Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-11-2012) 19-12-2012, n. 49325

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Catania confermò l’ordinanza emessa il 13.2.2012 dal Gip del tribunale di Catania, che aveva applicato a M.S.D. la misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai reati di detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente tipo marijuana e di detenzione illegale di arma comune da sparo.

La droga e l’arma erano state rinvenute in casa di M. C., zio del ricorrente e sottoposto agli arresti domiciliari, ed era stato ritenuto che esistevano gravi indizi di colpevolezza per qualificare la condotta del M. come di concorso nei reati suddetti.

L’avv. M. B.i, per conto dell’indagato, propone ricorso per cassazione deducendo:

1) mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. Osserva che il tribunale del riesame ha errato nell’affermare che il M., al momento dell’arrivo dei carabinieri, si trovava di guardia di fronte all’ingresso dell’abitazione, in quanto lo stesso si trovava invece affacciato al balcone sito al piano rialzato a guardare fuori. Il medesimo, inoltre, non si precipitò all’interno gridando per avvertire dell’arrivo dei carabinieri, ma si limitò ad avvisare della loro venuta con voce normale. Lamenta che comunque, da tali elementi, non può dedursi la sua consapevolezza della detenzione della droga e dell’arma da parte dello zio e tanto meno il suo concorso nei reati di detenzione contestati.

2) mancanza di motivazione sulla sussistenza delle esigenze cautelari e sulla necessità di applicare la custodia cautelare in carcere.
Motivi della decisione

Il primo motivo è infondato avendo il tribunale del riesame fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza sul fatto che il Ma. era pienamente consapevole della detenzione in casa di droga ed arma da parte dello zio e che avesse concorso nei reati contestati avendo dato un rilevante contributo alla detenzione stessa e non essendosi invece limitato ad una mera attività di favoreggiamento.

Quanto alla circostanza che il ricorrente si trovasse affacciato al balcone invece che davanti alla porta d’ingresso, come affermato dai verbalizzanti, la stessa è irrilevante, dal momento che dallo stesso ricorso e dai documenti allegati emerge che il balcone si trovava a piano rialzato e si estendeva sino alla porta di ingresso, sicchè le due versioni in sostanza coincidono.

In ogni modo, l’ordinanza impugnata si fonda anche su un altro elemento – di per sè decisivo e anch’esso sostanzialmente non smentito nel ricorso – ossia sul fatto che alla vista dei carabinieri il M., anzichè accompagnarli all’interno o aprire loro la porta per consentire loro di eseguire il normale controllo dello zio, detenuto agli arresti domiciliari, ebbe una reazione inconsulta, gridando e precipitandosi ad avvertire celermente il M. C. e gli altri soggetti presenti in casa. Il che, appunto, non trovava altra giustificazione se non nell’assolvimento del compito di vedetta che stava svolgendo.

Del tutto plausibilmente e con motivazione congrua, pertanto, il tribunale ha ritenuto che tale comportamento del ricorrente dimostra non solo la sua piena consapevolezza della illecita detenzione da parte dello zio della marijuana e della pistola rinvenute in casa, ma anche che egli aveva dato un apporto eziologicamente rilevante al M. C. nei delitti di illecita detenzione contestati.

E’ infondato anche il secondo motivo, perchè l’ordinanza impugnata contiene congrua ed adeguata motivazione in ordine alle esigenze cautelari, avendo osservato che il pericolo di recidivanza specifica emergeva dalla pluralità delle condotte contestate, dalla capacità criminale del ricorrente e dalla non occasionalità della condotta, evincibile dai suoi precedenti penali anche recenti, e che l’unica misura adeguata era la custodia cautelare in carcere perchè il M. ben avrebbe potuto proseguire le attività illecite all’interno della abitazione utilizzando un modulo organizzativo già sperimentato personalmente in casa dello zio.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 20 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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