Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-10-2012) 07-12-2012, n. 47636

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 04/11/2011 la Corte d’Appello di Lecce, in riforma della sentenza del Tribunale di Lecce in data 03/11/2009 ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di A.E. e P.S. in ordine ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, in relazione all’avvenuto mantenimento in stabilimento balneare, oltre il termine prescritto, di strutture autorizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati tramite il Difensore.

Con un primo motivo deducono la mancanza di motivazione nonchè la violazione dell’art. 192 c.p.p.; precisano che la sentenza impugnata, espressiva di indirizzo già confutato dalla Corte di cassazione, ha ritenuto, discostandosi dalla pronuncia assolutoria di primo grado, di non motivare sulle ragioni per le quali non si è adeguata all’indirizzo di legittimità in questione.

Con un secondo motivo, ricollegato al primo, deducono erronea applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c) e del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181. Contestano, richiamando la giurisprudenza della Corte di Cassazione già citata, che un’opera balneare, regolarmente autorizzata sin dall’inizio, possa divenire illegittima sol perchè non smontata a fine stagione; di qui l’insussistenza di entrambi i reati ascritti.

Con un terzo motivo lamentano la violazione degli artt. 5 e 47 c.p.;

precisano che la L.R. n. 17 del 2006 ha previsto, all’art. 11, la facoltà per i concessionari di strutture balneari di lasciare le stesse montate per l’intero anno senza alcun onere precipuo previa produzione di regolare istanza di rinnovo prima della scadenza della concessione. Nella specie tale richiesta è stata tempestivamente prodotta senza che il Comune abbia dato alcuna risposta, solo nell’aprile successivo emanando ordinanza di demolizione. Aggiungono che alla L.R. n. 10 del 2007, che ha consentito la protrazione di installazione anche in deroga ai vincoli, dichiarata illegittima con sentenza della Corte cost. n. 232 del 2008, è succeduta altra legge regionale (la n. 24 del 2008) che ha poi consentito definitivamente la permanenza delle strutture. Ne consegue che, all’epoca dei fatti, il comportamento tenuto dagli imputati era conforme alla legge in vigore benchè poi, solo successivamente, quest’ultima sia stata dichiarata incostituzionale.
Motivi della decisione

3. Il primo motivo appare non manifestamente infondato quanto al vizio di motivazione lamentato. Va premesso che, secondo incontroverso indirizzo di questa Corte, in caso di sentenza di condanna pronunciata in appello in riforma di sentenza assolutoria di primo grado, il giudice ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della decisione di assoluzione (tra le tante, da ultimo, Sez. 6, n, 22120 del 29/04/2009, Tatone e altri, Rv. 243946); tale obbligo di compiuta motivazione non può, evidentemente, non sussistere anche allorquando, come nella specie, il giudice di appello abbia pronunciato sentenza di improcedibilità per estinzione del reato in applicazione dell’art. 129 c.p.p., comma 1, non solo ritenendo non ravvisagli i presupposti per un’assoluzione nel merito secondo i parametri di evidenza richiamati dal comma 2 di detta ultima norma, ma altresì ritenendo, ancor più, che le prove emergenti dagli atti giustificassero, invece, un’affermazione di responsabilità.

Nella specie, la Corte territoriale, al fine di fondare l’assunto che l’omessa rimozione delle strutture balneari allo spirare del termine stagionale avrebbe reso le stesse illegittime ed illeciti dopo avere condivisibilmente premesso, in diritto, che la natura precaria del manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore o dalle caratteristiche costruttive, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell’opera ad un uso realmente precario e temporaneo e che, in conformità a quanto più volte affermato da questa Corte, il carattere stagionale di un’opera, vale a dire l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, non significa assoluta precarietà (vedasi Sez. 3, n. 34763 del 21/06/2011, Bianchi, Rv. 251243), ha essenzialmente rilevato che i manufatti in questione, non preceduti nè da permesso a costruire nè da nulla osta della competente autorità preposta al vincolo, erano destinati ad assolvere ad esigenze non già improvvise e contingenti, ma stagionali, non essendovi alcun elemento per ritenere che gli stessi fossero stati installati per essere utilizzati unicamente durante la stagione estiva 2006. In altri termini, sembra lecito comprendere, detti manufatti erano, secondo la Corte, sin ab origine destinati a trasformare dal punto di vista edilizio ed in maniera durevole l’area impegnata sì da potere gli stessi essere considerati quali "nuova costruzione".

Ora, tuttavia, una tale motivazione, pur puntuale in jure, non appare coerente con il fine enunciato dalla stessa Corte, fine, del resto, necessariamente discendente dalla stessa contestazione formulata dalla Pubblica Accusa, che rimproverava agli imputati non già di avere posto in essere strutture non precedute da permesso a costruire e da nulla osta paesaggistico, ma di averle mantenute, sul presupposto dunque di una originaria liceità, oltre il termine di scadenza dell’autorizzazione comunale.

Ne discende, ancor prima che questo collegio possa far propri, o, al contrario, discostarsi, dagli approdi interpretativi non uniformi di questa Corte in punto di conseguenze in termini di illiceità penale di omessa rimozione, alla scadenza prefissata, di opere per le quali sia stata rilasciata autorizzazione comunale temporanea (da un lato, tra le altre, Sez. 3, n. 23645 del 12/05/2011, Frassica Rv. 250484 e Sez. 3, n. 29871 del 06/06/2006, Sciavilla, Rv. 234939 è dall’altro, Sez. 3, n. 25962 del 24/03/2009, Della Motta, non massimata), chè assorbiti gli altri motivi di ricorso, tale dissonanza della motivazione sia intrinseca che esterna, per quanto appena detto, alla sentenza, dovrebbe essere colmata dai giudici di merito previo annullamento con rinvio del provvedimento impugnato. Tuttavia, tale annullamento è precluso dalla intervenuta e già dichiarata, dalla Corte territoriale, estinzione dei reati a seguito di maturata prescrizione. Va infatti ribadito che in presenza di una causa di estinzione del reato (nella specie, prescrizione), non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di novazione della sentenza impugnata perchè l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art 129 c.p.p. (tra le altre, Sez. 4, n. 40799 del 18/09/2008, P.G. in proc. Merli Rv 241474).

Conseguentemente il ricorso deve essere rigettato.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2012

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