Cass. civ. Sez. V, Sent., 13-07-2012, n. 11929 Esenzioni e agevolazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’AGMIN ITALY SRL con sede in (OMISSIS), rimasta aggiudicataria dell’appalto per la fornitura ed il trasporto di latte alimentare u.h.t. a lunga conservazione, da distribuire a persone indigenti nel territorio della Comunità, dopo essersi approvvigionata presso una azienda ungherese, richiedeva la Dogana di Trieste di poter godere del regime di esenzione da dazi doganali, tenuto conto che trattavasi di mercè non commerciale da distribuire per finalità benefiche.

All’esito di alterne vicende, la Dogana negava l’invocato beneficio dell’esenzione, con la conseguenza che, in mancanza del dovuto pagamento, gli automezzi adibiti al trasporto della merce in questione, provenienti dall’Ungheria, rimanevano bloccati al confine.

L’AGMIN ITALY SRL, paventando gravi ed irreparabili pregiudizi connessi alla situazione di stallo, propose ricorso ex art. 700 c.p.c., innanzi al Tribunale di Trieste.

L’adito Giudice accolse il ricorso, autorizzando, dietro cauzione, la immissione nel territorio Italiano del prodotto fermo al confine.

Indi, con sentenza n. 230/03, in data 22.01.2003, il Tribunale di Trieste, pronunciando ex art. 669 octies c.p.c., dichiarava che tutto il quantitativo di latte di cui al contratto di fornitura e trasporto di che trattasi, introdotto in Italia, tramite la Dogana di (OMISSIS), dalla Agmin Italy Srl, aveva titolo a beneficiare della franchigia dei dazi, a norma dell’art. 65 del Regolamento CEE n. 918/83, e che, quindi, non era dovuto alcun diritto doganale.

Tale decisione veniva appellata, sia dall’Agenzia delle Dogana, sia pure, limitatamente al capo relativo alla condanna alle spese giudiziali, dall’AGEA. Con sentenza n. 194/2007, in data 16/21 marzo 2007, l’adita Corte di Appello di Trieste, Sezione Prima Civile, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Dogane, ritenendo legittima la pretesa erariale e rigettando, per l’effetto, le domande proposte dalla società Agmin Italy srl, con compensazione integrale delle spese giudiziali dei due gradi.

Con ricorso notificato il 29 aprile 2008, la società Agmin Italy Srl ha impugnato la decisione di appello, con quattro mezzi, che ha ulteriormente illustrato con memoria 28.12.2011.

Resiste, con controricorso notificato il 05 giugno 2008, l’Agenzia delle Dogane, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.

Resiste, altresì, l’AGEA, la quale, con controricorso notificato il 14 giugno 2008, ha chiesto, il rigetto del ricorso per cassazione, insistendo, poi, con successiva memoria, ex art. 378 c.p.c., in data 28.12.2011, nelle rassegnate domande.
Motivi della decisione

Con il primo motivo la decisione di appello viene censurata per mancata applicazione dell’art. 65 comma 1 lettera a) del Regolamento CEE n. 918/1983 del 28.03.1983 e falsa applicazione del Regolamento CEE n. 3149/1992 del 29.10.1992, nonchè per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, con omessa e/o insufficiente motivazione.

Si deduce che i Giudici di appello non avrebbero dato contezza del percorso seguito per giungere a negare applicazione alle disposizioni dell’art. 65 del Regolamento CEE n. 918/1983, alla cui stregua è consentito agli enti statali di importare in franchigia di dazi dai paesi extracomunitari beni di prima necessità da distribuire gratuitamente a persone bisognose.

Con il secondo mezzo si denuncia la violazione degli artt. 2, 3, 24, nonchè da 136 a 145 del Trattato istitutivo della CE, ed altresì dell’art. 201 del Regolamento CEE n. 2913/92 del 12.10.1992. Si deduce che la decisione impugnata "è nulla difettando di una motivazione da cui possa rilevarsi la sussistenza o meno della eadem ratio di carattere essenzialmente sociale tra l’art. 65 del Regolamento CE 318/83 sulle franchigie, ed il Regolamento CE 3149/92 sulle scorte d’intervento, cosicchè l’esclusione dell’applicabilità dell’art. 65 costituisce violazione della normativa comunitaria con riguardo alla protezione sociale dei cittadini".

Con il terzo motivo si evidenzia l’omesso esame e valutazione delle prove documentali, prospettandosi il vizio di motivazione su punto decisivo della controversia, nella considerazione che gli elementi risultanti dalle stesse erano idonei a giustificare una opposta decisione.

Con il quarto mezzo, infine, la decisione di merito viene censurata per falsa applicazione degli artt. 1411 e 1559 c.c., nonchè per violazione degli artt. 1376, 1472 e 1552 c.c., sostenendosi che la Corte di merito avrebbe dato una erronea qualificazione giuridica al contratto di che trattasi.

Rileva il Collegio che la Corte di merito è pervenuta alla rassegnata decisione, ritenendo e dichiarando che, nel caso, non competeva la franchigia dai dazi all’importazione, di cui all’art. 65 del Regolamento CEE n. 918/1983, spettante agli enti statali od a carattere caritativo o filantropico, per le merci di prima necessità, da distribuire gratuitamente a persone bisognose, sotto un duplice profilo: per un verso, in quanto l’invocata disposizione non tornava applicabile alla fattispecie, stante il fatto che l’operazione era disciplinata dal Regolamento CEE n. 3149/1992, il quale prescriveva che il latte da distribuire ai bisognosi residenti nel territorio comunitario, venisse reperito all’interno del mercato della comunità europea o, in mancanza, "comunitarizzato" mediante il pagamento dei diritti daziari; sotto altro aspetto, in quanto quello intercorso tra la società e l’AGEA, è qualificabile come contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.), con elementi propri anche di quello di somministrazione (art. 1559 c.c.), caratterizzato dalla piena autonomia delle parti contraenti e, segnatamente, per ciò che attiene alla società Agmin, dall’obbligo di acquisizione della proprietà del prodotto e del relativo trasporto in Italia e, quindi, in ipotesi – come accaduto – l’acquisto venga effettuato in paese extracomunitario, di provvedere al pagamento dei diritti doganali.

Avuto riguardo alla ratio della decisione impugnata, il Collegio, esaminati gli atti di causa e le ragioni esposte dalle parti, ritiene che siano infondati e da respingere i primi due motivi del ricorso, i quali, avuto riguardo alla stretta connessione, vanno trattati congiuntamente.

La questione posta dai mezzi riguarda la disciplina comunitaria applicabile al caso, sostenendosi, da parte della ricorrente, che avrebbero errato i Giudici di appello ad affermare l’inapplicabilità dell’art. 65 del Regolamento CEE n. 918/1983 ed a ritenere, invece, che la fattispecie dovesse ritenersi disciplinata dal Regolamento CEE n. 3149/1992.

Ritiene il Collegio che le censure non colgano nel segno e non possano essere condivise e che, quindi, la decisione della Corte di merito, sul punto, vada confermata.

L’art. 65 del Regolamento CEE n. 918/1983, la cui applicazione è invocata dalla ricorrente, nella parte che qui rileva, è del seguente tenore "sono ammesse in franchigia dai dazi all’importazione, purchè ciò non dia luogo a gravi abusi o distorsioni di concorrenza: a) le merci di prima necessità importate da enti statali o da altri enti a carattere caritativo o filantropico riconosciuti dalle autorità competenti e destinate ad essere distribuite gratuitamente a persone bisognose".

L’inequivoco tenore della disposizione, induce, ragionevolmente, a ritenerne l’inapplicabilità alla fattispecie, tenuto conto che le franchigie doganali ivi previste, possono essere riconosciute solo in presenza di due presupposti, l’uno di carattere oggettivo, – ritenuto dai Giudici di appello sussistente,- che le operazioni riguardassero generi di prima necessità da destinare a soggetti bisognosi, e l’altro di carattere soggettivo, – ritenuto dai medesimi Giudici, invece, insussistente,- che l’importazione avvenisse ad opera di "enti statali o riconosciuti come aventi carattere caritativo o filantropico".

Essendo, nel caso, pacifico che le operazioni di importazione sono state curate dalla Agmin Italy srl, che è una società commerciale, priva del prescritto requisito, è consequenziale ritenere che mancasse, nel caso, uno dei due indefettibili presupposti, per l’applicazione dell’art. 65 citato.

La decisione della Corte di merito che, in tal senso opinando, ha coerentemente deciso, non giustifica, quindi, le formulate censure.

Anche l’altra affermazione, contenuta in sentenza, per la quale la disciplina comunitaria applicabile era quella prevista dal Regolamento CEE n. 3149/1992 è da condividere.

Infatti, il piano diretto alla distribuzione del latte ai bisognosi residenti nel territorio comunitario, di cui al bando di aggiudicazione di che trattasi, costituisce proprio attuazione del Regolamento CEE n. 3149/1992, ragion per cui è consequenziale ritenere che la disciplina applicabile vada ivi rinvenuta.

In base alle disposizioni di tale Regolamento, le forniture di derrate alimentari – nel caso latte – da distribuire ai bisognosi residenti nel territorio della CEE, dovevano essere acquisite dalle scorte d’intervento, "reperibili sul mercato comunitario".

Ne deriva che, alla stregua della disciplina comunitaria, specificamente applicabile, le operazioni di acquisizione e fornitura del latte, dovendosi, interamente, svolgere all’interno dei Paesi della Comunità, non ponevano problemi di importazione da paesi extracomunitari e, quindi, di pagamento di diritti doganali e, conseguentemente, escludevano l’esigenza di una disposizione pattizia che le stesse regolasse.

Nè, a conclusioni diverse da quelle qui rassegnate, in adesione all’operato del Giudice di appello, può indurre l’allegata circostanza, che la società è stata nella necessità di procedere all’acquisto del latte in Paese extracomunitario (Ungheria), sia pure da stabilimento della Parmalat Italia, a motivo che nel territorio della comunità non era riuscita a rinvenire le quantità necessarie ad evadere l’impegno.

A parte ogni considerazione circa la pertinenza e fondatezza di tale circostanza ed in ordine alla compatibilita dell’aggiudicazione con le regole fissate dal bando di gara, ritiene il Collegio, che la stessa, comunque, non possa assumere rilievo, agli effetti di che trattasi, tenuto conto che eventuali difficoltà di approvvigionamento afferiscono all’alea propria dell’attività imprenditoriale e che nel partecipare alla gara, indetta con bando pubblico prevedente espressamente acquisizioni di prodotti comunitari, era da tenere in conto anche il rischio, peraltro liberamente e volontariamente assunto con la formulazione dell’offerta, che sul territorio comunitario il dato prodotto non era reperibile e che lo stesso sarebbe stato prodotto e confezionato presso uno stabilimento della Parmalat Italia sito in Ungheria.

In buona sostanza, la società, aveva ben chiaro che il bando di gara prevedeva che il latte venisse acquisito nell’ambito delle scorte comunitarie dei Paesi della Comunità Europea e, ciò nonostante, si è indotta a fare una "singolare" offerta nella quale veniva esplicitamente indicato che lo stabilimento di produzione e confezionamento del prodotto era quello della Parmalat Italia ubicato in paese extracomunitario, cioè Ungheria; offerta, peraltro, sulla base della quale veniva effettuata l’aggiudicazione e disposti i controlli ispettivi.

Quindi una ponderata e precisa scelta imprenditoriale, della quale erano prevedibili conseguenze e possibili effetti, fra i quali quello, inevitabile in presenza di acquisizione extracomunitaria, del pagamento dei diritti doganali.

Fondato e da accogliere è, invece, il terzo motivo del ricorso, con il quale la società si duole che i Giudici di appello avrebbero omesso di esaminare e valutare elementi probatori, in ipotesi idonei a giustificare una diversa decisione.

In particolare, si afferma che dal contenuto, sia del verbale di aggiudicazione definitiva, sia della fattura emessa per la fornitura del prodotto, sia pure del provvedimento di incarico per le verifiche ispettive e di quell’altro con cui si convenivano le modalità del trasporto dall’Ungheria all’Italia, era possibile trarre utili elementi di valutazione per giungere a conclusioni diverse rispetto a quelle rassegnate e, segnatamente, per dedurre che, in base alle intese intercorse, la cessione del prodotto doveva ritenersi avvenuta in Ungheria.

In effetti, dalla indicata documentazione, che risulta pretermessa dai Giudici di appello, emergono elementi di incoerenza con la ricostruzione fattuale e giuridica operata dal l’impugnata sentenza, tenuto conto per un verso, che nel verbale di aggiudicazione definitiva venivano fissate le modalità, tutte, della fornitura, fra cui l’obbligo della fatturazione; sotto altro aspetto, che la fattura, poi, emessa per la fornitura, conteneva l’espressa annotazione "trattasi di merce ceduta all’estero prima dello sdoganamento in esenzione IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7", inoltre, che l’evidente contrasto tra il verbale di aggiudicazione – che ipotizzava l’emissione della fattura comprensiva di IVA, – e la fattura emessa in esenzione, palesava delle intese, diverse da quelle prefigurate in sentenza e compatibili con quelle altre prospettate, ancora, che tanto il trasporto del latte dall’Ungheria all’Italia quanto l’incarico dell’attività ispettiva in Ungheria, costituirono oggetto di separati contratti, regolati e contabilizzati autonomamente.

V’è, pure, da notare che le argomentazioni utilizzate in sentenza per affermare che quello intercorso tra le parti è "un semplice contratto a favore di terzi ai sensi dell’art. 1411 c.c., avente natura di fornitura (o, rectius di somministrazione preveduto dall’art. 1559 c.c.) risultano meramente assertive, sia perchè non risultano indicati i concreti e rilevanti elementi utilizzati nell’iter decisionale, sia pure perchè non vengono presi in considerazione quegli altri, specificamente indicati dalla ricorrente (anzi richiamati, in ipotesi, idonei a giustificare una decisione di segno opposto.

Ciò posto, ritiene la Corte che la decisione impugnata, pretermettendo l’esame dei citati documenti, contenenti elementi astrattamente idonei ad accreditare la tesi dell’esistenza di un accordo sopravvenuto in base al quale la mercè era stata ceduta all’estero prima dello sdoganamento, abbia fatto malgoverno sia del principio secondo cui "ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento" (Cass. n. 1756/2006, n. 890/2006), sia pure di quell’altro per cui "L’omesso esame di documenti, riconducibile al vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5) ricorre solo nel caso in cui questi si rivelino idonei a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo od estintivo del rapporto giuridico in contestazione, tanto da condurre ad una pronunzia diversa; il potere – dovere di stabilire se il documento di cui si lamenta l’omesso esame sia, sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza, tale da indirizzare ad una pronuncia diversa da quella adottata compete alla corte di cassazione in sede di esame del ricorso" (Cass. n. 9701/2003, n. 15112/2001).

Il quarto motivo del ricorso, con il quale si prospetta l’erronea qualificazione giuridica del contratto intervenuto tra le parti, avuto riguardo al fatto che il Giudice del rinvio è chiamato al riesame sulla base di elementi, astrattamente idonei, a provare l’esistenza di fatti modificativi dell’originario rapporto giuridico in contestazione, resta assorbito.

Conclusivamente, vanno rigettati i primi due motivi del ricorso, accolto il terzo e dichiarato assorbito il quarto.

In relazione al mezzo accolto, va cassata l’impugnata decisione e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Trieste, la quale procederà al riesame e, quindi, in applicazione del quadro normativo di riferimento e dei connessi e richiamati principi, deciderà nel merito ed anche sulle spese del presente giudizio di legittimità, offrendo congrua motivazione.
P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa l’impugnata decisione e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2012

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