Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-10-2012) 07-12-2012, n. 47635

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Monaco e Dacquì che hanno chiesto l’accoglimento dei ricorsi.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 31/03/2011 la Corte d’appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Caltanissetta del 19/05/2008 di condanna di D.F.O. M. e N.C. per i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 lett. b) e art. 64, comma 2, nonchè D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, per avere eseguito opere edili consistenti nella demolizione e ricostruzione in cemento armato di fabbricato con rifacimento del prospetto esterno in assenza del prescritto permesso di costruire, ha rideterminato la pena, per entrambi, in mesi cinque di arresto ed Euro 22.000,00 di multa ciascuno.

2. Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati attraverso il Difensore Avv. Lo Monaco; con un primo motivo, di violazione dell’art. 546 c.p.p., comma 1, per mancanza di motivazione, lamentano che la Corte, con riferimento ai cinque motivi di appello a suo tempo presentati, non abbia enunciato motivatamente le ragioni a supporto dell’infondatezza delle censure, essendosi limitata a richiamare le motivazioni sui vari punti della sentenza di primo grado senza alcun approccio critico.

Con un secondo motivo lamentano l’erronea applicazione, da parte della Corte, della normativa regionale in tema di opere interne, esclusivamente soggette a comunicazione, e non a permesso di costruire L. R. Sicilia n. 37 del 1985, ex art. 9, o in caso di interventi finalizzati alla riparazione del patrimonio edilizio esistente, ad autorizzazione edilizia L.R. Sicilia n. 71 del 1978, ex art. 36, comma 5, e art. 5, comma 1, della già citata L.R. n. 37 del 1985.

Con un terzo motivo deducono che la Corte abbia, in relazione al reato sub a), ritenuto che per gli interventi di demolizione totale e ricostruzione senza modificazione della volumetria e della sagoma del preesistente fabbricato fosse necessario il permesso a costruire.

Precisano che la demolizione e ricostruzione predetta rientrano nel concetto di ristrutturazione edilizia, essendo dunque sufficiente la mera autorizzazione con conseguente liceità penale dell’intervento.

Con un quarto motivo censurano la sentenza impugnata laddove la stessa ha ritenuto irrilevante nel procedimento la sentenza con cui il Tar Sicilia ha annullato l’ordinanza di demolizione del 15/05/2006 del Comune di Sutera sul presupposto per cui ad integrare il concetto di demolizione e ricostruzione non soggetti a permesso a costruire è sufficiente che l’intervento porti ad un organismo con stessa volumetria e sagoma senza che, nella specie, sia risultato diversamente.

Con un quinto motivo censurano l’affermazione in ordine alla sussistenza del reato sub b) non essendo emerso alcun elemento probatorio in tal senso ed in particolare non avendo il personale del Genio Civile confermato l’inesistenza all’epoca dei fatti di un progetto esecutivo.

Con un sesto e settimo motivo deducono l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, essendo stata rilasciata in data 04/12/2006 l’autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza tale da non rendere configurabile il reato sub c) stante la sostanziale valutazione di compatibilità delle opere D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 181 quater; aggiungono che anche l’ufficio del Genio Civile ha espresso parere favorevole al mantenimento delle opere.

3. N.C. ha poi proposto ulteriore ricorso per il tramite del Difensore Avv. Dacquì lamentando con un primo motivo l’omessa considerazione, da parte della Corte territoriale, del contenuto della sentenza del Tar in data 15/12/2009, divenuta definitiva, che, ritenendo applicabile nella specie la normativa regionale siciliana, ha riconosciuto la non assoggettabilità delle opere in oggetto, non comportanti alcun aumento di volume o superficie o alcuna variazione di uso, al permesso di costruire bensì solo alla denuncia di inizio lavori (Dia). Con un secondo motivo deduce che la Corte ha proceduto, in accoglimento dell’appello del P.M., a rideterminare la pena irrogata in primo grado a mesi cinque di arresto avendo ritenuto che nel dispositivo della sentenza del Tribunale la pena di giorni cinque di arresto fosse, in contrasto con quella di mesi cinque riportata in motivazione, il frutto di un errore materiale; così facendo non avrebbe tuttavia tenuto conto che in caso di motivazione non contestuale il contenuto del dispositivo deve prevalere su quello della motivazione. In ogni caso lamenta, come già fatto in appello, l’eccessività della pena irrogata stante il minimo grado di colpa dell’imputata.
Motivi della decisione

4. Il secondo motivo del ricorso presentato dalla sola N. C., tale peraltro da estendersi anche a D.F.O. M. in quanto non fondato su ragioni esclusivamente personali ex art. 587 c.p.p., comma 1, non appare manifestamente infondato.

Infatti il primo Giudice, nella parte motivazionale della sentenza, ha condannato l’imputato alla pena di mesi cinque di arresto (esplicitando i criteri del calcolo in base al quale è pervenuto alla ricordata sanzione finale); nel dispositivo letto in udienza, invece, la pena detentiva è stata fissata in giorni cinque di arresto. E’, pertanto, comunque riscontrabile una divergenza tra l’elemento volitivo della sentenza e quello motivazionale che porterebbe, secondo indirizzo di questa Corte (da ultimo, si veda Sez. 5, n. 22736 del 23/03/2011, Corrado e altri, Rv. 250400), a fare prevalere, sul secondo, avente funzione meramente strumentale, il primo, rappresentante invece l’atto con il quale il Giudice estrinseca la volontà della legge nel caso concreto. Ciò basta per fare ritenere appunto il motivo non manifestamente infondato tanto più considerando che, nella specie, non si versava in fattispecie di motivazione contestuale, quale presupposto per l’adesione a diverso indirizzo interpretativo (Sez. 6, n. 2695 del 13/07/1999, P.M. in proc. Fezga, Rv. 214186).

La non manifesta infondatezza del motivo consente allora a questa Corte, essendo stato in tal modo il rapporto processuale instaurato correttamente, di rilevare l’ormai intervenuto decorso, in data 02/05/2011, della prescrizione (pari ad anni cinque a decorrere dalla data di commissione dei fatti oltre alla sospensione per giorni cinquantanove) di tutti i reati per i quali è intervenuta condanna.

Nè, con riguardo ai restanti motivi, appaiono sussistere, con l’evidenza richiesta (e ribadita da Sez. U., n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274) dall’art. 129 cpv. c.p.p., elementi indicativi dell’esclusione della sussistenza dei fatti. Qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti appunto dal richiamato art. 129 cpv. c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, prevale dunque l’esigenza della definizione immediata del processo, a seguito della sopravvenienza dell’estinzione del reato per maturata prescrizione. Deve, in conclusione, affermarsi che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata, nè nullità di ordine generale, in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva; è, in altri termini, precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti, agli effetti penali, finalizzato ad un eventuale annullamento con rinvio della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione. Esaminata alla luce dei principi appena ricordati, la sentenza impugnata non contiene elementi di giudizio che rendano evidente la sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito giacchè, con riferimento ai motivi di ricorso attinenti al merito, la Corte territoriale ha, da un lato, comunque operato una valutazione del materiale probatorio, e dall’altro non è incorsa in violazioni di legge che possano comportare, all’interno di una necessaria complessiva disamina del contenuto della sentenza, l’evidenza dei presupposti richiesti appunto dall’art. 129 cpv. c.p.p..

In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per intervenuta estinzione dei reati a seguito di prescrizione.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere i reati estinti per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2012

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