384 c.p.c., u.c.), senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire.

Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata sia corretta ancorchè malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione.

Dunque, il motivo deve – in realtà – intendersi come sostanzialmente finalizzato a dedurre violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ma sotto tale forma risulta inammissibile perchè privo di adeguato quesito ex art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis, vista la data di deposito dell’impugnata sentenza), tale non potendo considerarsi l’apodittica e generica affermazione, che figura in calce al ricorso della D.V., della violazione dell’art. 25 CCNL del 2001 e della L. n. 230 del 1962.

E’ appena il caso di rilevare che alla ricorrente non gioverebbe neppure ritenere la doglianza come avente ad oggetto un vizio di motivazione propriamente detto: infatti, essendo stato formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ex art. 366 bis c.p.c., il motivo si sarebbe dovuto concludere, per costante giurisprudenza di questa S.C., con un momento di sintesi del fatto controverso e decisivo, per circoscriverne puntualmente i limiti in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr., ex aliis, Cass. S.U. 1.10.07 n. 20603; Cass. Sez. 3^ 25.2.08 n. 4719; Cass. Sez. 3^ 30.12.09 n. 27680), momento di sintesi che – invece – nel ricorso della D.V. manca del tutto.

In ordine, poi, al secondo e al terzo motivo di censura, gli stessi – oltre che del tutto privi di quesito – si palesano irrilevanti perchè non concernenti la ratio decidendi spesa dall’impugnata sentenza.

4- In conclusione, entrambi i ricorsi sono inammissibili.

La reciproca soccombenza induce a compensare per intero fra le parti le spese del giudizi di legittimità.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili. Compensa per intero fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2012

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