Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-09-2012) 16-11-2012, n. 44966

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza di cui in epigrafe, il Tribunale di Castrovillari, in funzione di giudice di appello, ha riformato integralmente la pronunzia del GdP di quella stessa città, con la quale, nei confronti di V.G., imputato dei delitti di diffamazione e minaccia nei confronti di S.P. e dei delitti di ingiuria e minaccia nei confronti di B.L., era stato dichiarato ndp per la particolare tenuità del fatto.

2. Il giudizio di secondo grado è stato attivato dall’appello delle PP.CC. (ovviamente ai soli fini civili) e dal ricorso per cassazione (convertito in appello) del P.M..

3. Il giudice di secondo grado ha affermato la penale responsabilità dell’imputato in ordine a tutti i reati a lui ascritti e lo ha condannato alla pena di giustizia, oltre al risarcimento del danno alle costituite PP.CC. e alla rifusione delle spese da queste ultime sostenute per costituzione e difesa.

4. Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato e deduce:

4.1.a) violazione del D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 36 e artt. 581, 591, 597 c.p.p., atteso che, pur contenendo il dispositivo la formula della improcedibilità per la tenuità del fatto, la motivazione, viceversa, contiene valutazioni "di merito", con le quali si afferma la non raggiunta prova della colpevolezza dell’imputato. Ebbene, pur essendo principio generale quello in base al quale il dispositivo prevale sulla motivazione, se difforme, la stessa S.C. ha ritenuto che, in taluni casi, debba ritenersi il contrario, vale a dire quando sia inevitabile ritenere errato il dispositivo. Orbene, poichè il P.M., con il ricorso per cassazione, aveva dedotto soltanto la violazione del ricordato D.Lgs., art. 34 il giudice di appello non avrebbe potuto pronunziarsi nel merito, ma, al più, annullare la sentenza di primo grado, rimettendo gli atti al GdP;

4.2. b) violazione dell’art. 612 c.p., atteso che le espressioni usate non integrano minaccia. La contesa verbale tra il V. e le pretese PP.OO. fu originata dal fatto che S., servendosi della ditta del B., stava edificando un fabbricato nei pressi della abitazione dell’imputato. La regolarità di tale costruzione è stata posta in dubbio dagli organi competenti, tanto che il fabbricato è stato più volte sequestrato e il S. sottoposto a procedimento penale per la sospetta abusività della costruzione.

Le espressioni addebitate al V. non rappresentano minaccia di danno ingiusto, ma manifestazione della intenzione di agire per porre rimedierai danno paventato;

4.3.c) carenza di motivazione in ordine ai delitti di ingiuria e diffamazione, atteso che non è stata dimostrata la idoneità degli epiteti utilizzati a ledere l’onore, il prestigio, il decoro dei querelanti, dovendosi far riferimento a un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore, nonchè al contesto, nel quale le espressioni furono pronunziate. Inoltre la reciprocità delle accuse rende operativa la causa di non punibilità art. 599 c.p., ex comma 2.
Motivi della decisione

1. La prima censura è infondata.

1.1. Dalla lettura della sentenza di primo grado, si evince che il GdP ha effettivamente corredato il suo provvedimento di una motivazione all’apparenza contraddittoria. Invero, nella prima parte della sentenza si legge che, a parere del giudicante, sembrerebbe non raggiunta la prova della colpevolezza degli imputati. Tuttavia, nella pagine seguenti, si da per certo che le frasi di cui al capo di imputazione siano state pronunziate (pag. 3 da rigo 28 a seguire) e quindi si afferma (pag. 4 che "la esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonchè la sua occasionalità e il grado di colpevolezza inducono a ritere i fatti emersi in corso di causa di particolare tenuità e a non disporre ulteriore corso del processo".

Esiste dunque una sostanziale coerenza tra dispositivo e motivazione;

con la conseguenza che la impugnazione proposta dal PM era da considerarsi perfettamente in termini.

1.2. D’altra parte, il giudice di appello, investito -in sede di conversione del ricorso per cassazione – non deve limitarsi a effettuare il solo iudicium rescindens, come avviene nel giudizio di legittimità, ma deve estendere la sua cognizione anche al riesame del merito e, quindi, al iudicium resclssorium, applicandosi le regole tipiche che governano i poteri cognitivi del giudizio di appello (ASN. 201204496-251814).

2. Conseguentemente, il tribunale ha correttamente deciso, appunto, nel merito la questione della quale era stato investito.

3. Anche la seconda censura è infondata, atteso che le espressioni adoperate, per quel che si, legge in sentenza ( V. "ha promesso" ai suoi avversari che li avrebbe buttati sul lastrico, rovinati e distrutti), vanno ben al di là della prospettazione dei danni che gli stessi avrebbero potuto subire a seguito della eventuale decisione di agire in sede civile contro gli stessi e/o di attivare la giustizia penale per la supposta violazione della normativa edilizia. Il giudice di appello ha, per altro, evidentemente, tenuto presente anche il contesto in cui le espressioni furono pronunziate, vale a dire gli insulti che le accompagnarono.

4. La terza censura è manifestamente infondata. Premesso che in sentenza non vi è traccia della pretesa reciprocità delle offese, sta di fatto che le espressioni utilizzate ("merda, babbuino, barbagianni") sono state correttamente giudicate offensive. Trattasi di epiteti che, in qualsiasi contesto utilizzati, hanno una obiettiva valenza denigratoria in quando, assimilando un essere umano a un escremento, ovvero a un animale, ne negano qualsiasi dignità, in un processo di reificazione (e di assimilazione a una res comunemente ritenuta disgustosa) o, comunque, di disumanizzazione.

5. Consegue rigetto del ricorso e condanna del ricorrente alle spese del grado, nonchè al ristoro delle spese sostenute dalla PC che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonchè al rimborso delle spese sostenute, nel grado dalla parte civile, spese che liquida in complessivi Euro 3.300,00, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2012

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