Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-10-2012) 07-12-2012, n. 47624

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.D. propone di ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Brescia, riformando la sentenza assolutoria di primo grado, lo aveva condannato alla pena di giustizia, con aumento per la recidiva ex art. 99 cod. pen., comma 4, per il reato di cui agli art. 81 capoverso c.p. e L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 bis in relazione all’omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei dipendenti dell’impresa di D.M.D. montaggi per il mese di ottobre novembre 2003, gennaio febbraio marzo 2004.

Accogliendo l’appello del pubblico ministero la corte di merito aveva ritenuto che la prova del reato potesse essere legittimamente desunta in assenza di prova contraria da parte del ricorrente dalla situazione debitoria esposta dall’imprenditore nei modelli DM. 10.

Con l’unico motivo di ricorso il D. deduce la carenza e l’illogicità della motivazione insistendo sulla configurabilità del reato solo in presenza del materiale esborso delle somme dovute al dipendente a titolo di retribuzione ed affermando che non spetta all’imputato del reato dare prova del suo assunto difensivo secondo cui le retribuzioni stesse non sarebbero state invece corrisposte.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato ed articolato su censure di merito.

Correttamente la corte di appello cita la giurisprudenza di questa Corte, costante nella affermazione del principio secondo cui la prova dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni nel processo per il delitto in esame, può essere desunta dai modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti – cosiddetti modelli di DM. 10 – trasmessi dal datore di lavoro all’Inps, purchè non risultino elementi contrari.

Legittimamente, pertanto, i giudici di appello, in assenza di prova contraria sul punto da parte del ricorrente, hanno ritenuto di doverne affermare la responsabilità penale. Come più volte affermato da questa Corte, l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. ivi compresa, quindi, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (ex plurimis Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 Rv. 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004 Rv. 228349).

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1.000.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 7 dicembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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