Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 09-10-2012) 22-11-2012, n. 45663

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il tribunale di Macerata, giudice di secondo grado, con la sentenza di cui in epigrafe, ha rigettato l’appello proposto da C.M. avverso la sentenza del giudice di pace di Civitanova Marche, con la quale il predetto era stato condannato alla pena di giustizia – oltre risarcimento danno – perchè riconosciuto colpevole del delitto di cui all’art. 594 c.p. per avere offeso l’onore e il decoro di M.G. cui indirizzava una lettera, quale legale rappresentante della O G, lettera che conteneva le seguenti espressioni ingiuriose "il vostro modo di operare da lestofanti … . Il vostro modo di agire ambiguo".
2. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato e deduce inosservanza ed errata applicazione della legge penale con particolare riferimento all’esercizio del diritto di critica, omessa applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p. e mancanza e illogicità manifesta della motivazione, argomentando come segue.
2.1. I giudici di merito non hanno tenuto conto del contesto in cui la lettera fu sottoscritta e inviata. L’imputato, rappresentante di gioielli, richiedeva alla ditta O l’estratto-conto e la liquidazione delle sue competenze. La O, a sua volta, chiedeva al C. il versamento di somme che, a suo dire, il predetto aveva illecitamente trattenuto.
Ebbene, non si comprende per quale motivo non sia stato riconosciuto l’esercizio del diritto di critica, al limite come esercizio putativo, atteso che – ad esempio – la giurisprudenza ha ritenuto che l’attribuzione del termine "latitante" a un amministratore di condominio rappresentava espressione di una legittima critica nei confronti dell’operato del predetto.
La lettera indirizzata alla ditta O costituiva una comprensibile reazione ad un atteggiamento omissivo e dilatorio della stessa. E’ errato ritenere, come fa il giudice di appello, che l’imputato pretenda di essere titolare di un diritto all’insulto, anche perchè il termine "lestofante" ha un contenuto sostanzialmente scherzoso.

Motivi della decisione

1. Non è dubbio che tra soggetti che abbiano rapporti commerciali e, dunque, reciproche posizioni debitorie e creditorie, sia possibile, oltre che frequente, la contestazione delle altrui pretese e – dunque – una particolare forma di diritto di critica.
1.1. Come noto, però, consolidata giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, anche nel diritto di critica, va rispettato, tra gli altri, il limite della continenza, che consiste nel non adoperare espressioni gratuitamente offensive, quando lo stesso concetto possa essere espresso con frasi e parole corrette. Orbene il termine "lestofante" sta a significare ciurmatore, imbroglione, persona disonesta. In relazione a tale censura, dunque, il ricorso appare infondato.
2. Il ricorrente, tuttavia, come anticipato, sostiene – subordinatamente – la sussistenza della causa di non punibilità di cui all’art. 599 c.p., affermando che la sua fu una reazione a una condotta scorretta da parte della ditta O, che non aveva versato il dovuto e che non documentava – in tempi ragionevoli – la situazione debito/credito con il C..
Sul punto, in realtà, i giudici di merito non sembrano aver ricostruito compiutamente la vicenda e tuttavia si deve osservare che, in presenza di una pretesa giuridica controversa, non può ritenersi aprioristicamente arbitrario (e quindi provocatorio) l’atteggiamento di chi a tale pretesa intenda resistere, dovendo essere attivati ben altri strumenti (diversi dalla aggressione verbale) per l’accertamento del diritto.
3. Conclusivamente il ricorso merita rigetto e il ricorrente va condannato alle spese del grado.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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