Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-11-2012) 07-12-2012, n. 47542

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale della medesima città, sezione distaccata di Mascalucia, in data 20.4.2010 nei confronti di C.G. per il delitto di appropriazione indebita avente ad oggetto un assegno.

2. Propone ricorso per cassazione a mezzo di difensore l’imputato, presentando tre motivi.

Il primo sulla violazione di legge con riguardo all’art. 646 c.p. per avere la Corte di Appello ritenuto parte offesa la querelante D. S.L. benchè emittente dell’assegno bancario fosse il di lei marito M.L., effettiva parte offesa.

Il secondo motivo concerne violazione d legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 61 c.p., n. 11, per avere la Corte di Appello ritenuto integrata l’aggravante in parola pur essendo legate le parti da un semplice contratto di appalto e dunque pur non ricorrendo nessun rapporto fiduciario tra le stesse.

L’ultimo motivo concerne violazione di legge e vizio di motivazione afferente l’art. 62 c.p., n. 4, per non aver ritenuto la Corte territoriale applicabile l’attenuante della speciale tenuità del danno sulla motivazione, denunciata come giuridicamente errata, che l’importo di Euro 350, portato dall’assegno, non possa considerarsi tale da giustificare l’applicazione dell’attenuante in parola.

Con memoria depositata in data 31.10.2011 ai sensi dell’art. 611 c.p.p. il ricorrente ribadiva, ulteriormente argomentandole, le proprie conclusioni.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

Quanto al primo motivo, giacchè il reato, siccome aggravato, è perseguibile di ufficio ai sensi dell’art. 646 c.p., u.c., il quale prevede la procedibilità d’ufficio qualora ricorra taluna delle circostanze di cui all’art. 61 c.p., n. 11.

Quanto poi alla sussistenza dell’aggravante in parola, è sufficiente rilevare che "In tema di appropriazione indebita, ai fini della ricorrenza dell’aggravante della prestazione d’opera, è sufficiente la esistenza di un rapporto, anche di natura meramente fattuale, che abbia rappresentato, quantomeno, occasione (se non anche ragione giuridica) del possesso da parte dell’imputato e che abbia quindi consentito a quest’ultimo di commettere con maggiore facilità il reato, approfittando della particolare fiducia in lui riposta".

(Cass. Sez. 5 sent. n. 11655 del 23.9.1999 dep. 12.10.1999 rv 214486;

più recentemente, Cass., sez. 2, 23.11.2010, n. 989). Con riguardo alla esclusione della richiesta attenuante, la conformità a diritto della decisione impugnata discende dalla giurisprudenza secondo cui ai fini della concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità. L’entità del danno deve essere valutata anzitutto con riferimento al criterio obiettivo del danno in sè, mentre quello subiettivo (riferimento alle condizioni economiche del soggetto passivo) ha valore sussidiario e viene in considerazione soltanto quando il primo, da solo, non appare decisivo o quando la perdita del bene, nonostante il modesto valore dello stesso, può rappresentare, in relazione alle condizioni particolarmente disagiate della persona offesa, un pregiudizio non trascurabile e quindi tale da escludere l’applicabilità dell’attenuante. L’indagine sulle condizioni economiche della persona offesa è pertanto irrilevante quando il criterio obiettivo induca a escludere la speciale tenuità del danno dovendosi a tal fine tenere comunque conto che per la sussistenza dell’attenuante è in ogni caso necessario che il pregiudizio cagionato sia lievissimo. (Fattispecie nella quale è stato ritenuto corretto il diniego dell’attenuante relativamente al furto della somma di Euro 195, trattandosi di importo che comunque escludeva che il danno subito dalla persona offesa potesse ritenersi, di per sè, di speciale tenuità) (Cass. 30.5.2011, n. 32097).

Orbene, la Corte territoriale, in ossequio del citato orientamento, ha ritenuto oggettivamente di non speciale tenuità un danno pari ad Euro 350,00.

2. Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2012

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