Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 20-11-2012) 17-12-2012, n. 49059

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I.F. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso l’ordinanza 23.2.12 del Tribunale del riesame di Catanzaro che ha confermato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal locale g.i.p. il 12.1.12 per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. (capo 1), per aver partecipato ad una associazione di tipo mafioso, operante in G. e comuni limitrofi, dagli anni ’80 fino ad oggi, denominata "XXX".
Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata ordinanza, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), per essere la motivazione del provvedimento da considerare estremamente generica, come generiche erano state le dichiarazioni dei collaboratori, risoltesi in aspecifiche ed imprecise asserzioni di condotte disomogenee.
Il tribunale – prosegue la difesa – era ricorso all’adozione di criteri valutativi fortemente condizionati dall’autoreferenzialità di ciascuna delle chiamate utilizzate ed in particolare di quelle dei collaboratori L.F., T.E. e G.B., i quali, proprio in quanto intranei alla cosca, avrebbero dovuto offrire elementi indiziari ulteriori e di maggiore pregnanza, sia con riferimento alla genesi della struttura associativa che alla indicazione degli accadimenti successivi al 2002, allorchè si era assunta la prevalenza della fazione denominata degli "XXX", di cui l’ I. era stato ritenuto partecipe pur senza effettivi, utilizzabili e riscontrabili indizi descrittivi di condotte sintomatiche ovvero di contegni univocamente rapportabili a compromissione associativa.
Sia T.E. che G.M., pur indicando l’ I. quale appartenente al "gruppo XXX", non avevano fornito elementi idonei a circostanziare quanto riferito, laddove era da escludere l’incidenza indiziaria della dichiarazione resa dal T. l’1.10.09, circa la partecipazione di I.F. ad una rapina avvenuta in (OMISSIS), in quanto dalla relativa imputazione l’odierno ricorrente era stato assolto con sentenza 22.3.01 della Corte di appello di Catanzaro.
Quanto a L.F. – conclude il ricorrente -, nel corso dei suoi interrogatori del 9.11.09 e del 15.1.10, aveva riferito di aver appreso per lettera, durante la detenzione, da Ga.An. e T.G., anch’essi detenuti, che il capo della "XXX" era A.; che I. ed altri controllavano il territorio e che lo stesso I. ed E.B. erano stati i responsabili dell’uccisione di L.G. e L.V., ma il tribunale non aveva considerato l’indeterminatezza della fonte di conoscenza, prossima alla "voce corrente", la cui efficacia probatoria doveva ritenersi preclusa dalle regole poste a presidio dei meccanismi di acquisizione e valutazione del riferito, alla luce del disposto di cui agli artt. 195 e 210 c.p.p.. Osserva la Corte che il ricorso deve essere rigettato in quanto infondato.
Ricordato come il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), legittima il ricorso per cassazione in tema di misura cautelari personali deve risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato, il che significa che solo l’assoluta carenza sul piano logico dell’iter argomentativo seguito dal giudice può avere rilievo in sede di legittimità, senza che lo possa la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter in tesi egualmente corretti sul piano logico (v. Sez.un., 15 febbraio 1996, n.41), per cui alla Corte di cassazione, allorchè sia denunciato vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad essa ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza (v. Sez.un., 22 marzo 2000, n. 11), oltre che all’esigenza di completezza espositiva (Cass., sez. 6, 1 ottobre 2008, n.40609), rileva la Corte che nell’ordinanza impugnata non si rinvengono profili di incongruenza della motivazione in tema di gravità indiziaria concernente l’ipotesi di reato per la quale è stata emessa la misura della custodia cautelare in carcere a carico di I.F.. Va anzitutto rilevato come non sia in discussione l’esistenza e l’operatività della cosca detta "’XXX dell’XXX", operante, nell’ambito della più vasta associazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, nella zona di (OMISSIS) dove è appunto ubicata la frazione "XXX" da cui il gruppo malavitoso prende il nome, il cui vertice risulta permanentemente rappresentato da A.A., "capo-società" della "locale" e come tale insignito dalla ‘ndrangheta del titolo di "santa". Gli esiti dell’attività intercettativa e soprattutto le fonti dichiarative hanno consentito – ha evidenziato il tribunale del riesame – di comprendere le dinamiche associative che fino al 1988 vedevano le famiglie "XXX" rappresentare un unico contesto criminale, al quale era poi seguita una faIDA che aveva coinvolto le due famiglie e portato all’uccisione di diversi componenti la famiglia Maiolo, la quale ultima era stata poi in grado di proseguire lo scontro armato solo schierandosi con il gruppo "XXX", pure contrapposto a quello dei XXX, per dar vita ad una rappresaglia sfociata nel (OMISSIS) nell’uccisione dei fratelli L.V. (classe (OMISSIS)) e G., quindi, nel (OMISSIS), nell’agguato a T.V. (attuale collaboratore di giustizia) che rimaneva gravemente ferito, e poi nell’uccisione di Ga.
F., Ga.Gi. e B.S., dopo che, nell’estate del (OMISSIS), erano stati uccisi M.R. e F. R..
L’odierno ricorrente, pertanto, è stato raggiunto indiziariamente, con riferimento al reato di cui all’art. 416 bis c.p., dalle propalazioni accusatorie di T.E. – intraneo al sodalizio criminoso, la cui attendibilità è stata adeguatamente argomentata dal tribunale del riesame – , nonchè da quelle di G.M., anch’egli partecipe della cosca in argomento e sulla cui attendibilità non sono stati mossi rilievi di sorta, e dalle dichiarazioni anche di L.F., altro partecipe del sodalizio criminoso il quale, benchè detenuto dal 1994, era a conoscenza del ruolo svolto dall’ I., indicato come facente parte dell’articolazione militare della "locale XXX" capeggiata da E.B..
T.E. ha poi offerto elementi di dettaglio alla chiamata di correo, delineando il ruolo di I. in maniera convergente a quello indicato dal L., cioè come persona strettamente legata ai fratelli E., essendo anche il cognato di E.B. (parentela riferita anche da G.M. nell’indicare l’ I. quale facente parte del "gruppo"), aggiungendo significativamente che l’odierno ricorrente era stato "battezzato" alla presenza di esso T..
Il complessivo quadro indiziario è pertanto correttamente stato ritenuto dai giudici territoriali caratterizzato da quella gravità necessaria, alla luce della convergenza delle chiamate in correità, nessuna delle quali qualificabili come de relato, che ha reso legittimi l’applicazione e il mantenimento della più grave delle misure cautelari a carico dell’odierno ricorrente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda la cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2012

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