Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-11-2012) 07-12-2012, n. 47651

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Con la decisione impugnata, la Corte d’appello ha confermato l’assoluzione pronunciata, ex art. 530 c.p.p., comma 2, nei confronti del ricorrente per l’accusa di avere violato la L. n. 638 del 1983, art. 2, conseguente al mancato versamento delle trattenute operate a fini previdenziali.

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, il P.G. ha proposto ricorso deducendo:

1) erronea applicazione della legge penale per mancanza di motivazione (art. 606 c.p.p., lett. b)). Ed infatti, il ricorrente fa notare che, sia pure ex art. 530 cpv. c.p.p., il Tribunale aveva assolto l’imputato sulla base della pretesa mancanza di prova certa circa la effettiva corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti. Osserva il P.G. che, già con l’atto di appello, era stato evidenziato che tale prova avrebbe potuto desumersi dai modelli DM10 come da copiosa giurisprudenza conforme a riguardo ma la Corte d’appello, con la decisione qui impugnata, ha respinto la doglianza sul rilievo della vaghezza dell’argomento.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

3. Motivi della decisione – Il ricorso è fondato.

Come ricordato dal ricorrente con la decisione da lui citata (sez. m, 14839/10) è ormai principio acquisito nella giurisprudenza di legittimità che la presentazione, da parte del datore di lavoro, degli appositi modelli (cd. dm 10) attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale "possono essere valutati, in assenza di elementi contrari, come prova piena della effettiva corresponsione delle retribuzioni stesse" (Sez. 3^, 14.2.07, Saggese, Rv. 237203).

Ciò Sul rilievo Che, dopo l’intervento delle S.U. (28.5.2003, Silvestri, rv. 224609), non c’è più dubbio che elementi essenziali del reato previsto dalla L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 bis, siano, da una parte, la corresponsione delle retribuzioni ai lavoratori dipendenti, e dall’altra, il mancato versamento all’istituto previdenziale delle relative ritenute previdenziali ed assistenziali.

Nel caso in esame, però, nonostante la precisa contestazione in questi termini da parte dell’odierno ricorrente, la Corte d’appello ha fornito una replica evasiva e poco comprensibile asserendo che dovesse essere ritenuta carente la prova circa l’effettiva corresponsione delle retribuzioni "giacchè dalle risultanze di prova storica (narrativa testimoniale dei funzionar’ ispettivi che verificarono l’illecito) non risulta che sia stato accettato (sic) l’effettiva corresponsione delle retribuzioni con ritenuta contributiva alla fonte". Sembra di comprendere, in altri termini, che i giudici di merito non abbiano ritenuto provato il pagamento degli stipendi ed il mancato versamento all’istituto previdenziale sulla base della vaghezza delle testimonianze degli ispettori.

Se così stanno le cose, però, non si può fare a meno di obiettare che ciò non è pertinente nè rilevante visto che l’argomento dell’appellante – oggi ricorrente – concerneva la verifica di un dato documentale, i cd. DM 10.

Nè la motivazione impugnata risulta più chiara nel prosieguo quando soggiunge che "la espletata prova testimoniale è del tutto vaga, facendo vago e "generale" riferimento ad una "prassi" usale (sic) di riscontro dei modelli di denuncia di retribuzioni a fini contributivi, senza però circostanziare e specificare se e come il predetto riscontro dei cd. MOD DM10 sia stato specificamente effettuato con riferimento alle posizioni retributive oggetto di causa".

A prescindere dai vari refusi (che certamente non migliorano la prosa), ciò che non è chiaro è perchè i giudici abbiano continuato a valorizzare le deposizioni degli ispettori a fronte della verifica di un dato documentale la cui esistenza o meno avrebbe potuto essere accertata -anche attraverso gli ispettori – con una semplicissima domanda a risposta secca (negativa o affermativa) (con conseguente valutazione, in caso affermativo della loro esaustività).

La decisione impugnata, per contro, conclude nuovamente con l’affermazione della "inaccettabile genericità delle predette risultanze di prova storica" lasciando, però, aperte tutte le perplessità appena espresse circa le ragioni per le quali i giudici di merito abbiano continuato a sottolineare il dato testimoniale e non abbiano, invece, fatto chiarezza su un dato documentale che avrebbe potuto essere dirimente.

Ciò è tanto più incomprensibile alla luce de rilievi del ricorrente secondo cui la corte si è limitata a ribadire quanto detto dal giudice di primo grado sebbene – pare – la produzione dei moduli DM 10 sia stata "confermata dalle testimonianze assunte" sì che, nel caso, risulterebbe giusta la ulteriore censura di non essersi la corte, fatta "carico della specifica argomentazione (dell’appellante, n.n.r.) afferente la esaustività di tali modelli in mancanza di elementi contrari rappresentati dall’imputato".

Evidente, quindi, che la decisione impugnata deve essere annullata con rinvio degli atti alla Corte d’appello di Perugia per nuovo giudizio alla luce dei rilievi fin qui mossi.
P.Q.M.

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p..

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Perugia.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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