Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-07-2012, n. 11975 Imposta di pubblicità e affissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La T pubblicità s.r.l. propose impugnazione avverso ventitre avvisi di accertamento emessi dal comune di Roma per l’omesso versamento dell’imposta sulla pubblicità per l’anno 2000, relativamente all’installazione di impianti di tipo parapedonale.
Per quanto ancora rileva, eccepì la decadenza dell’azione di accertamento per l’infruttuoso decorso dei termini di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 10, nonchè la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10 per avere il comune richiesto il pagamento sia a essa ricorrente, sia alla s.r.l. A., cessionaria degli impianti pubblicitari nel contesto di un rapporto di cessione d’azienda.
L’adita commissione tributaria provinciale di Roma accolse parzialmente il ricorso, per avere il comune erroneamente considerato, ai fini del tributo, trentacinque impianti pubblicitari, anzichè venticinque. La sentenza fu confermata in appello.
Contro la sentenza di secondo grado, la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, ai quali il comune di Roma ha replicato con controricorso.
Avviata la causa alla trattazione in camera di consiglio, parte ricorrente ha depositato una memoria con la quale ha chiesto la sospensione del giudizio fino al 30.3.2010, per avere la cessionaria d’azienda A. s.r.l. presentato istanza di adesione alla procedura di definizione di cui alla delibera del comune di Roma n. 31 del 2009.
La causa, rinviata a nuovo ruolo, è stata nuovamente fissata per l’odierna pubblica udienza.

Motivi della decisione

1. – L’evocata adesione della cessionaria alla summenzionata procedura di definizione è priva di rilevanza per l’assorbente ragione che la ricorrente non ha dato prova, in fine, dell’avvenuto perfezionamento della procedura de qua nei termini di cui alla Delib.
Comune di Roma n. 31 del 2009, richiamato art. 5. Tanto dispensa la Corte dall’esaminare la questione della legittimità del condono suddetto, in relazione al disposto – nella delibera richiamato – di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 13.
2. – Col primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 8, comma 3 e art. 10, comma 1, per avere la commissione regionale ritenuto che non fosse maturato il termine di decadenza per la notifica degli atti impositivi.
Si assume, invero, che la detta notifica era avvenuta il 15 gennaio 2002, a fronte dell’imposta dovuta per l’anno 2000.
Il motivo non ha fondamento.
In punto di fatto risulta dalla sentenza evincibile, atteso il riferimento all’art. 8, comma 3, del D.Lgs. cit., che la dichiarazione annuale sulla pubblicità, seppure omessa quanto all’anno in contestazione (il 2000), era stata tuttavia presentata relativamente agli anni anteriori.
Una simile circostanza nel ricorso è d’altronde incontestata.
Essa si rivela dirimente per escludere la decadenza di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, invocato art. 10.
Questa norma, prevedendo che il comune debba procedere all’accertamento entro due anni dalla data in cui la dichiarazione annuale è stata o avrebbe dovuto essere presentata, va difatti coordinata con la previsione di cui all’antecedente art. 8.
Secondo l’art. 8, il soggetto passivo dell’imposta è tenuto, prima di iniziare la pubblicità a presentare al comune apposita dichiarazione con effetto anche per gli anni successivi (purchè non si verifichino modificazioni degli elementi dichiarati, cui consegua un diverso ammontare dell’imposta).
La pubblicità – invero – "si intende prorogata con il pagamento della relativa imposta effettuato entro il 31 gennaio dell’anno di riferimento, sempre che non venga presentata denuncia di cessazione entro il medesimo termine".
Consegue che, nel caso di specie, e quanto all’anno 2000, il termine decadenziale non potevasi considerare decorrente se non dalla infruttuosa scadenza del termine del pagamento (31 gennaio 2000), ostativa all’effetto di proroga della dichiarazione anteriormente presentata.
A fronte di simile decorrenza, la notifica degli avvisi, avvenuta il 15 gennaio 2002, è chiaramente tempestiva.
3. – Col secondo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere il giudice d’appello omesso di pronunciarsi sulla censura relativa alla nullità degli avvisi discendente dalla notifica, in asserita illegittima duplicazione, anche alla cessionaria A. s.r.l.. Il secondo motivo è infondato dal momento che l’impugnata sentenza, sebbene per relationem alla pronuncia di primo di grado, di cui ha affermato di condividere i rilievi in mancanza di "elementi nuovi e sufficienti tali da modificare la decisione", si è pronunciata sulla questione sottostante. E difatti dalla sentenza risulta che la tesi della contribuente era stata respinta dalla commissione provinciale in adesione a quanto sostenuto dal comune di Roma circa l’applicazione – tra cedente e cessionario dell’azienda – del principio di solidarietà di cui all’art. 2560 c.c..
4. – Il ricorso va quindi rigettato, con condanna della ricorrente alle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dalla Sezione Quinta Civile, il 30 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012

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