Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-10-2012) 16-11-2012, n. 44895 Affidamento in prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il 26 ottobre 2011 il Tribunale di sorveglianza di Roma dichiarava cessata nei confronti di C.C. la misura dell’affidamento terapeutico disposta con ordinanza del medesimo tribunale di sorveglianza del 30 giugno 2011, a seguito della sopravvenienza del provvedimento di cumulo emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Napoli del 27 luglio 2011, cumulo comprensivo del reato di rapina aggravata, ostativo all’affidamento terapeutico perchè rientrante nella previsione di cui all’art. 4 bis O.P. e comportante una pena da espiare superiore ai quattro anni di reclusione (fine pena il 15 novembre 2017) non essendo possibile nella fattispecie, secondo il Tribunale, lo scioglimento del cumulo con verifica dell’avvenuta espiazione o meno della condanna relativa al reato ostativo.

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il C., assistito dal difensore di fiducia, il quale lamenta violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 e art. 4 bis O.P., sul rilievo che non sarebbe sufficiente, ai fini della dichiarazione di cessazione della misura dell’affidamento terapeutico, la circostanza che la condanna riguardi un titolo di reato rientrante nella previsione di cui all’art. 4 bis ord. pen., tenuto conto della circostanza che il ricorrente ha comunque espiato la parte di pena relativa al reato ostativo.

3. Con motivata requisitoria scritta il P.G. in sede ha concluso per il rigetto della impugnazione.

4. Il ricorso è fondato nel senso di seguito precisato.

4.1 Il Collegio è chiamato ad affrontare la questione se la sopravvenienza di un provvedimento di cumulo relativo ad una pena superiore a quattro anni di reclusione, comprendente reati rientranti nella previsione di cui all’art. 4 bis ord. pen., sia o meno compatibile con la prosecuzione della misura dell’affidamento terapeutico in precedenza concessa al condannato e se sia o meno consentita la scissione virtuale del cumulo al fine di imputare la porzione di pena già espiata ai reati in questione. In proposito assume rilievo l’esatta ricostruzione interpretativa del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 94, comma 1, che gradua l’applicazione dell’affidamento in prova al servizio sociale nei casi particolari di condannati, tossicodipendenti o alcooldipendenti in trattamento o che intendano sottoporsi al programma di recupero, in funzione della misura della pena detentiva inflitta o di quella residua espianda, stabilendo, come condizione di ammissibilità della misura alternativa, che la suddetta pena debba essere contenuta nel limite di sei anni ovvero – più rigorosamente – di quattro anni "se relativa a titolo esecutivo comprendente reato di cui alla L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis e successive modificazioni".

Il Collegio, pur consapevole di un recente indirizzo interpretativo contrario alla scissione virtuale del cumulo in presenza di un titolo esecutivo, comprensivo di reati elencati nella L. 26 luglio 1975, n. 354, art. 4 bis e concernente una pena da espiare superiore al limite fissato dalla legge (Sez. 1, 7 ottobre 2009, n. 41322 richiamata dal giudice a quo), ritiene di aderire ad una diversa soluzione ermeneutica, argomentata da Cass. Sez. 1, 14 dicembre 2010, n. 1405, rv. 249425) la quale ha coniugato la lettura testuale del dato normativo con una ricostruzione logico-sistematica della disciplina conforme ai principi costantemente espressi dalla giurisprudenza costituzionale e da quella di legittimità.

Sotto il primo profilo occorre evidenziare che la Corte Costituzionale, con una fondamentale pronuncia (sentenza 27 luglio 1994 n. 361), ha affermato che la disciplina contenuta nell’art. 4 bis ord. pen. non delinea uno status di detenuto pericoloso e ha precisato che detta norma "va interpretata – in conformità del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. – nel senso che possono essere concesse misure alternative alla detenzione ai condannati per i reati gravi, indicati dalla giurisprudenza, quando essi abbiano espiato per intero la pena per i reati stessi e stiano espiando pene per reati meno gravi non ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione".

Su tale premessa il giudice delle leggi ha, pertanto, concluso per la non conformità alla Costituzione di una diversa interpretazione che porti all’esclusione della concessione di misure alternative ai condannati per un reato grave, ostativo all’applicazione delle dette misure, anche quando essi, avendo espiato per intero la pena per il reato grave, stiano eseguendo la pena per reati meno gravi, non ostativi al predetto riconoscimento.

Questi principi sono stati recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte che, nell’ambito di un’articolata elaborazione sulla natura giuridica e sulla ratio del reato continuato, ha argomentato che la disciplina del concorso formale di reati o del reato continuato persegue la finalità di mitigare l’effetto del cumulo materiale delle pene, cui viene sostituito un cumulo giuridico, e che, in particolare dopo la novella del 1974, l’estensione dell’operatività del sistema del cumulo giuridico della pena previsto dall’art. 81 cpv. c.p. è espressione del rifiuto dell’automatismo repressivo proprio del cumulo materiale e dell’accentuazione del carattere personale della responsabilità penale, con conseguente esaltazione del ruolo e del senso di responsabilità del giudice nell’adeguamento della pena alla personalità del reo (Sez. Un. 26 febbraio 1997, n. 1; Sez. Un. 30 giugno 1999, n. 14).

Sulla base di tali premesse la giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato che l’unificazione legislativa dei reati deve affermarsi, qualora vi sia una disposizione apposita in tal senso ovvero la soluzione unitaria garantisca un risultato favorevole al reo, non dovendo e non potendo dimenticarsi che il trattamento di maggior favore per il reo è alla base della ratio del reato continuato (Sez. un., 10 ottobre 1981, n. 10928; Sez. un., 26 novembre 1997, n. 15, in tema di scioglimento del cumulo, oltre che ai fini appena menzionati, anche in vista dell’individuazione del termine di prescrizione del reato; in senso conforme: Sez. un. 16 novembre 1989, n. 18 e Sez. Un., 24 gennaio 1996, Panigoni, n. 2780 in materia di applicazione dell’indulto a reati uniti sotto il vincolo della continuazione con altri che non ne possano beneficiare;

Sez. 1, 11 maggio 1998, n. 2624 a proposito della revoca dell’indulto condizionato in presenza dell’irrogazione di una pena unica in ordine a più delitti unificati dalla continuazione; Sez. 1, 3 luglio 1998, n. 3986 sulla scissione del reato continuato ai fini dell’applicazione dell’amnistia e dell’indulto; Sez. 3, 2 giugno 1999, n. 2070 in tema di applicazione della sostituzione delle pene detentive brevi, L. 24 novembre 1981, ex art. 53, u.c. in caso di reato continuato).

Nella medesima prospettiva interpretativa questa Corte ha stabilito che il cumulo non si scioglie ed opera il principio della fictio iuris unificante ogni qualvolta la considerazione unitaria sia più favorevole al reo (Sez. un., 21 luglio 1995, Zouine, C.E.D. n. 201549; Sez. 2, 20 novembre 1998, n. 8599 e Sez. 2, 13 novembre 2000, n. 1477 in materia di concessione della sospensione condizionale della pena; Sez. 2, 20 novembre 1980, n. 11774 in tema di perdono giudiziale; cfr. anche Corte Cost. 5 luglio 1973, n. 108 e Corte cost, 7 luglio 1976, n. 154).

4.2 Sulla base delle considerazioni sinora esposte è possibile affermare che, ove, come nel caso di specie, nel corso di un affidamento terapeutico (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94) in precedenza concesso sopravvenga un provvedimento di unificazione di pene concorrenti relativo ad una pena superiore ai quattro anni di reclusione e comprensivo di reati elencati nell’art. 4 bis ord. pen., è legittimo lo scioglimento del cumulo ai fini della verifica di ammissibilità della prosecuzione della misura, sempre che il condannato abbia espiato la parte di pena relativa ai delitti ostativi.

La diversa tesi della inscindibilità del cumulo (Sez. 1, 7 ottobre 2009, n. 41322), oltre a porsi in contrasto con i principi innanzi illustrati, determinerebbe un’inaccettabile diversità di trattamento a seconda della eventualità, del tutto casuale, di un rapporto esecutivo unico, conseguente al cumulo, ovvero di distinte esecuzioni dipendenti dai titoli che scaturiscono dalle singole condanne. Una conclusione del genere si porrebbero in contrasto con i principi costituzionali di ragionevolezza, di uguaglianza e della funzione risocializzante della pena e non troverebbe una giustificazione plausibile e razionale nel principio della pena unica, sancito dall’art. 76 c.p., comma 1 (cfr. in tal senso Sez. Un. 30 giugno 1999, n. 14; Sez. 1, 26 marzo 1999, n. 2529; Sez. 1, 12 aprile 2006, n. 14563; cfr. anche Corte Cost. sent. n. 386 del 1989).

4.3 L’approdo ermeneutico in precedenza illustrato appare altresì coerente con la ricostruzione dell’istituto dell’affidamento in prova in casi particolari operata dalla Corte Costituzionale (ordinanza n. 367 del 1995 e sentenza n. 377 del 1997) secondo cui l’istituto disciplinato dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 "pur inserendosi come species del genus dell’affidamento in prova già previsto dall’ordinamento penitenziario, rappresenta una risposta…differenziata dell’ordinamento penale" che trova la sua giustificazione nella "singolarità della situazione dei suoi destinatari", ossia le persone tossicodipendenti o alcooldipendenti.

Nell’affidamento in prova terapeutico, fondato su presupposti specifici e autonomi (accertato stato di tossicodipendenza e idoneità del programma terapeutico ai fini del recupero del condannato) assume, quindi, un rilievo preminente la cura dello stato di tossicodipendenza e il recupero da tale condizione.

5. Per tutte le ragioni sin qui esposte s’impone, quindi, l’annullamento dell’ordinanza impugnata e il rinvio per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma il quale, ai sensi dell’art. 627 c.p.p., comma 3, si uniformerà ai principi sopra enunciati e dovrà valutare se, operato lo scioglimento del provvedimento di unificazione di pene concorrenti, sia possibile imputare la pena già espiata ai reati ricompresi nell’elenco di cui alla L. n. 354 del 1975, art. 4 bis e successive modificazioni con conseguente ammissibilità della prosecuzione della misura dell’affidamento terapeutico (D.P.R. n. 309 del 1990, art. 94 e successive modifiche) in precedenza concessa.
P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2012

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