Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-10-2012) 16-11-2012, n. 44888 Indulto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza depositata il 3 novembre 2011 il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, quale giudice dell’esecuzione, rigettava l’opposizione proposta nell’interesse di M.G. avverso l’ordinanza del 21 giugno 2011 con la quale, da parte dello stesso tribunale, era stata rigettata la sua richiesta di applicazione dell’indulto di cui alla L. n. 241 del 2006 alla pena inflitta con sentenza n. 1127 del 2005, per il reato di cui agli artt. 110, 81 e 56 c.p., art. 629 c.p., comma 2 e L. n. 203 del 1991, art. 7.

Ha osservato il giudice dell’esecuzione che nel caso in esame andava affermata la ricorrenza della ipotesi ostativa di cui all’art. 1, comma 2, lett. d) della invocata legge, posto che lo specifico disposto normativo induceva a considerare escluse dal beneficio, accanto alle ipotesi di delitti consumati, anche quelle dei delitti solo tentati.

Rilevava altresì il tribunale che la sentenza richiamata dalla difesa istante, Cass., sez. 1, n. 8316/2009, ha riguardato reati compresi nella L. n. 241 del 2006, art. 1, lett. a) e b) dispositiva dell’indulto, il cui tenore semantico è diverso da quello di cui alla lett. d), circostanza questa giustificata dalla necessità per il legislatore di mantenere una più severa disciplina per i reati aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7.

2. Avverso detta ordinanza ricorre per cassazione il M., chiedendone l’annullamento per violazione della L. n. 241 del 2006, art. 1, lett. d).

A sostegno dell’impugnazione la difesa ricorrente denuncia l’illegittimità della parificazione operata dai giudicanti territoriali delle ipotesi delittuose tentate con quelle consumate, giacchè non prevista dalla legge ed in contrasto con la più recente giurisprudenza di legittimità, la quale ha fatto leva, ai fini della interpretazione delle norme richiamate, sulla autonomia del delitto tentato.

3. Il ricorso non può trovare ingresso.

Non condivide il Collegio la doglianza relativa alla inesatta interpretazione data dalla corte di merito alla L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 2, lett. d) in base alla quale il Giudice del merito si è indotto a negare l’applicazione dell’indulto sul rilievo che detta norma, facendo riferimento ai reati aggravati ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, comprende, a differenza della elencazione di cui alla lett. a) che viceversa indica le ipotesi delittuose escluse dal beneficio singolarmente, tutti i reati, consumati o tentati purchè aggravati nei termini anzidetti.

Diversa, come già anticipato, è infatti l’indicazione normativa della lett. a) della norma citata, la quale non contempla le ipotesi tentate ma solo e soltanto quelle consumate, non assimilabili alle prime dappoichè ipotesi del tutto autonome rispetto ad esse secondo costante e reiterata lezione ermeneutica di questa corte di legittimità.

Atteso poi il richiamo difensivo a precedente indirizzo di questa Corte, giova precisare che Cass. sez. 1, 10.12.2009, n. 8316 ha avuto modo di sostenere principi di diritto diversi da quelli accreditati dal ricorrente attraverso una lettura di quella pronuncia per così dire estensiva, e precisamente:

A. l’indiscutibile autonomia del reato tentato non impone che il richiamo della norma alla fattispecie di un individuato delitto comprenda anche la ipotesi del correlato delitto tentato, dovendosi far capo alla norma di richiamo per rinvenire gli elementi al fine di considerarlo espressamente compreso ovvero escluso;

B. le previsioni di esclusione di cui all’art. 1, comma 2, lett. a) ovvero di cui alla successiva lett. b) operano sempre una selezione specifica e chiusa, vuoi richiamando l’articolo e la rubrica (lett. a) vuoi rinviando ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 semprechè aggravati ai sensi dell’art. 80 o a quelli di cui all’art. 74, nè tra i primi nè tra i secondi essendo all’evidenza comprensibili i delitti "tentati";

C. la chiave di lettura corretta secondo legge e, quel che rileva, secundum costitutionem, non può che portare a negare ingresso a qualsiasi interpretazione estensiva del chiaro dettato di esclusione, ancor più ove esso sia sorretto da una valutazione di disvalore sociale correlato al trattamento sanzionatorio previsto dalle norme richiamate, sicchè è solo con riguardo a quei delitti puniti con quel trattamento che è stata intesa la scelta di escludere l’applicazione del provvedimento di clemenza.

Puntualmente applicando, pertanto, l’appena riportata lezione interpretativa di questa Corte, va in conclusione pienamente condivisa la tesi del giudice a quo secondo cui il principio di diritto con essa affermato è riferito alla L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 2, lett. a) e b), e non già alle ipotesi di cui alle lett. c), d) ed e) successive.

4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso in esame deve essere rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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