Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-10-2012) 16-11-2012, n. 44883

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza in data 12 aprile 2010 il Tribunale monocratico di Asti assolveva C.A. e G.C., gestori di un bar in (OMISSIS), dal reato di violazione continuata dell’art. 659 c.p., contestato dalla pubblica accusa perchè, nell’anzidetta qualità, disturbavano anche in ora notturna il riposo e le occupazioni delle persone abitanti nella zona, non impedendo i rumori prodotti dagli schiamazzi degli avventori del loro esercizio tenuto aperto anche oltre l’orario consentito.

1.2 Contro tale decisione proponevano ricorso in appello la parte civile costituita in prime cure ed il rappresentante della pubblica accusa e la corte adita, con sentenza del 7 giugno 2011, confermava la sentenza appellata.

A sostegno della pronuncia i giudici distrettuali valorizzavano le testimonianze del comandante della stazione cc. del luogo e del vigile urbano P.M., i quali, all’esito di ripetute attività di controllo eseguite anche con appostamenti di copertura, ebbero a dichiarare di non aver accertato alcuna infrazione imputabile ai prevenuti, nonchè le testimonianze di vicini di causa della parte civile, i quali escludevano di essere stati disturbati dal rumore del bar. In riferimento poi alle immagini registrate dalla parte civile e copiosamente offerte ai giudicanti, rilevava la corte territoriale, criticamente valutandole, che nulla di penalmente rilevante dalle medesime appariva desumibile.

Di qui, ad avviso della corte di appello, l’insufficienza del quadro probatorio a sostegno dell’accusa contestata.

2. Ricorre per cassazione avverso la sentenza di secondo grado la parte civile G.G., evidentemente ai soli effetti della responsabilità civile ai sensi dell’art. 576 c.p.p., comma 1 sviluppando quattro motivi di impugnazione.

2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione dell’art. 659 c.p, sul rilievo che tale norma incriminatrice, secondo insegnamento del giudice di legittimità, sanziona altresì il titolare della gestione del locale aperto al pubblico in relazione ai rumori prodotti dai suoi avventori e questo anche quando i disturbi sono provocati nelle immediate vicinanze del locale, da avventori ed eventuali non avventori e dopo l’orario di chiusura.

2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia altresì la difesa ricorrente illogicità della motivazione in ordine ai presupposti assunti come fondanti della decisione assolutoria, quali l’assunto che le persone le quali bevono all’esterno del bar non sono avventori, l’osservazione che i tavoli e le sedie usati all’esterno non sono riconducibili agli imputati, l’assunto che i disturbatori devono essere in maggioranza riconducibili ai clienti del bar.

2.3 Col terzo motivo di ricorso denuncia ancora la difesa ricorrente la contraddittorietà della motivazione ed il travisamento della prova in ordine al superamento dell’orario di apertura dell’esercizio gestito dagli imputati e quanto all’allestimento di un dehor esterno abusivo, sul rilievo che l’assunto dei giudicanti risulta smentito dalla copiosissima prova in fotogrammi offerta dalla difesa e dagli esiti della consulenza di parte eseguita dal dott. Pi., pure escusso nel corso del processo.

2.4 Col quarto ed ultimo motivo di impugnazione denuncia nuovamente la difesa ricorrente difetto di motivazione in quanto ignorata del tutto la testimonianza della p.o., non considerate per nulla le risultanze della consulenza del dott. Pi. e non valutate le stesse dichiarazioni rese dall’imputato.

3. Nessuna delle sintetizzate doglianze ha fondamento, di guisa che il gravame deve essere rigettato con le conseguenze in ordine alle spese processuali previste dall’art. 616 c.p.p..

3.1 Ed invero il Tribunale ha, con adeguata motivazione aderente alle risultanze processuali e immune da vizi sindacabili in questa sede, ritenuto accertato in fatto che le persone che hanno provocato i lamentati disturbi erano soltanto in parte avventori del bar gestito dagli imputati, sito nella piazza centrale chiusa al traffico di un piccolo abitato, che detti disturbi non sono mai stati accertati in orari di apertura del bar medesimo dai rappresentati della forza pubblica e della vigilanza urbana nonostante gli eseguiti appostamenti con copertura, che non risulta provata una capacità espansiva, idonea cioè ad incidere sulla tranquillità di un numero indeterminato di persone, dei lamentati schiamazzi. Siffatte argomentazioni dei giudicanti, attesa la coerenza logica ed i richiami probatori a sostegno, rendono inammissibili tutti i rilievi del ricorso di legittimità sul tema della motivazione e precisamente il secondo, il terzo ed il quarto, in quanto palese è la loro natura di merito giacche volti i medesimi, a fronte di una lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata.

Va in particolare osservato che la corte distrettuale ha puntualmente valutato la prova in fotogrammi offerta dalla difesa di parte civile, del tutto correttamente ritenendola sub valente rispetto ai ripetuti accertamenti istituzionali del capitano dei cc. e della vigilanza urbana e che l’omissione valutativa degli esiti della consulenza di parte ovvero delle dichiarazioni testimoniali della p.o. ovvero ancora delle dichiarazioni di uno degli imputati, non riverbera in difetto motivazionale. In sede di legittimità, infatti, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata.

Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità, come nel caso in esame, quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (Cass., Sez. 2, 19/05/2004, n. 29434).

Nel caso di specie il punto decisivo della pronuncia idoneo ad assorbire le repliche motivazionali la cui omissione risulta come innanzi denunciata, sta nell’insussistenza di rumori percepiti da più persone e dalla deduzione logica che dall’insussistenza di tale presupposto consegue, altresì, l’inidoneità astratta dei rumori denunciati, anche quelli rilevati dalla consulenza di parte, ad integrare l’astratta ipotesi contravvenzionale contestata.

3.2 Con esplicito riferimento, invece, al rilievo di legittimità di cui al primo motivo di impugnazione ed alla reale portata incriminatrice della norma di cui all’art. 659 c.p., primo comma, che appare tipizzare la fattispecie concreta contestata, osserva la corte che di essa viene offerta dalla difesa una lettura giuridicamente errata.

Secondo accreditato insegnamento di questa Corte di legittimità infatti (sez. 1 28/03/03, P.M. in proc. Massazza, rv. 224.802; ovvero più recentemente sez. 1A, 03/12/2008, n. 48122) in situazioni quali quelle accertate nel processo, la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta anche l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare, con possibile ricorso ai vari mezzi offerti dall’ordinamento come l’attuazione dello ius excludendi e il ricorso all’autorità, che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica. Tale obbligo però non può estendersi anche oltre l’orario di apertura dell’esercizio medesimo, come pure ritenuto dal difensore, giacchè in tale ipotesi nessun obbligo può incombere sul gestore del pubblico locale, il quale non può essere chiamato ha rispondere di condotte ormai in nessun modo riferibili alla sua volontà, alla sua condotta ed alla sua responsabilità. Diversamente opinando si violerebbe il principio della personalità della responsabilità penale.

4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso in esame deve essere rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2012

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