Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-07-2012, n. 11953

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società contribuente propose ricorso avverso cartella di pagamento per Irpeg ed Iva, iscritte a ruolo (unitamente ad interessi e sanzioni) in esito alla liquidazione della dichiarazione per l’anno d’imposta 2001 (Unico 2002) ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis.

La cartella – notificata il 2.3.2006 e, peraltro, integralmente sgravata, in data 26.4.2006, quanto agli importi iscritti a titolo di irpeg – era fondata, quanto alla pretesa relativa all’iva, sul disconoscimento della detrazione, nella dichiarazione relativa all’annualità 2001, del credito d’imposta maturato nell’anno 2000, regolarmente computato nella mensilità di competenza, ma non riportato nella correlativa dichiarazione annuale, in quanto non presentata.

A fondamento del ricorso, la società contribuente deciuceva la nullità della cartella per difetto di motivazione e tardiva iscrizione a ruolo. In via subordinata, deduceva l’illegittimità della sanzioni irrogate per evidenti responsabilità del soggetto incaricato in merito all’omessa consegna della dichiarazione annuale per l’anno 1999.

Sull’opposizione dell’Agenzia, l’adita commissione provinciale accolse il ricorso, reputando inidoneamente motivato l’atto impugnato.

In esito all’appello dell’Agenzia delle Entrate, la decisione fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale, che riaffermò la legittimità della cartella.

I giudici del gravame in particolare, rilevato che la società contribuente aveva presentato istanza di condono tombale L. n. 289 del 2002, ex art. 9, per le annualità dal 1997 al 2002, affermarono che il condono precludeva qualsiasi indagine sulla spettanza del credito. Rilevarono inoltre: che la cartella era idoneamente motivata; che la società contribuente non aveva dimostrato la responsabilità dell’intermediario per la presentazione della dichiarazione relativa all’anno 1999; che la società contribuente non aveva svolto alcuna altra contestazione di merito.

Avverso la sentenza di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione in nove motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso – deducendo "violazione e/o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 1, commi 1 e 3 e della L. n. 241 del 1990, art. 3" – la società contribuente censura la decisione impugnata per aver ritenuto idoneamente motivato la cartella opposta.

La doglianza è inammissibile, in quanto urta contro l’accertamento in fatto del giudice a quo, che – come emerge dalla lettura della sentenza ed è, del resto, riportato nello stesso ricorso – ha positivamente riscontrato l’idoneità della motivazione in relazione alle caratteristiche dell’atto ed alla peculiarità della fattispecie. A fronte di tale accertamento del giudice del merito, le critiche svolte dal contribuente alle determinazione della sentenza impugnata in merito alla ritenuta idoneità della motivazione dell’atto fiscale avrebbero, semmai, potuto assumere rilievo in prospettiva di vizio motivazionale, ma non in quella di violazione di legge.

Con il secondo motivo di ricorso – deducendo "omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio" – la società contribuente lamenta la decisione (solo implicita) dell’eccezione di decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento per tardività dell’iscrizione a ruolo.

Con il terzo motivo di ricorso – deducendo "omessa motivazione circa un fatto controverso" – la società contribuente censura, perchè solo apodittica, l’affermazione del giudice a quo, secondo cui il condono tombale preclude la valutazione della spettanza del credito d’imposta.

Consistendo nella prospettazione di altrettanti vizi di motivazione su questioni giuridiche, le doglianze sono inammissibili.

Il vizio di motivazione in diritto non può, infatti, assumere, di per sè, ruolo di idoneo motivo di ricorso per cassazione, poichè, se il giudice del merito decide correttamente una questione di diritto sottoposta al suo esame e, tuttavia, non sostiene la determinazione con alcuna argomentazione ovvero la supporta con argomentazioni inadeguate, illogiche o contraddittorie, ha luogo, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., la correzione della motivazione della sentenza impugnata da parte del giudice di legittimità (cfr. Cass. 16640/05, 11883/03).

Con il settimo motivo di ricorso – deducendo "insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso" – la società contribuente censura la decisione impugnata per averle attribuito di non aver svolto alcuna difesa di merito, limitando la propria impugnazione al solo aspetto formale, e richiama giurisprudenza secondo cui il contribuente non perde il diritto al rimborso, pur in assenza di dichiarazione annuale, ove abbia puntualmente annotato il credito d’imposta in contabilità e nelle dichiarazioni mensili.

La doglianza e inammissibile, giacchè del tutto generica e, di per sè, sostanzialmente irrilevante, quanto al primo profilo, ed incoerente con il vizio denunciato, quanto al secondo.

Con il quinto motivo di ricorso – deducendo "nullità della sentenza per omessa pronunzia" – la società contribuente lamenta che il giudice di appello non si è pronunziato, come richiesto nelle proprie controdeduzioni di appello, sull’ammissibilità delle prove tese ad attestare l’avvenuta consegna della dichiarazione per l’anno 2000 all’intermediario e, con essa (sembrerebbe), la presentazione della dichiarazione relativa all’annualità in questione in contraddizione con la tesi dell’Agenzia.

Con il nono motivo di ricorso – deducendo "insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso" – la società contribuente si duole, sotto il profilo del vizio di motivazione, del rigetto della doglianza relativa alla ricorrenza della responsabilità dell’intermediario.

Le censure sono inammissibili perchè irrilevanti, posto che l’eventuale dimostrazione della consegna della dichiarazione all’intermediario non comprova, di per sè, anche la presentazione della dichiarazione. Esse sono, peraltro, del tutto carenti sul piano dell’"autosufficienza" non fornendo descrizione alcuna delle prove di cui la società contribuente ha, al riguardo, richiesto l’ammissione nè delle modalità di relativa deduzione.

La riscontrata necessità di disattendere le doglianze in precedenza esaminate rende superfluo l’esame degli ulteriori motivi, tutti tesi a contrastare l’assunto del giudice a quo circa l’impossibilità di valutare i presupposti del credito d’imposta in presenza di condono.

Deve, invero, rilevarsi che, disattese le sopra riportate doglianze, la legittimità dell’atto impugnato risulta, in base alle contrapposte prospettazione delle parti, definitivamente confortato dal rilievo che il credito Iva recuperato – maturato nell’anno 2000, regolarmente computato nella mensilità di competenza, ma non riportato nella correlativa dichiarazione annuale, in quanto non presentata – è stato posto in detrazione nell’annualità successiva.

Infatti, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di I.v.a. (da cui non vi è motivo di discostarsi), in caso di inosservanza dell’obbligo della dichiarazione annuale, al contribuente, è preclusa, in forza della complessiva disciplina dell’imposta, la possibilità di recuperare il credito d’imposta maturato in detta annualità attraverso il trasferimento della correlativa detrazione nel periodo d’imposta successivo, pur se detto credito sia stato regolarmente annotato nella dichiarazione mensile di competenza; ciò fermo restando tuttavia, in applicazione del successivo art. 30 comma 2, il diritto del contribuente al soddisfacimento del credito mediante rimborso (cfr. Cass. 20040/11, 21947/07, 11584/06, 16477/04, 19495/03, 1029/02, 1823/01), ai fini del quale non rileva l’esposizione del credito nella dichiarazione annuale, ma soltanto il suo obiettivo riscontro documentale (cfr.

C.G. 11.7.2002 C-69/00, Liberexim BV, Cass. 22774/06, 2274/04).

Alla stregua delle considerazioni che precedono previa correzione della motivazione della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4, s’impone il rigetto del ricorso della società contribuente.

Per la soccombenza, la società contribuente va condannata alla refusione delle spese del giudizio in favore della controparte, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

la Corte: rigetta il ricorso; condanna la società contribuente alla refusione delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012

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