Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-07-2012, n. 11781 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 28 giugno 2006 la Corte d’Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Milano del 27 febbraio 2004 con la quale era stata dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro fra la Poste Italiane s.p.a. e M.S. in data 16 novembre 1999 ed era stata dichiarata la natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto, e la società era stata condannata al pagamento delle retribuzioni per i periodi non lavorati. La Corte territoriale ha motivato tale sentenza considerando che il contratto in questione è stato stipulato dopo lo spirare del termine massimo di vigenza della contrattazione collettiva che autorizzava le ipotesi ulteriori di apposizione del termine ai contratti con le Poste Italiane ai sensi della L. n. 56 del 1987, art. 23.

Poste Italiane propone ricorso avverso tale sentenza articolandolo in cinque motivi.

Resiste con controricorso il M..

La ricorrente ha presentato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta contraddittoria motivazione riguardo all’ambito temporale in cui è consentito alla società di assumere a termine ai sensi dell’accordo 25 settembre 1997, deducendosi che la stessa Corte d’Appello avrebbe affermato l’esistenza di un’ampia delega alle parti per la conclusione dei contratti a termine.

Con secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, e della L. n. 56 del 1987, art. 23, assumendosi che da tale norma non si evincerebbe nessun limite temporale per la stipula dei contratti a termine.

Con terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della Ol n. 56 del 1997, art. 23, art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, nonchè degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, 18 gennaio 1998, 27 aprile 1998, 2 luglio 1998 e 18 gennaio 2001 in connessione con gli artt. 1362 e segg. cod. civ., con riferimento alla mancanza di un limite temporale alla possibilità di stipulare contratti di lavoro a termine.

Con quarto motivo si lamenta insufficiente motivazione con riferimento ai motivi che hanno dato luogo all’assunzione a termine.

Con quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094, 2099 e 2697 cod. civ. nonchè della L. n. 300 del 1970, art. 18 con riferimento al risarcimento commisurato a tutte le retribuzioni per i periodi non lavorati, anzichè dall’effettiva ripresa del servizio, non potendosi applicare la disciplina dei licenziamenti non vertendosi in tale ipotesi.

MOTIVI DELLA DECISIONE I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente riferendosi tutti alla previsione di un limite temporale della possibilità di stipulare contratti a termine.

Osserva il Collegio che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, in data successiva al 30 aprile 1998 (e anteriormente alla operatività del CCNL del 2001), in epoca cioè in cui "era venuta meno la contrattazione autorizzatoria". Tale considerazione, in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001), è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo. Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di "delega in bianco" a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato" (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, "in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit).

Tanto basta per respingere i motivi di ricorso in esame relativi tutti al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a termini delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto de quo.

In ordine al quinto motivo ne va rilevata l’inammissibilità per l’inidoneità del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.. Osserva il Collegio che il quesito in questione risulta del tutto astratto e privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta, in quanto si risolve soltanto nella mera enunciazione astratta del principio invocato dalla ricorrente, senza enucleare il momento e le ragioni di conflitto rispetto ad esso del concreto accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. Cass. 4-1- 2011 n. 80 e Cass. 29-4-2011 n. 9583, nonchè, in particolare sul medesimo quesito, Cass. 7-4-2011 n. 7955, Cass. 1-9-2011 n. 17975).

Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. In particolare "deve comprendere l’indicazione sia della "regola iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo" e "la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile" (v. Cass. 30-9-2008 n. 24339, v. anche Cass. 20-6-2008 n. 16941).

Del resto è stato anche precisato che "è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie" (v.

Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr, Cass. 7-4-2009 n. 8463).

Mancando tali elementi il quesito in esame deve ritenersi inammissibile.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 26 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2012

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