Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 16-07-2012, n. 12163 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 22 febbraio 2008 presso la Corte d’appello di Catanzaro, C.F., C.R., Ce.Ro., C.N., in qualità di eredi di L. T.A., hanno chiesto il riconoscimento del loro diritto iure successionis all’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo, introdotto dalla loro dante causa dinnanzi al Tribunale di Lagonegro in data 6 dicembre 1995 e definito con sentenza in data 11 luglio 2006.

L’adita Corte d’appello di Catanzaro, rilevato che la dante causa degli istanti era deceduta il 12 dicembre 2005, riteneva che la durata complessiva del processo da considerare ai fini della sua ragionevole durata fosse quella compresa tra la citazione del dicembre 1995 e la data del decesso della parte, escludendo in capo agli istanti un qualsiasi patema d’animo per il periodo successivo a tale data. Rilevava quindi che la L.T., nel giudizio presupposto, aveva chiesto numerosi differimenti per la trattazione della causa ovvero non si era opposta a rinvii chiesti dalle altre parti, sicchè dalla durata complessiva del processo presupposto doveva essere detratto un periodo pari a due anni e otto mesi, con la conseguenza che il termine da prendere in considerazione era pari a sette anni e quattro mesi e che il periodo di durata irragionevole andava determinato in quattro anni e quattro mesi, stimando ragionevole per una controversia del tipo di quella presupposta, una durata di tre anni per il primo (e unico) grado di giudizio.

La Corte d’appello riconosceva quindi un indennizzo agli istanti, ciascuno in proporzione della propria quota ereditaria, di Euro 4.335,00, in ragione di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo.

Per la cassazione di questo decreto, C.F., C.R., Ce.Ro., anche nella qualità di eredi di C.N., tutti nella qualità di eredi di L. T.A., hanno proposto ricorso sulla base di un motivo;

l’intimata amministrazione non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e dell’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

I ricorrenti si dolgono del fatto che la Corte d’appello abbia detratto dalla durata complessiva del processo il periodo di due anni e otto mesi imputandolo alla condotta processuale della loro dante causa, sul rilievo che la stessa avrebbe chiesto differimenti nella trattazione della causa ovvero non si sarebbe opposta a rinvii chiesti dalle altre parti. Sostengono, in proposito, che dai verbali delle udienze nei quali sono stati disposti i rinvii considerati dalla Corte d’appello non emergeva affatto la volontà dilatoria della loro dante causa; anzi, la stessa aveva sollecitato l’anticipazione di un’udienza e aveva comunque chiesto "brevi rinvii".

Premesso cha la legittimazione attiva dei ricorrenti non ha formato oggetto di contestazione nel corso del giudizio di merito e che quindi deve ritenersi sussistente, il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato.

Questa Corte ha avuto modo di affermare che, ai fini dell’accertamento della durata ragionevole del processo, a fronte di una cospicua serie di differimenti chiesti dalla parte, o non opposti, e disposti dal giudice istruttore, si deve distinguere, come impone la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per la loro evidente irragionevolezza e pertanto, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione del processo, propri del giudice istruttore, è necessario individuare la durata irragionevole comunque ascrivibile allo Stato, ferma restando la possibilità che la frequenza ed ingiustificatezza delle istanze di differimento incida sulla valutazione del patema indotto dalla durata e conseguentemente sulla misura dell’indennizzo da riconoscere (Cass. n. 1715 del 2008).

Si è inoltre chiarito che in tema di diritto alla equa riparazione ex legge n. 89 del 2001, con riguardo alla valutazione, ai fini della eventuale ascrivibilità, nell’area della irragionevole durata del processo, dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il termine di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., la violazione della durata ragionevole non discende, come conseguenza automatica, dall’essere stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2. Da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, e non anche per la parte ascrivibile ad obiettive disfunzioni ed insufficienze del sistema, e cioè a carenze dell’ufficio giudiziario, pur in difetto di specifiche sue manchevolezze o colpe (Cass. n. 24356 del 2006; Cass. n. 11307 del 2010).

In particolare, si è precisato che qualora i rinvii superiori al termine ordinario di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., concessi dal giudice su richiesta delle parti, abbiano dato complessivamente luogo al superamento del limite ragionevole di durata del processo, i relativi periodi devono essere computati ai fini della determinazione dell’equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, nel determinare il risarcimento del danno, a fronte di un giudizio durato trenta anni, aveva scomputato dodici anni e quattro mesi – pari agli intervalli temporali tra le udienze – imputandoli al comportamento processuale delle parti) (Cass. n. 9 del 2008).

Orbene, nel caso di specie, la Corte d’appello ha detratto dalla durata complessiva del processo presupposto il periodo di due anni e otto mesi, riferendolo interamente al comportamento delle parti, pur avendo accertato che le richieste di rinvio formulate dalle parti erano state cinque. In tal modo, la Corte ha ritenuto implicitamente ragionevole un lasso di tempo tra un’udienza istruttoria e l’altra superiore a sei mesi, e cioè un termine che, pur considerando ordinatorio il precetto di cui all’art. 81 disp. att. cod. proc. civ., appare all’evidenza irragionevole, soprattutto se rapportato ad una causa che ha avuto una durata complessivamente irragionevole.

Il motivo di ricorso va quindi accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato. Non apparendo, peraltro, necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ritenendo che al comportamento delle parti possa, nel caso di specie, essere riferita una durata complessiva di un anno, sicchè alla durata irragionevole già accertata dalla Corte d’appello deve aggiungersi un anno e otto mesi, e cioè il lasso di tempo irragionevolmente intercorso tra un’udienza e l’altra in occasione dei cinque rinvii valutati dalla Corte territoriale.

Applicando quindi gli ordinari criteri di liquidazione praticati da questa Corte (750,00 euro per i primi tre anni di ritardo e 1.000,00 Euro per i successivi), dovendosi escludere che sul criterio di liquidazione possa formarsi il giudicato (Cass. n. 21143 del 2007), ai ricorrenti, in proporzione delle quote ereditarie, deve essere liquidata la complessiva somma di Euro 5.420,00, al pagamento della quale, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, l’amministrazione intimata deve essere condannata. Il Ministero intimato deve essere altresì condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, ferma la liquidazione già effettuata dalla Corte d’appello per il giudizio di primo grado. Sugli onorari si ritiene di applicare una maggiorazione del 20% per le parti ulteriori rispetto alla prima (Euro 865,00 per onorari + Euro 346,00 a titolo di maggiorazione) .
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore dei ricorrenti, in proporzione della quota a ciascuno spettante, della somma di Euro 5.420,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, ferma la statuizione in ordine alle spese. Condanna altresì il Ministero della giustizia al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.311,00, di cui Euro 1.211,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012

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