Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-10-2012) 06-12-2012, n. 47223

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.G. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza in epigrafe con la quale la corte di appello di Palermo confermava quella resa dal tribunale della medesima città, in data 1 giugno 2009 con la quale era stata condannata alla pena di giustizia per i reati di cui all’art. 44, lett. b), D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 64, 65, 71, 93, 94, 95, per avere realizzato la sopraelevazione di un preesistente fabbricato con una sostituzione del tetto dell’immobile in modo da creare vani destinati ad essere abitati in assenza di permesso di costruire e delle autorizzazioni dell’ufficio del genio civile.

Il fatto risulta accertato in (OMISSIS).

Deduce in questa sede la ricorrente la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, lett. c), artt. 10, 31, 44 lett. b), artt. 63, 71, 65, 72, 93, 95, nonchè quella dell’art. 133 c.p., in relazione alla commisurazione della pena. Eccepisce inoltre la ricorrente l’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione.
Motivi della decisione

Il ricorso inammissibile.

Vengono sostanzialmente riproposte in questa sede le doglianze che hanno già formato motivo di appello e sui quali la corte di merito ha già congruamente risposto. La corte di appello, in particolare ha già correttamente indicato le ragioni per le quali ha escluso che i lavori contestati possano essere ricondotti tra quelli di manutenzione straordinaria, sottolineando l’aumento di volumetria di spazio abitabile prodotto dagli interventi censurati e, correttamente citando giurisprudenza di questa Corte, ha rilevato anche che la sostituzione del tetto di un immobile può rientrare tra gli interventi di manutenzione straordinaria purchè non venga modificata la quota d’imposta o alterato lo stato dei luoghi nè planimetricamente nè quantitativamente rispetto alla superficie dei volumi preesistenti.

A nulla vale pertanto insistere in questa sede sulla affermazione secondo cui per quanto concerne la copertura dell’edificio le modifiche si sarebbero rese indispensabili in quanto seguendo l’iniziale previsione si sarebbe finito per scaricare le acque meteoriche in prossimità di una delle strutture portanti dell’edificio con conseguenti problematiche anche la stabilità del fabbricato stesso. Nè vale rilevare che non sarebbe stata presa in considerazione dai giudici di appello l’istanza all’ufficio del genio civile per la realizzazione delle opere in cemento armato o che la riorganizzazione della copertura avrebbe comportato un aumento di volumetria inferiore al 10% del volume dell’intero corpo di fabbrica e sarebbe stata conforme alle norme di attuazione del piano regolatore comunale, trattandosi di rilievi attinenti al merito della valutazione per i quali vi è congrua e logica motivazione.

Al riguardo le Sezioni Unite, come noto, hanno affermato, infatti, che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

(SU 1997 n. 6402, Rv 207944, Dessimone ed altri).

Anche per quanto concerne la pena le doglianze si appalesano di merito e valgono, quindi, le considerazioni in precedenza espresse sui limiti del giudizio di legittimità.

Per quanto concerne la prescrizione essa è certamente maturata dopo la sentenza di appello e, pertanto, non è rilevabile in questa sede per le ragioni di seguito indicate.

Come più volte affermato da questa Corte, l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. ivi compresa, quindi, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (ex plurimis Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 Rv. 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004 Rv. 228349).

A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000.
P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 1.000.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 6 dicembre 2012

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