T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 14-01-2011, n. 61

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il ricorrente impugna il diniego dell’Amministrazione comunale alla realizzazione di interventi di trasformazione edilizia nel fabbricato industriale, di sua proprietà, situato in agro di Francavilla Fontana, alla via per Brindisi, km. 1,500 e volti alla trasformazione in unità abitative e in uffici dei volumi ivi esistenti.

L’edificio era originariamente destinato ad attività industriale di produzione di mattonelle e manufatti cementizi, secondo il progetto del 27 novembre 1965, rielaborato il 14 ottobre 1966, e approvato dal Comune.

Il complesso era stato successivamente implementato con la costruzione di ulteriori capannoni, costruiti abusivamente e poi condonati, secondo il disposto delle ll. n. 47/1985 e n. 724/1994, come opere destinate ad uso non residenziale con il rilascio della concessione edilizia in sanatoria.

In data 8 aprile 1999 l’ufficio tecnico del Comune rilasciava, ai sensi del comma 14 dell’art. 35 della l. n. 47/1985, licenza di agibilità d’uso per il "complesso edilizio artigianale, commerciale ed abitativo".

Con permesso edilizio n. 171 del 27 maggio 2008 l’Amministrazione comunale autorizzava il ricorrente a effettuare modifiche interne tendenti a trasformare in unità abitative autonome ed in uffici alcuni dei volumi condonati, destinati, nell’opificio industriale, al servizio degli operai impiegati (quali luoghi di mensa, spogliatoi, bagni, docce).

Il ricorrente non dava inizio ai lavori nei termini previsti e quindi richiedeva il rinnovo del citato permesso ai sensi dell’art. 15 del d.P.R. n. 380/2001.

L’Amministrazione comunale, dopo avere disposto che "la pratica deve riprendere l’iter ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. n. 380/2001" (nota n. 40776 del 6 novembre 2009), con il provvedimento 8 gennaio 2010 n. 676, rigettava l’istanza per i seguenti motivi ostativi: "- l’immobile è stato condonato ai sensi e per gli effetti della l. n. 47/85 con concessione n. 1891 del 19/12/1995; detta concessione sana un immobile situato in zona agricola E) del vigente P.D.F., ma con destinazione commerciale. A tale immobile sono annessi la casa del custode ed altre pertinenze. Risulta evidente che in tale contesto non è possibile realizzare abitazioni così come dalla richiesta pervenuta, atteso che le stesse sarebbero in contrasto con le N.T.A. del P.D.F. vigente per le aree agricole E), dove l’intervento assentibile è rilasciabile al solo scopo della conduzione del fondo e per tutte quelle attività che sono in stretta correlazione con l’attività agricola; – di fatto pertanto il richiedente ha acquisito il diritto (datogli dal condono) a mantenere una attività commerciale in zona agricola, ma per essa (se non vi sono varianti allo strumento urbanistico vigente) non si possono apportare cambi d’uso che siano in contrato con lo strumento urbanistico vigente per le zone agricole E) del vigente P.D.F.".

2. Tale provvedimento è impugnato con il ricorso in oggetto.

A sostegno del gravame il ricorrente deduce l’eccesso di potere per erroneità del presupposto, falsa applicazione di normativa urbanistica di piano e contraddittorietà.

2.1. In primo luogo, la parte ricorrente sostiene che, secondo quanto sarebbe pianamente desumibile dalla concessione in sanatoria e dalla licenza di agibilità, all’edificio de quo sarebbe ascrivibile una triplice destinazione artigianale, commerciale ed abitativa: il presupposto da cui parte il dirigente comunale per negare l’assenso edilizio, destinazione commerciale dell’immobile condonato, sarebbe pertanto errato.

2.2. In secondo luogo e subordinatamente, la stessa parte osserva che, per gli immobili condonati, deve ritenersi ammissibile una diversa modalità di utilizzo all’interno della stessa classe d’uso, tanto che, nello specifico, la destinazione ad uffici di alcuni dei volumi condonati, sia pure in rapporto di pertinenzialità necessaria con l’opificio, è già da ritenersi contigua a quella commerciale.

2.3. Da ultimo, la parte evidenzia una palese contraddittorietà nell’azione amministrativa, laddove sottolinea come il medesimo Comune, per gli stessi interventi, ora negati, avesse già concesso il permesso edilizio n. 171 del 25 luglio 2008, del quale aveva poi escluso il rinnovo fino a giungere al diniego definitivo di un nuovo titolo abilitativo di pari contenuto.

3. Si è costituita l’Amministrazione comunale, eccependo, in via preliminare, l’improponibilità e l’inammissibilità del ricorso, e concludendo, gradatamente, per il rigetto nel merito.

4. All’udienza pubblica del 9 dicembre 2010 fissata per la trattazione del ricorso la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

I. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

Al riguardo il Collegio osserva quanto segue:

1) Con riferimento alla destinazione dell’immobile, gli elementi addotti da parte ricorrente onde concludere, in virtù del condono, per una destinazione mista, e, dunque, anche di tipo abitativo, non sono dirimenti.

2) Quanto alla concessione edilizia rilasciata a seguito di condono, dalla produzione in atti emerge che la relativa domanda di sanatoria, presentata in data 29 dicembre 1986, concerne esclusivamente "opere ad uso non residenziale" (modello 47/85 -D), nello specifico, con destinazione d’uso per attività industriale o artigianale. In questo contesto, la circostanza che nel rilievo grafico allegato all’istanza sia indicata la destinazione, rispettivamente, commerciale ed artigianale, solo per l’edificio centrale e per una serie di locali circostanti mentre per altri, parimenti riportati, non vi sia alcuna indicazione, non legittima la indebita conclusione che, per quest’ultimi, comunque inseriti nell’originario opificio industriale, debba necessariamente desumersi la destinazione ad uso abitativo. Dalla menzionata planimetria si desume, invece, che gli unici locali destinati ad abitazione riguardano l’alloggio del custode, realizzato tra il 1967 ed il 1977, pertinenziale all’opificio e necessariamente oggetto della domanda di condono, essendo il progetto originario assentito in data 3.01.1967.

3) Pertanto, il presupposto che i locali fossero stati condonati e, dunque, legittimati esclusivamente per destinazione commerciale ed eventuali pertinenze legate da vincolo di funzionalità (cd. annessi) appare corretto.

4) Su tale aspetto, legittimamente, si basa il diniego di interventi edilizi finalizzati al cambio di destinazione d’uso da commerciale e artigianale in abitativo – residenziale e per uffici, come tale, tra l’altro, incompatibile con la vigente destinazione agricola della zona.

5) La modificabilità della destinazione d’uso ottenuta con il condono, ove non compatibile, come nel caso di specie, resta, infatti, possibilità riservata agli strumenti urbanistici successivi: ed invero com già precisato da questo tribunale, "laddove venga richiesto un mutamento di destinazione per un immobile a suo tempo condonato, l’Amministrazione Comunale deve valutare non solo la disciplina urbanistica esistente nella zona ma, anche, l’incidenza che la concessione in sanatoria già rilasciata ha comportato sull’assetto urbanistico esistente, unitamente alla eventuale compatibilità del nuovo mutamento di destinazione con quest’ultima. Difatti, la sanatoria ex lege ottenuta dall’immobile in questione ha impresso a quest’ultimo una particolare disciplina urbanistica che va presa in considerazione per le successive richieste di concessione". (T.AR. Puglia, Lecce, Sez. III, 5 giugno 2004, n. 3422).

6) Per quanto concerne il valore da attribuire al certificato di agibilità n. 23/1999 rilasciato per tutto il complesso edilizio de quo (cfr. richiesta, integrativa, del 11 febbraio 1999) definito "artigianale, commerciale ed abitativo" – dato dal quale il ricorrente trae elementi a conferma di una destinazione anche residenziale dell’immobile, e, come tale, condonato nella situazione di fatto -, deve, preliminarmente, osservarsi che a tale documento non può essere attribuito un significato che esula dal proprio ambito di competenza. In altri termini, l’agibilità a determinati usi non legittima una destinazione d’uso non contemplata nel titolo abilitativo e contraria agli strumenti urbanistici vigenti. Sanate opere ad uso non residenziale, l’eventuale uso abitativo, preso in considerazione dalla licenza di agibilità d’uso, è di tipo strumentale a quello industriale e artigianale richiesto, potendo ricomprendere la residenza del custode, parte del complesso edilizio, e, solo impropriamente, gli spazi destinati transitoriamente al servizio degli operai, senza per questo autorizzare un autonomo uso residenziale degli edifici.

7) Analoghe considerazioni valgono per la censura sollevata, in subordine, limitatamente al rigetto riferito esclusivamente alla destinazione ad uffici, posto che tale eventuale destinazione, di fatto esistente per alcuni dei volumi condonati, risente comunque del carattere di pertinenzialità all’attività industriale e commerciale svolta nell’originario opificio, collocandosi, senza autonomia, nell’ambito delle "opere ad uso non residenziale", le uniche sanate. Ne consegue, allora, che non può nemmeno sostenersi che almeno per tale destinazione, di tipo direzionale, non vi sia alcun mutamento rispetto alla classe d’uso originaria, una volta chiarita, come detto, la sua connotazione strumentale. Né tale destinazione può ritenersi contigua e, dunque, assimilabile a quella commerciale (o, meglio, artigianale e industriale) condonata.

8) Con riguardo alla rilevante entità dell’oblazione e degli oneri concessori, che, a parere del ricorrente, sarebbero giustificati solo se riferiti ad una sanatoria di opere destinate anche ad uso abitativo, come osservato, più propriamente, dall’Amministrazione intimata, l’importo è elevato in quanto il condono ha riguardato una notevole superficie, di circa mq. 3500, e su di esso, essendo il relativo pagamento avvenuto con ritardo rispetto al momento della maturazione, sono stati, altresì, calcolati gli interessi di mora.

9) Con riferimento alla lamentata contraddittorietà dell’azione amministrativa dedotta in relazione alla circostanza che l’Amministrazione, dopo avere rilasciato per le medesime opere il permesso di costruire, ne avrebbe escluso il rinnovo, giungendo al diniego di qualsiasi titolo abilitativo, va infine rilevato che è insita nel legittimo esercizio del potere discrezionale anche la facoltà di autotutela intesa come ritiro (revoca o annullamento d’ufficio) o mancata rinnovazione di provvedimenti viziati, atteso che, a norma dell’art. 97 Cost., la sua attività deve essere primariamente improntata al perseguimento dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa e, nella specie, la legalità ne costituisce presupposto imprescindibile (art. 1, l. n. 241/1990).

II. Alla stregua delle considerazioni sopra esposte, il ricorso deve essere respinto.

Tuttavia, in considerazione della peculiarità delle questioni affrontate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese e competenze di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 9 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Rosaria Trizzino, Presidente

Ettore Manca, Consigliere

Gabriella Caprini, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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