Cass. civ. Sez. VI – 1, Sent., 16-07-2012, n. 12160 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 20 aprile 2009 presso la Corte d’appello di Bari, C.L. ha chiesto il riconoscimento del proprio diritto iure successionis all’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo introdotto dal suo dante causa C.R. dinnanzi alla Corte dei conti in data 15 settembre 1954. La ricorrente precisava che il suo dante causa era deceduto il 1 maggio 1963 e che il giudizio era stato definito con sentenza depositata il 30 maggio 2008.

L’adita Corte d’appello ha innanzitutto rilevato che la domanda doveva ritenersi ammissibile a far data dal 1 agosto 1973, data a partire dalla quale è stata riconosciuta la facoltà del ricorso individuale alla Commissione (oggi, alla Corte europea dei diritti dell’uomo), con la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato.

Ha quindi escluso che, essendo C.R. deceduto il (OMISSIS), possa essere maturato, in favore della ricorrente, in qualità di erede, il diritto all’indennizzo per la durata irragionevole del giudizio, non essendosi formato in capo al de cuius alcun diritto prima del suo decesso.

La Corte d’appello ha escluso altresì che la ricorrente potesse aver subito un qualche pregiudizio in proprio, atteso che egli aveva riassunto il giudizio solo il 16 ottobre 2006 e il giudizio stesso si era concluso con sentenza depositata il 30 maggio 2008, e cioè a meno di due anni dalla richiesta di giustizia.

Per la cassazione di questo decreto C.L., nella qualità di erede di C.R., ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo; l’intimata amministrazione ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza.

Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 e dei principi sanciti dalla giurisprudenza europea in materia di equa riparazione.

La ricorrente censura il provvedimento impugnato sostenendo che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che non si fosse formato in capo al de cuius alcun diritto all’equa riparazione, essendo avvenuto il suo decesso anteriormente al 1 agosto 1973, data a partire dalla quale è stata riconosciuta la facoltà del ricorso individuale alla Commissione con possibilità di far valere la responsabilità dello Stato.

Il ricorso è manifestamente infondato.

La Corte d’appello si è adeguata all’orientamento espresso da questa Corte secondo cui "posto che la finalità della L. 24 marzo 2001, n. 89 è quella di apprestare, in favore della vittima della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, un rimedio giurisdizionale interno analogo alla prevista tutela internazionale, deve ritenersi che, anche nel quadro dell’istanza nazionale, al calcolo della ragionevolezza dei tempi processuali sfugga il periodo di svolgimento del processo presupposto anteriore al 1 agosto 1973 – data a partire dalla quale è riconosciuta la facoltà del ricorso individuale alla Commissione (oggi, alla Corte europea dei diritti dell’uomo), con la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato -, dovendosi, peraltro, tenere conto della situazione in cui la causa si trovava a quel momento" (Cass. n. 14286 del 2006; Cass. n. 15778 del 2010).

Ha quindi correttamente rilevato che il dante causa dell’odierna ricorrente è deceduto prima di tale data, il che imponeva di escludere che potesse al momento del decesso avere maturato un diritto all’equa riparazione azionabile dall’erede a distanza di oltre quaranta anni. L’odierna ricorrente, del resto, ha riassunto la causa solo nel 2006, sicchè solo da tale data poteva essere presa in considerazione nei suoi confronti la durata del processo presupposto.

Ma, poichè un tale processo è stato definito con sentenza di inammissibilità della riassunzione nel 2008, correttamente la Corte d’appello ha escluso un qualsiasi diritto della ricorrente all’equa riparazione.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000,00 per onorari, oltre alle spese eventualmente prenotate e prenotande a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012

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