Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-07-2012, n. 11956 Rimborso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CTR della Campania, con sentenza n. 92/33/10, depositata il 21.4.2010, ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate avverso la decisione con la quale la CTP di Napoli aveva accolto il ricorso proposto da O.G. contro il silenzio rifiuto sull’istanza di rimborso della trattenuta IRPEF, anni 2001-2005, operata dall’I.P.SE.MA., sull’indennità per inabilità temporanea assoluta di cui al R.D. n. 1918 del 1937. I giudici d’appello hanno ritenuto l’indennità in questione non assoggettabile ad imposta, ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 34, perchè erogata non in funzione sostitutiva della retribuzione, nel periodo di impedimento, ma di sussidio, a carattere assistenziale, in favore del personale marittimo temporaneamente svantaggiato.

Avverso tale sentenza, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, successivamente illustrato con memoria. Il contribuente resiste con controricorso.
Motivi della decisione

Con un unico motivo, la ricorrente denunciando violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 1918 del 1937, artt. 6 e 24, convertito nella L. n. 831 del 1939; del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 82; del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 42; D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 6 e 48, osserva che l’assunto della CTR, secondo cui l’indennità ha natura assistenziale, non tiene conto del fatto che la stessa viene erogata nei casi in cui la malattia impedisca "totalmente e di fatto all’assicurato di attendere al lavoro" ed è, quindi, col legata alla sussistenza del rapporto di lavoro, in funzione integrativa della retribuzione perduta durante il periodo dell’inabilità. L’indennità in questione, prosegue la ricorrente, è volta non a risarcire un danno alla salute a seguito dell’infortunio subito, ma ad integrare e ricostruire il reddito da lavoro dell’interessato, durante il periodo dell’inabilità, e costituisce, pertanto, reddito imponibile, al pari di tutte le somme corrisposte da parte del datore di lavoro, o, come nella specie, da un suo sostituto, trovando la fonte della sua obbligatorietà nella perdita del reddito per il periodo previsto dalla legge. Il controricorrente afferma, per contro, che l’indennità è esente dall’imposta in virtù del R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 24, norma che afferma esser, tuttora, in vigore, in base al principio secondo cui la legge posteriore generale non abroga la precedente speciale, e perchè fatta salva sia dall’art. 135 (ora art. 191) del T.U.I.R., che dalla L. n. 9 del 2009, art. 1, comma 2.

Il ricorso è fondato. Il R.D.L. 23 settembre 1937, n. 1918, art. 6, convertito nella L. n. 831 del 1939, contenente la disciplina dell’assicurazione contro le malattie per la gente di mare, riconosce ai lavoratori marittimi, in caso di malattia, oltre all’assistenza medico-chirurgica gratuita, compreso il ricovero ospedaliero, ed alla somministrazione dei medicinali e di altri mezzi terapeutici, anche una indennità giornaliera nella misura del 75% del salario "effettivamente goduto dall’assicurato alla data dell’annotazione di sbarco sul ruolo" (successivo art. 10, comma 1) sino alla guarigione clinica e per la durata massima di un anno dalla medesima annotazione di sbarco sul ruolo. In base all’art. 24, comma 2, del medesimo R.D.L., "le indennità e gli assegni a favore degli assicurati o dei loro aventi diritto per le prestazioni previste dal presente decreto sono esenti dall’imposta di ricchezza mobile". La questione della perdurante vigenza di tale esenzione, postulata dal controricorrente, va risolta negativamente. La L. n. 825 del 1971, nel delegare il Governo ad emanare la riforma dell’intero sistema tributano, da una parte, ha espressamente abolito, tra le altre, l’imposta di ricchezza mobile (art. 1), e dall’altra, ha dettato i criteri per la disciplina della materia delle esenzioni, delle agevolazioni e dei regimi sostitutivi, in modo da "limitare nella maggior possibile misura le deroghe ai principi di generalità e di progressività" (art. 9), demandando, pure, la previsione delle condizioni e dei limiti entro i quali le esenzioni, le agevolazioni o i regimi sostitutivi avrebbero potuto esser fatti valere, in via transitoria, dopo l’entrata in vigore dei decreti delegati (art. 15). Abolita, per effetto del D.lgs. n. 597 del 1973, art. 82, a decorrere dal 1 gennaio 1974, l’imposta sui redditi di ricchezza mobile, è rimasta, in conseguenza, caducata (circa tre decenni prima del periodo qui in rilievo) l’invocata disposizione agevolativa, che a quel sistema, testualmente, si riferiva: le norme che riconoscono benefici ed agevolazioni sono, infatti, per loro natura, di stretta interpretazione ed, essendo connesse agli specifici presupposti e scopi di ciascun sistema impositivo, non possono transitare da un’imposta all’altra (cfr. Cass. n. 11787 del 2010, in tema di ICI);

principio che vale tanto più nella specie, in cui viene in rilievo un tributo, a carattere reale, che è stato abrogato per esser sostituito da un impianto impositivo, a carattere reddituale, del quale costituisce una componente. Resta da aggiungere che la disposizione dell’art. 135 (ora, art. 191) del T.U.I.R., secondo cui restano salve le agevolazioni stabilite dalle leggi speciali, si riferisce, ovviamente, all’assetto fiscale dell’IRPEF (e dell’IRPEG), e non vale a mantener ferme, sine die, esenzioni ed agevolazioni concepite in funzione di sistemi cessati; senza dire che il D.P.R. n. 601 del 1973, nel riordinare la disciplina delle agevolazioni, dispone, pure, espressamente all’art. 42, l’abrogazione e la cessazione dell’efficacia di tutte le disposizioni concernenti le esenzioni e le agevolazioni, diverse da quelle considerate nel decreto stesso o in altri decreti emanati in attuazione della citata Legge Delega n. 825 del 1971. Così convenendo, la circostanza che la disciplina dell’Assicurazione contro le malattie della gente di mare di cui alla L. n. 831 del 1939, già inclusa dal D.L. n. 200 del 2008, art. 2 (All. 1, voce 21976) nell’elenco di quelle oggetto di abrogazione espressa, sia stata espunta dal detto elenco con la legge di conversione (L. n. 9 del 2009, art. 2, comma 1) non vale, di certo, a reintrodurre l’invocata disposizione agevolativa, ma, solo a far salve quelle disposizioni dello stesso RDL, che, a differenza di quella contemplata nell’art. 24, erano, ancora, vigenti nel 2008.

A norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 48, comma 1, "il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutti i compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di partecipazione agli utili in dipendenza del rapporto di lavoro, comprese le somme percepite a titolo di rimborso di spese inerenti alla produzione del reddito e le erogazioni liberali" ed, in modo non dissimile, il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 51, comma 1 (entrambi qui in rilievo in relazione alle annualità d’imposta, oggetto del ricorso) sancisce che il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro. A mente dell’art. 6, comma 2, del T.U.I.R. "i proventi conseguiti in sostituzione di redditi … e le indennità conseguite … a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti". Dalla lettura coordinata di tali norme si ricava che vanno considerati redditi da lavoro dipendente, assoggettati ad IRPEF, tutti i proventi e le indennità derivanti da un rapporto di lavoro, anche se conseguiti in sostituzione di redditi, o a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi (cfr. Cass. 16014/04).

Tale natura va riconosciuta all’indennità giornaliera, di cui si tratta: essa viene, infatti, corrisposta (R.D.L. n. 1918 del 1937, art. 1, comma 2) dall’ente previdenziale in caso di alterazione dello stato di salute (non dipendente da infortunio sul lavoro o da malattia professionale) che comporti un’inabilità al lavoro, assoluta o parziale, del personale regolarmente iscritto sul ruolo d’equipaggio o comunque imbarcato per servizio della nave (art. 3), quando, a causa di malattie "manifestatesi durante l’arruolamento", sia impedito, totalmente e di fatto all’assicurato di attendere al lavoro, viene erogata in misura proporzionale (75%) al salario effettivamente goduto dall’assicurato "alla data dell’annotazione di sbarco sul ruolo" (sino alla guarigione clinica e per la durata massima di un anno dalla medesima annotazione, art. 6 cit.).

L’art. unico della L. n. 1486 del 1962, integra la tutela previdenziale in esame, disponendo che i marittimi che, all’atto della cessazione dell’assistenza per malattia, siano dichiarati temporaneamente inidonei hanno diritto, per il periodo di inabilità fino al massimo di un anno, ad un’indennità giornaliera pari al 75 per cento del salario effettivamente goduto dall’assicurato, alla data dell’annotazione di sbarco sul ruolo, escluso il compenso per lavoro straordinario. Il dettato normativo in esame indica, univocamente, che l’oggetto dell’assicurazione obbligatoria è costituito nell’inabilità temporanea al lavoro (cfr. Cass. n. 1368 del 1993) e che l’obbligo, per l’ente previdenziale, di corrispondere l’indennità (anche quella di cui alla L. n. 1486 del 1962) sorge in ipotesi d’impedimento alla prestazione lavorativa, sicchè non può esser revocata in dubbio la sua natura di reddito sostituivo della retribuzione, non percepita a causa dell’inabilità temporanea del lavoratore marittimo alla prestazione per cui era già stato ingaggiato o avrebbe potuto esserlo (nei limiti di cui alla L. n. 1486 del 1962), in quanto tale, da assoggettare ad imposta ai sensi del citato art 6, comma 2, del T.U.I.R..

In accoglimento del ricorso, la sentenza, che non si è attenuta agli esposti principi, va, in conclusione, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può esser decisa nel merito col rigetto del ricorso del contribuente. Le spese giudiziali relative ai due gradi di merito vanno compensate tra le parti, mentre il controricorrente va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 800,00, oltre a spese prenotate a debito.
P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del giudizio.

Compensa le spese dei due gradi di merito e condanna il controricorrente al pagamento di quelle del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 800,00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012

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