Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 27-09-2012) 16-11-2012, n. 44962

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza del 29 settembre 2010, ha riformato, su impugnazione del Procuratore della Repubblica dichiarata però inammissibile e della parte civile P. E., la sentenza del Tribunale di Avezzano del 20 maggio 2008 che lo aveva prosciolto perchè il fatto non sussiste e per difetto di querela ed ha, di converso, condannato P.P. al solo risarcimento del danno in favore della parte civile P.E. per i reati di uso di atto falso (un testamento), truffa tentata e consumata, invasione di edificio e furto in abitazione aggravato.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) una violazione di legge, per l’avvenuta condanna dell’imputato al risarcimento del danno in favore della parte civile in presenza di una richiesta di prescrizione del P.M. in udienza e pur in mancanza di una sentenza di condanna in prime cure;

b) una violazione di legge e una motivazione illogica in merito all’accertamento della responsabilità per l’ascritto reato di uso di atto falso.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per essere i motivi a sostegno manifestamente infondati.

2. Quanto al primo motivo, invero, la Corte territoriale ha fatto buon uso della pacifica giurisprudenza di questa Corte in subiecta materia.

L’impugnante, infatti, ha confuso le norme di cui agli artt. 576 e 578 c.p.p..

Le due disposizioni disciplinano situazioni processuali diverse:

l’art. 578 c.p.p. mira, nonostante la declaratoria di prescrizione (o di amnistia), a mantenere, anche in assenza di impugnazione della parte civile, la cognizione del Giudice penale sulle statuizioni e sul capo della sentenza del precedente grado di giudizio, concernenti gli interessi civili.

Esso introduce una deroga al principio di devoluzione, stabilendo che la pronuncia di estinzione del reato, intervenuta dopo una prima condanna, non comporta effetti automatici sui capi civili della decisione impugnata (salvo stabilire se questi effetti debbano essere di caducazione o di conferma).

Presupposto naturale di questa pronuncia è che, all’esito del giudizio penale, sia stata dichiarata la responsabilità dell’imputato e la sua condanna, anche generica, al risarcimento del danno.

L’art. 576 c.p.p. conferisce, invece, al Giudice penale dell’impugnazione il potere di decidere sulla domanda di risarcimento pur in mancanza di una precedente statuizione sul punto (v. in tal senso Cass. Sez.Un. 11 luglio 2006 n. 25083).

Questa disposizione introduce una deroga alla previsione dell’art. 538 c.p.p., legittimando la parte civile non soltanto a proporre impugnazione contro la sentenza di proscioglimento, ma anche a chiedere al Giudice dell’impugnazione, ai fini dell’accoglimento della propria domanda di risarcimento, di affermare, sia pure incidentalmente, la responsabilità penale dell’imputato ai soli effetti civili, statuendo in modo difforme rispetto al precedente giudizio, sul medesimo fatto oggetto dell’imputazione e sulla sua attribuzione al soggetto prosciolto.

La diversa area applicativa delle due disposizioni rende, quindi, evidente che a quella ex art. 576 c.p.p., non possa essere estesa l’ipotesi di difetto di giurisdizione civile del Giudice penale dell’impugnazione, sancito dalla prevalente giurisprudenza, nel caso in cui la causa di estinzione sia maturata antecedentemente alla pronuncia della sentenza di condanna di primo grado: questa disposizione dell’art. 576 c.p.p. ha come presupposto, indicato dal testo del medesimo articolo, una sentenza di proscioglimento.

Sempre secondo la giurisprudenza di questa Sezione (v. Cass. Sez. 5, 17 giugno 2010 n. 27652 e 24 gennaio 2011 n. 9638) il presupposto per applicare l’art. 578 c.p.p. è, infatti, costituito dalla pronuncia di una sentenza di condanna nei confronti dell’imputato.

Si è, infatti, costantemente sostenuto che è illegittima la condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile pronunciata, in appello, come effetto della declaratoria di sopravvenuta estinzione del reato per prescrizione con la quale il Giudice di secondo grado abbia riformato, su impugnazione del Pubblico Ministero, la sentenza di assoluzione di primo grado, in quanto la decisione sulle restituzioni e sul risarcimento del danno può essere adottata solo nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell’imputato (v. Cass. Sez. 5, 11 marzo 2005 n. 15640).

In effetti, il legislatore vuole che per la condanna al risarcimento dei danni vi sia almeno una sentenza di condanna, ovvero un accertamento della responsabilità dell’imputato, fatto che costituisce il presupposto per la condanna al risarcimento dei danni patiti dalla parte lesa, costituitasi parte civile.

L’istituto disciplinato dall’art. 578 c.p.p., ha, invero, la finalità di evitare, quando vi sia stata condanna dell’imputato in primo e/o secondo grado e si verifichi l’estinzione del reato per prescrizione o per amnistia in grado di appello o in Cassazione, che, in assenza di una impugnazione della parte civile, il capo della sentenza relativo alla azione risarcitoria acquisti efficacia di giudicato (v. Cass. Sez. 3, 11 febbraio 2004 n. 18056).

Nella specie la Corte territoriale ha correttamente applicato la disposizione dell’art. 576 c.p.p. non essendovi stata pronunzia di condanna dell’imputato in prime cure ed avendo la parte civile proposto impugnazione ai soli fini risarcitori.

3. Il secondo motivo del ricorso è ancora più infondato, in quanto mira a dare delle risultanze istruttorie una lettura diversa da quella operata dal Giudice del merito e che, in questa sede di legittimità non è consentito proporre anche in considerazione della non manifesta illogicità dell’impugnata motivazione.

4. Dalla declaratoria d’inammissibilità del ricorso deriva la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., che si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 27 settembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2012
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