Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-07-2012, n. 12142 Licenziamento per riduzione del personale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 11.1.2010, la Corte di Appello di Roma respingeva l’appello di Poste avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto le domande proposte da G.G. e da R. A., intese ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento loro irrogato, ritenendo che fosse stato violato il requisito della contestualità tra licenziamento e comunicazione delle graduatorie e degli elenchi del personale in mobilità agli uffici competenti, inviata a distanza di circa un mese con riguardo al rimo e di circa due con riguardo alla seconda.

La Corte del merito, richiamando la pronunzia della S. C. n. 2168/2009, riteneva non provata la ricorrenza di giustificati motivi di natura oggettiva che avessero impedito tale contemporaneità e, quanto al secondo motivo di gravame, che il predetto fosse assorbito dal profilo di illegittimità del licenziamento accertato e che, comunque, non fosse fondato il rilievo con lo stesso formulato, atteso che la funzione di garanzia del procedimento voluta dal legislatore nei licenziamenti collettivi è assicurata proprio dalla chiarezza e trasparenza della fase applicativa.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la società con due motivi.

Resistono con distinti controricorsi i lavoratori, che illustravano le proprie difese con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, la società denunzia violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, con riguardo alla pretesa non contestualità delle lettere di recesso rispetto alla comunicazione all’Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione competenti, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria. Rileva che non è richiesta la contemporaneità, ma solo l’osservanza di un obbligo di ragionevole immediatezza rispetto alle lettere di recesso, senza che venga pregiudicato il diritto all’impugnazione del licenziamento da parte dei lavoratori, determinandone la decadenza. All’esito della parte argomentativa, pone specifico quesito riferito alla questione esposta.

Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, rilevando che il criterio di scelta è stato indicato nelle comunicazioni agli uffici competenti in modo estremamente analitico e sufficiente per ritenere assolto l’onere previsto a carico del datore di lavoro dalla norma suindicata e che il criterio era caratterizzato da assoluta oggettività, onde l’indicazione della modalità di attuazione dovevano essere caratterizzate dalla menzione del medesimo, dall’allegazione degli accordi raggiunti con le 00. SS. e dall’allegazione dell’elenco dei novecentosessantatre lavoratori destinatari delle lettere di risoluzione del rapporto di lavoro, essendo, con riferimento ad ognuno, reso possibile il controllo sulla corretta applicazione del criterio stesso, non richiedente alcuna discrezionalità.

Assume che la norma non impone che il datore giustifichi, per i dipendenti da licenziare, se questi abbiano o meno il requisito previsto dal criterio o alleghi l’elenco di tutti i propri dipendenti in possesso dei requisiti e rientranti nel programma di recesso e che un modo di applicazione del criterio abbia senso solo quando lo stesso, sebbene unico, preveda differenziate vie di applicazione, ciò non valendo quando criterio e modalità applicative coincidano.

Per i dipendenti trattenuti in servizio, vi era stato solo una sospensione per un limitato periodo degli effetti del licenziamento comunque irrogato. Con specifico quesito, domanda se, quando il criterio sia stato individuato nel possesso dei requisiti per il pensionamento, la comunicazione L. 23 luglio 1991, n. 223, ex art. 4, comma 9, vada interpretata nel senso per cui la stessa richieda la mera menzione del predetto e non anche l’indicazione, per tutto il personale impiegato presso il datore e per quello licenziato, dei requisiti di anzianità e contribuzione.

Con riguardo al primo dei motivi di ricorso, vale richiamare consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte – dal quale non v’è ragione di dissentire – in base ai quale, in tema di licenziamenti collettivi, la lettera della disposizione di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, e la sua "ratio" – che, in funzione di garanzia dei licenziati, è quella di rendere visibile e quindi controllabile dalle organizzazioni sindacali (e tramite queste dai singoli lavoratori) la correttezza del datore di lavoro in relazione alle modalità di applicazione dei criteri di scelta – portano a ritenere che il requisito della contestualità della comunicazione del recesso ai competenti uffici del lavoro (e ai sindacati) rispetto a quella al lavoratore – comunicazioni entrambe richieste a pena di inefficacia del licenziamento – non può non essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido e analitico, e con termini ristretti, nel senso di una necessaria contemporaneità la cui mancanza vale ad escludere la sanzione della inefficacia del licenziamento solo se dovuta a giustificati motivi di natura oggettiva da comprovare da parte del datore di lavoro (cfr., in termini, Cass 23 1.2009 n. 1722, nella quale è stata confermata la decisione di merito che aveva escluso che la comunicazione del recesso, effettuata ai competenti uffici del lavoro ed alle organizzazioni sindacali dopo trenta giorni da quella effettuata al lavoratore, potesse considerarsi contestuale rispetto a questa, ai fini della efficacia del recesso medesimo; in senso conforme, v. Cass 17.7.2009 n. 16776, Cass. 26.3.2010 n. 7407; Cass. 31.3.2011 n. 7490).

Il motivo va, pertanto, respinto e la reiezione dello stesso determina l’assorbimento del secondo, il cui esame è reso superfluo dalla confermata ragione di illegittimità del licenziamento intimato.

Le spese di lite del presente grado seguono la soccombenza della società e si liquidano nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidata in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3000,00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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