Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-11-2012) 19-12-2012, n. 49323

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.G., a mezzo dell’avv. M. M., propone ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal giudice del tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, quale giudice dell’esecuzione, in data 19 dicembre 2011, che aveva rigettato l’istanza di revoca (o in subordine di sospensione) dell’ordine di demolizione di cui alla sentenza dello stesso tribunale del 3/12/2009, divenuta irrevocabile in data 28-5-2010, con riferimento a reati di abuso edilizio commesso nel comune di Ischia, completamente assoggettato a vincolo paesaggistico.
L’ordinanza impugnata si fonda sulle seguenti considerazioni:
– la tipologia delle opere (realizzate in zona vincolata, non costituenti restauro o risanamento conservativo nè manutenzione straordinaria, comportanti un evidente incremento volumetrico) non ne consente il condono, cosicchè difettano i presupposti per la revoca o la sospensione dell’esecuzione dell’ordine di demolizione;
– La pendenza di un procedimento amministrativo o giurisdizionale non comporta automaticamente la sospensione dell’ordine di esecuzione, dovendo il giudice effettuare una valutazione prognostica dei tempi di definizione e dei possibili esiti della procedura pendente.
Il ricorrente deduce:
1) Violazione, ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), della legge penale e segnatamente della L. n. 471 del 1985, art. 38 e D.L. n. 269 del 2003, art. 32, sotto i seguenti profili:
a) il versamento dell’oblazione in misura congrua in funzione dell’accoglimento della proposta domanda di condono edilizio produce l’estinzione dei reati edilizi, cosicchè, nella fase esecutiva, determina la revoca dell’ordine di demolizione. A sostegno di tale affermazione menziona varia giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione (ordinanza Corte Cost. 12-3-1998, n. 56, sent. cass. pen., sez. 3^, 24-3-1993; Cass. Ss.uu., 12-10-1993; sent.
Corte Cost. n. 196 del 2004);
b) secondo un consolidato orientamento, affermatosi nella giurisprudenza amministrativa di merito, anche gli abusi realizzati in zona sottoposta a vincolo L. n. 47 del 1985, ex art. 32 sono suscettibili di sanatoria;
2) violazione del contraddittorio in quanto l’ordine d’ingiunzione non era stato notificato ai proprietari, ma esclusivamente all’autore dell’abuso;
3) illegittimità del titolo esecutivo per sua genericità e contraddittorietà di contenuto.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Quanto ai rilievi di carattere formale, va invero considerato:
– che "In tema di esecuzione dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo, la omessa notifica dello stesso al comproprietario del bene non comporta alcuna nullità, atteso che questi non è portatore di un interesse giuridicamente rilevante a dedurre una nullità che riguarda un altro soggetto, non rimanendo escluso il suo diritto di interloquire nel procedimento di esecuzione, facendo valere in tale sede le proprie eccezioni difensive" (Sez. 3^, 21.10.2009, n. 47281, Arrigoni, m. 245404; Sez. 3^, 23.1.2003, n. 9225, Petrocchi, m.
224174).
– che l’ingiunzione di demolizione fa riferimento alle opere descritte nel capo di imputazione in quanto consistenti nell’abuso edilizio, per il quale la sentenza di condanna disponeva la demolizione con rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
Esattamente l’ordinanza impugnata osserva che è irrilevante che nel dispositivo si parli di demolizione "dell’opera" mentre i manufatti sono due, essendo evidente che l’ordine di demolizione riguarda entrambi i manufatti per i quali è intervenuta condanna, dovendosi peraltro il singolare riferire all’opera complessivamente intesa.
Quanto alle censure di merito e di violazione di legge con riferimento all’omessa corretta valutazione dell’oblazione, il motivo è manifestamente infondato, avendo il giudice fatto puntuale ed esatta applicazione dei consolidati principi fissati da questa Corte, secondo cui, in materia edilizia, "La realizzazione, in area assoggettata a vincolo paesaggistico, di nuova costruzione in assenza di permesso di costruire non è suscettibile di sanatoria ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32 " (Sez. 3^, 17.2.2010, n. 16471, Giardina, m. 246759); "il D.L. n. 269 del 2003, art. 32, comma 2, esclude la possibilità di sanatoria per condono in zone assoggettata a vincolo paesaggistico degli abusi di carattere sostanziale e, cioè, di quelli non conformi alle norme urbanistiche ed alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti al momento della presentazione dell’istanza di condono" (Sez. 3^, 12.1.2007, n. 6431, Sicignano, m. 237320); "In tema di abusi edilizi commessi in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, la disciplina dettata dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32 (conv. con modd. in L. 24 novembre 2003, n. 326) esclude del tutto l’applicazione del condono edilizio per gli abusi edilizi maggiori (nuove costruzioni o ristrutturazioni edilizie), mentre, per gli abusi edilizi minori (interventi di restauro, risanamento conservativo o manutenzione straordinaria) lo consente a condizione che questi ultimi siano conformi alle norme urbanistiche ovvero alle prescrizioni degli strumenti urbanistici" (Sez. 3^, 11.4.2007, n. 35222, Manfredi, m. 237373); "In materia edilizia, le nuove opere realizzate in assenza di concessione e su area assoggettata a vincolo imposto a tutela degli interessi paesistici non possono ottenere la sanatoria prevista dal D.L. 30 settembre 2003, n. 326, art. 32 convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2003" (Sez. 3^, 3.10.2006, n. 38113, De Giorgi, m.
235033).
In sostanza, il principio consolidato è che, in materia edilizia, le opere abusive realizzate in aree sottoposte a vincolo a tutela degli interessi idrogeologici, ambientali e paesistici possono ottenere la sanatoria ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 32, commi 25, 26 e 27, convertito con L. 24 novembre 2003, n. 326, solo per gli interventi edilizi di minore rilevanza (corrispondenti alle tipologie di illecito di cui ai nn. 4, 5 e 6 dell’Allegato 1; restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria), che siano conformi agli strumenti urbanistici (abusi formali), e previo parere favorevole dell’autorità preposta al vincolo. Sicchè sono escluse dal condono tutte le nuove costruzioni quale è quella oggetto del presente processo il realizzate, in assenza o in totale difformità dal titolo edilizio in zona assoggettata ad uno dei suddetti vincoli (cfr. anche, ex plurimis, Sez. 3^, 10.5.2005, n. 33297, Palazzi, m.
232186; Sez. 3^, 11.6.2008, n. 37273, Carillo; Sez. 3^, 26.10.2007, n. 45242, Tirelli; Sez. 3^, 24.3.2009, Marra, m. 244025; Sez. 3^, 18.1.2011, Scotto di Clemente).
Non è poi esatto l’assunto della ricorrente che la Corte costituzionale avrebbe chiarito, con riferimento agli abusi in aree vincolate, che la sanabilità delle opere realizzate in area vincolata è da escludere solo se si tratti di vincolo di inedificabilità assoluta (divieti di edificazione o prescrizioni di inedificabilità L. 28 febbraio 1985, n. 47, ex art. 33) e non anche nella diversa ipotesi di vincolo di inedificabilità relativa. E difatti, la sentenza n. 54 del 2009 ha dichiarato illegittima una norma regionale che prevedeva il divieto di sanare le opere abusive edificate su aree sottoposte a vincoli di tutela solo quando questi ultimi "comportino l’inedificabilità assoluta", e ciò perchè il D.L. n. 269 del 2003, art. 32, comma 27, lett. d), "attribuisce effetto impeditivo della sanatoria ad ulteriori vincoli, che la norma impugnata … avrebbe invece l’effetto di vanificare". E con la successiva ord. n. 150 del 2009 la Corte costituzionale ha espressamente affermato che il principio enunciato da questa Corte (secondo cui entro le aree vincolate possono beneficiare del condono le sole opere di restauro e risanamento conservativo, nonchè di manutenzione straordinaria, nei casi indicati nell’Allegato 1 al D.L. n. 269 del 2003, punti 4, 5 e 6) "appare del tutto conforme alla lettera della disposizione impugnata", precisando inoltre che è erronea una interpretazione della giurisprudenza costituzionale nel senso che i vincoli preclusivi della sanatoria debbano essere esclusivamente quelli che prevedano una inedificabilità assoluta, "atteso che la sentenza n. 54 del 2009 ha chiarito come tali vincoli non debbano necessariamente comportare l’inedificabilità assoluta".
Non può poi essere disposta in sede di esecuzione la sospensione dell’ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna in attesa della definizione della procedura relativa al rilascio della concessione in sanatoria qualora l’opera non rientri tra quelle condonabili, come si verifica nella specie (Sez. 3^, 16.11.2004, De Vito, m. 230798).
In sostanza, trattandosi di opere non sanabili ai sensi del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni nella L. 24 novembre 2003, n. 326, è totalmente irrilevante la domanda di condono presentata dal ricorrente come il pagamento dell’oblazione autodeterminata.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi, che contrastano con una giurisprudenza consolidata senza apportare argomentazioni nuove.
In applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 20 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2012

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