Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-11-2012) 11-01-2013, n. 1435

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza, in data 16 aprile 2012, del Tribunale di Milano, sez. Riesame, n. 617 del 2012, con la quale è stato rigettato il ricorso avverso il rigetto da parte del Gip del Tribunale di Monza, delle istanze di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari.

A sostegno del ricorso il ricorrente ha dedotto:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) per mancanza e manifesta illogicità e contraddittorietà di motivazione.

Lo S. chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata in relazione alla dedotta impossibilità da parte del Tribunale del riesame di valutare positivamente la possibilità di fruizione della misura meno afflittiva degli arresti domiciliari, soprattutto in relazione alla ritenuta inattendibilità delle dichiarazioni difensive dello S., inidonee quindi ad escludere una trattativa per l’acquisto della mercè di provenienza delittuosa.

Il vizio dell’illogicità e della contraddittorietà della motivazione viene sollevato anche in relazione alla sussistenza delle esigenze cautelari in cui si contesta la ritenuta sussistenza del pericolo di reiterazione del reato; tale evenienza è stata collegata esclusivamente ai precedenti dello stesso ricorrente, obliterando ogni valutazione in ordine alla concretezza di tale pericolo, legato ad un reato relativo alla ricettazione di beni del valore di poche centinaia di Euro, rispetto al quale è stata effettuata un’offerta reale di risarcimento del danno pari a 2500,00 Euro.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. Il Tribunale ha spiegato con coerenza logico giuridica le ragioni in base alle quali devono ritenersi tuttora sussistenti le esigenze cautelari in ordine al reato contestato, anche in considerazione della complessiva attività dell’indagato, tuttora al vaglio degli inquirenti, con riferimento alle notevoli quantità di altro materiale di cui è foltissima la probabilità della provenienza delittuosa. Correttamente da tali circostanze il Tribunale ha tratto i gravissimi indizi di una abituale e stabile attività di ricettazione da parte del ricorrente, di cui l’episodio specifico in contestazione fornisce specifica evidenza, in considerazione delle modalità di ricezione della merce, della condotta assunta dai trasportatori al momento dell’intervento, del contegno tenuto dallo stesso S., dell’assenza di documentazione attestante la provenienza lecita dei beni.

Correttamente la figura dello S. è stata inserita all’interno di un quadro di elementi probatori che devono essere valutati non in maniera frazionata, ma complessivamente, al fine di una ricostruzione quanto più attendibile della vicenda criminosa in esame. Il tribunale, nella valutazione degli elementi posti a base della sua decisione, procede necessariamente allo scrutinio dei gravi precedenti penali del ricorrente, sottolineando come lo stesso non abbia evidenziato elementi di resipiscenza rispetto ai percorsi riabilitativi di cui ha potuto godere, e che rende trascurabile l’offerta effettuata di risarcimento del danno. Tali considerazioni sono tutte puntualmente elencate nell’ordinanza in questione. E il collegio sottolinea proprio come tali circostanze facciano ritenere al Tribunale ancora concreta ed attuale la pericolosità dello S.. Tali elementi sono apparsi idonei al tribunale a rendere possibile una recidivanza dell’attività criminosa. Peraltro la necessità di mantenere la più afflittiva d elle misure cautelari rispetto alla decorrenza del tempo trascorso in carcere e all’entità del fatto appare correttamente motivato anche alla luce del riferimento del principio affermato dalle SS.UU., secondo il quale il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, tanto al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, che per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale (Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011 – dep. 22/04/2011, P.M. in proc. Khalil, Rv. 249324), come è avvenuto nel caso di specie.

Alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura di altri elementi di fatto rispetto a quelli posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti medesimi, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito (ex plurimis: Cass. 1 ottobre 2008 n. 38803). La Corte non deve accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546; Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380).

Nella specie, lo S. si limita a proporre una lettura riduttiva degli elementi di fatto posti a base del provvedimento di rigetto, valorizzando in modo esponenziale gli aspetti favorevoli, che, in ogni caso, non hanno una capacità di introdurre elementi di giudizio tali da rendere assolutamente illogica la valutazione operata dal Tribunale. Appare evidente che queste doglianze danno luogo a censure che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità.

3. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara l’inammissibilità del ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di Euro 1000,00 in considerazione dei profili di colpa emersi.

Si comunichi alla cancelleria ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,p0 alla Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti ai sensi dell’art. 14 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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