Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-10-2012) 07-12-2012, n. 47628

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.L. pone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Napoli confermava quella del tribunale della medesima città, sezione distaccata di Ischia, in data 18 febbraio 2008 con cui l’imputato era stato ritenuto responsabile e condannato alla pena di giustizia per i reati di cui all’art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64 71, 65 72, 83 e 95; D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181; artt. 734 e 349 c.p..

Deduce in questa sede il ricorrente l’inosservanza delle norme processuali in relazione al decreto che dispone il giudizio posto che il capo d’imputazione contestato è del tutto privo di indicazione temporale dei fatti a lui attribuiti.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.

Il ricorrente per un verso si duole della circostanza che la corte territoriale abbia ritenuto tardiva l’eccezione di nullità del decreto di citazione per violazione dell’art. 552, lett. c) in quanto dedotta oltre il termine indicato dall’art. 491 c.p.p., comma 1.

Per altro verso rileva che l’assenza della data della commissione del reato nella contestazione determina comunque il giudizio di insufficiente motivazione.

Ciò posto, osserva il collegio in premessa che, come più volte affermato da questa Corte, occorre anzitutto ribadire che in tema di enunciazione del fatto nel decreto che dispone il giudizio non sussiste nullità quando dal medesimo fatto contestato – che pure non abbia una specifica indicazione di luogo e di data – è possibile rilevare un riferimento, sia pure indiretto, a circostanze spazio- temporali che consentano la facile individuazione di quegli elementi, (ex plurimis, Sez. 5, n. 12894 del 05/10/1999 Rv. 215534).

In altre parole la omessa indicazione nel capo d’accusa del luogo e della data del commesso reato può essere causa di nullità del decreto di citazione solo se si risolve in un effettivo pregiudizio del diritto di difesa. 11 che si verifica quando i predetti dati sono essenziali ai fini della individuazione del fatto contestato e non anche quando il decreto contenga altre indicazioni sufficienti ad informare in modo certo l’imputato della condotta materiale che gli è attribuita.

Come evidenziato in precedenti occasioni Questa Corte l’esistenza del vizio non va valutata in astratto, ma in relazione alla sua concreta idoneità a soddisfare la finalità suindicata e che la omissione è improduttiva di conseguenze giuridiche e non comporta, quindi, un obbligo di ulteriore contestazione da parte del P.M., quando dagli altri elementi enunciati e dai richiami contenuti nel decreto eventualmente anche ad altri provvedimenti, risulti chiaramente in tutti i suoi termini il "fatto" per il quale il giudizio è stato disposto" (Sez. 1, n. 12149 del 02/03/2005 Rv. 231615).

Nessuna nullità può essere invocata qualora l’asserita mancanza non abbia impedito all’imputato di formulare in modo compiuto ed efficace le proprie difese, nel pieno rispetto del contraddittorio.

L’effettivo pregiudizio deve, quindi, formare oggetto di specifica indicazione nei motivi di ricorso e, ciò a maggior ragione nel caso in cui – come nella specie – la corte di merito abbia invece ritenuto che la data del commesso reato sia stata debitamente contestata per tutte le fattispecie contestate.

Non si può ritenere, quindi, sufficiente, come nella specie, una generica contestazione delle motivazioni di appello che in alcun modo da conto delle ragioni del dissenso e si deve invece concludere che, a prescindere dalla violazione del principio dell’autosufficienza dei ricorso, il motivo dedotto in questa sede finisce per palesare anzitutto un profilo di evidente genericità.

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese dei procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente ai pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1.000.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *