Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-10-2012) 07-12-2012, n. 47634

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Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 11/04/2007 il Tribunale di Vasto ha condannato D.L. alla pena di Euro 300,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 110 c.p. e art. 95 in relazione al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 94 per avere, nella veste di proprietario committente ed in concorso con progettista e direttore dei lavori, realizzato opere edilizie in totale difformità rispetto al progetto per il quale era stato rilasciato attestato di deposito nelle date del 17/06/1999 e 03/10/2002 e in violazione delle norme tecniche di edilizia sismica.

2. Ha proposto appello il Difensore dell’imputato deducendo che la costruzione è stata realizzata, a seguito di demolizione del preesistente manufatto, nel rispetto della volumetria progettata ed assentita, fatto salvo, peraltro, un adeguamento in sanatoria apportato alla normativa sismica, come affermato dal teste C. C. all’udienza del 24/01/2007. Si duole inoltre del fatto che il Tribunale abbia ritenuto essere la concessione in sanatoria riferibile ad un fabbricato diverso da quello dell’imputazione. Ha chiesto pertanto dichiararsi estinto il reato per sopravvenuta sanatoria nonchè assolversi l’imputato perchè il fatto non sussiste o non costituisce reato. Infine lamenta che il Tribunale non abbia dichiarato la prescrizione del reato stante la intervenuta realizzazione dell’opera entro e non oltre il 03/10/2002.

3. Con missiva in data 10/01/2012 la Corte d’appello di L’Aquila ha trasmesso gli atti a questa Corte sul presupposto della inappellabilità della sentenza.
Motivi della decisione

4. Deve preliminarmente osservarsi che l’appello, presentato dall’imputato attraverso difensore legittimato al patrocinio in sede di legittimità, deve essere convertito in ricorso per cassazione ex art. 568 c.p.p., comma 5, stante l’inappellabilità della sentenza impugnata, di condanna alla sola pena dell’ammenda; occorre al riguardo ricordare l’insegnamento delle Sezioni unite che, con la sentenza n. 45371 del 2001, Bonaventura, hanno sostenuto che in tema di impugnazioni, allorchè un provvedimento giurisdizionale sia impugnato dalla parte interessata con un mezzo di gravame diverso da quello legislativamente prescritto, il giudice che riceve l’atto deve limitarsi, come verificatosi del resto nella specie, a norma dell’art. 568 c.p.p., comma 5, a verificare l’oggettiva impugnabilità del provvedimento, nonchè l’esistenza di una "voluntas impugnationis", consistente nell’intento di sottoporre l’atto impugnato a sindacato giurisdizionale, e quindi trasmettere gli atti, non necessariamente previa adozione di un atto giurisdizionale, al giudice competente. Con la stessa decisione si è aggiunto che condizione necessaria ed insieme sufficiente perchè il giudice possa compiere la operazione di qualificazione è la esistenza giuridica di un atto – cioè di una manifestazione di volontà avente i caratteri minimi necessari per essere riconoscibile come atto giuridico di un determinato tipo – e non anche la sua validità; ciò che conta è inoltre la volontà oggettiva dell’impugnante – quella cioè di sottoporre a sindacato la decisione impugnata -, senza che sia possibile attribuire alcun rilievo all’errore che potrebbe verificarsi nel momento della manifestazione di volontà o anche alla deliberata scelta di proporre un mezzo di gravame diverso da quello prescritto.

5. Ciò posto, il ricorso è inammissibile. A fronte delle argomentazioni della sentenza impugnata secondo cui, dalle dichiarazioni del teste C. nonchè dalla documentazione acquisita è risultato che gli interventi edilizi di cui all’imputazione non erano stati previsti nel progetto per il quale era stato rilasciato attestato di deposito ed erano inoltre in contrasto con le norme tecniche di edilizia antisismica, il ricorrente ha, in primo luogo, sostenuto che tale teste avrebbe, invece, affermato la perfetta rispondenza di detti lavori al progetto in questione, in tal modo implicitamente deducendo, stante la diversa ed anzi opposta "lettura" del contenuto della testimonianza, il vizio di travisamento della prova. Va però ricordato che il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intenda far valere il vizio di "travisamento della prova" (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica) deve, a pena di inammissibilità (tra le altre, Sez. 1, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj, Rv. 234115; Sez. 6, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, Rv. 249035; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023): a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza mediante la completa trascrizione, in caso di testimonianza, dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone; b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonchè della effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale "incompatibilità" all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato. Nella specie, invece, il ricorrente si è limitato, da un lato, ad affermare che il contenuto delle dichiarazioni sarebbe stato diverso, senza suffragare in alcun modo il proprio assunto e, dall’altro, ha comunque aggiunto (ciò che, a fronte della contestazione ricomprendente anche la violazione delle norme tecniche di edilizia antisismica, contrasta con la necessità, sopra menzionata, che il preteso travisamento comporti una radicale compromissione della tenuta del provvedimento) che il fabbricato andava adeguato "con qualche accorgimento" alla normativa sismica in tal modo lasciando comunque intendere la difformità rispetto a quest’ultima e, dunque, la fondatezza delle argomentazioni della sentenza. Nè superano il vaglio di ammissibilità, sotto il profilo della non manifesta infondatezza, le ulteriori argomentazioni circa la pretesa intervenuta "sanatoria" delle violazioni posto che, ancor prima ed anche a prescindere dalle motivate argomentazioni in senso contrario del Tribunale (che ha ritenuto, spiegandone le ragioni, riferibile la sanatoria ad altro e diverso manufatto), va ricordato che l’effetto estintivo di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 45 è limitato alle sole contravvenzioni urbanistiche, con esclusione, quindi, delle violazioni alle legge antisismica (Sez. 3, n. 11271 del 17/02/2010, Braccolino e altri, Rv. 246462; Sez. 3, n. 20275 del 14/03/2008, P.G. in proc. Terracciano, Rv. 239871). Quanto infine alla doglianza in ordine al mancato rilievo della prescrizione, va osservato che grava sull’imputato, che voglia giovarsi della prescrizione quale causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli atti (tra le altre, Sez. 3, n. 19082 del 24/03/2009, Cusati, Rv.

243765). Nella specie, a fronte della data di accertamento del fatto in data 7/12/2004, il ricorrente si è limitato ad individuare immotivatamente il momento di realizzazione delle opere nella data del 03/10/2002. Ne consegue che la prescrizione, di durata, considerate le interruzioni, complessivamente triennale a norma della previgente formulazione dell’art. 157 c.p. in quanto più favorevole, è maturata in data 7/12/2007, ovvero successivamente alla sentenza impugnata.

6. L’inammissibilità originaria del ricorso, non consentendo il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, preclude la possibilità di rilevare e dichiarare, a norma dell’art. 129 c.p.p., la prescrizione maturata successivamente alla sentenza di merito, per quanto detto non validamente impugnata (Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, De Luca).

7. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del grado, e della somma indicata in dispositivo, ritenuta equa, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 c.p.p.; va altresì pronunciata condanna al pagamento delle spese in favore della parte civile.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2012

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