Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-09-2012) 16-11-2012, n. 44943

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Ricorre M.A. avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno del 25-8-2011 che, a conferma di quella emessa dal locale Tribunale, lo condanna a pena di giustizia per reati di lesioni personali aggravate e porto d’arma da fuoco commessi in concorso con altre persone.

Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici del merito, il 24 giugno 2009 il M., al fine di vendicare "un’offesa" ricevuta un mese prima da G.C., partecipava ad un pestaggio nei confronti di quest’ultimo, attuato mediante l’uso di una mazza e di una pistola (con cui il G. veniva "gambizzato"). I giudici sono giunti alla resa statuizione sulla base delle dichiarazioni del G., che ha riconosciuto il M. come uno degli aggressori; sulla base delle dichiarazioni di G.L., presente al fatto; sugli base degli accertamenti effettuati sui tabulati telefonici degli aggressori.

2. Il difensore dell’imputato deduce:

a) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla prova della partecipazione del M. all’aggressione. A questo riguardo sottolinea, nei primi due motivi di ricorso, nonchè nel quinto, il contrasto esistente, a suo dire, tra la versione fornita dalla persona offesa subito dopo il fatto e il 15/7/2009 con quella resa a dibattimento; tra la versione della teste G. e quella della persona offesa. Rileva che, secondo il suo giudizio, vi è contrasto tra la versione dell’offeso e quella rilevabile dalla consulenza tecnica disposta dal Pubblico ministero; che non sono conducenti, a carico dell’imputato, gli accertamenti effettuarsi tabulati telefonici; che è inattendibile la chiamata in correità effettuata dal coimputato D.. Lamenta, in particolare, il travisamento delle dichiarazioni della G., che avrebbe escluso di riconoscere il M. tra gli aggressori; deduce l’omessa valorizzazione delle contraddizioni emerse nel racconto del G. in ordine al numero degli aggressori e l’irragionevole svalutazione degli elementi a discarico;

b) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità dell’imputato per il reato di porto abusivo d’arma da fuoco, non essendovi prova della partecipazione del M. al fatto del 24-6-2009 e, comunque, della sua consapevolezza dell’uso di un’arma da fuoco;

c) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’omessa applicazione dell’art. 116 cod. pen., richiesta con il terzo motivo dell’atto d’appello.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. Il primo, il secondo e il quinto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, perchè, sotto profili diversi, e non senza ripetizioni, il ricorrente lamenta l’illogicità della motivazione in ordine alla prova delle responsabilità. Si tratta di motivi che rappresentano pedissequa riproduzione di quelli esposti nell’atto d’appello, a cui i giudici di merito hanno dato puntuale e coerente risposta. Con essi il ricorrente, adducendo il vizio di motivazione e il travisamento della prova, rielabora il materiale probatorio in funzione della sua esclusione dal novero degli aggressori e sollecita questa Corte ad un terzo giudizio di merito, che dovrebbe portare all’affermazione della sua estraneità ai fatti per cui è processo.

L’operazione è chiaramente improponibile. La sentenza impugnata, all’esito di un percorso logico e lineare, ha ricomposto i vari elementi della prova in un mosaico definito e composto, in cui la responsabilità dell’imputato appare all’evidenza. Essi hanno puntualmente analizzato le dichiarazioni della persona offesa e dei testi presenti al fatto, nonchè quelle dei coimputati, rilevando che il M. è stato sicuramente riconosciuto dalla persona offesa come uno degli aggressori; che nessun rilievo può attribuirsi al fatto che G. non riconobbe il M. in sede di ricognizione fotografica, posto che la foto del M. non era ricompresa nell’album a lui sottoposto; che, parimenti, nessun rilievo può attribuirsi al mancato riconoscimento da parte della G., posto che la stessa non è stata in grado di riconoscere nessuno (lo stesso difensore rileva che la G. descrisse alcuni degli aggressori, ma dichiarò anche di non poterli riconoscere); che il M. è stato chiamato in causa dal coimputato D.; che la relazione tra l’antecedente del maggio e l’aggressione di giugno è stata motivatamente stabilita in via logica sulla base dell’analisi dei personaggi e delle dinamiche delinquenziali del posto. Corretto rilievo è poi stata data alla telefonata fatta da Capo al M. la sera stessa dell’aggressione, subito dopo la ricezione dell’SMS da parte di D..

Nè, rispetto a questo ricco e variegato coacervo probatorio, il difensore del ricorrente è stato in grado di addurre elementi in grado di scardinare il solido apparato argomentativo della sentenza, se non contestare, senza logici argomenti, la credibilità della persona offesa e quella del coimputato; se non obliterare il preciso significato indiziario della telefonata fatta da Capo all’imputato;

se non attribuire rilevanza a circostanze di rilievo scarso o inconsistente, come quelle relative al mezzo usato per colpire G. al capo (il calcio della pistola o un bastone?) e alla natura del mezzo usato per bastonarlo (una mazza da baseball o un bastone comune?). Senonchè, anche il rimarcato "dinamismo accusatorio" del G. è stato logicamente spiegato in sentenza con lo schok conseguente al brutale pestaggio, su cui non possono nutrirsi dubbi di sorta, mentre l’inaffidabilità del D. è stata ragionevolmente riferita dalla Corte alla parte delle dichiarazioni che alleggerivano la sua posizione, non senza sottolineare che il D. non aveva nessun interesse ad accusare il M., la cui capacità delinquenziale (e intimidatoria) è stata, anche in questo caso ragionevolmente, letta alla luce dei precedenti penali. Non appare poi inutile rammentare che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e) sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza o da altri atti specificamente indicati, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti, e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e rivalutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cassazione civile, sez. 2^, 11/07/2011, n. 15188).

2. Parimenti infondato è il motivo di ricorso relativo alla condanna per detenzione e porto della pistola, sia perchè le doglianze del difensore si fondano su un dato smentito dalla sentenza impugnata (la partecipazione del M. all’azione delittuosa), sia perchè, come è stato ragionevolmente spiegato, la partecipazione al fatto implicava necessariamente la conoscenza, da parte di tutti i partecipanti, dei mezzi impiegati per colpire il malcapitato e, quindi, il concorso nella detenzione dell’arma. Ai fini della configurabilità dei reati di porto senza giustificato motivo di un’arma e del concorso nei reati medesimi è sufficiente la consapevole disponibilità concreta e immediata dell’arma da parte di un concorrente nel reato, essendo irrilevante l’appartenenza di essa ad uno solo degli imputati e la previsione che sia uno solo di essi ad utilizzarla, quando tutti abbiano programmato il reato e tutti si siano portati sul luogo di consumazione (Cassazione penale, sez. 2^, 23/09/2003, n. 46286; V. mass n 159508; V. mass n 131707; cfr. Cass. n. 4856 del 9.5.1985).

3. Nessuna violazione di legge, nè vizio di motivazione, è da ravvisare, infine, nell’omessa applicazione dell’art. 116 cod. pen., implicitamente esclusa dai giudici di merito, posto che, come si evince dalla complessiva motivazione, il M. è stato ritenuto uno dei promotori dell’azione delittuosa, essendo colui che ebbe il primo vivace battibecco con la persona offesa nel maggio del 2009 e, quindi, uno di coloro che vollero proprio il delitto in concreto commesso. Del resto, il M. non ha mai asserito di aver voluto un reato diverso, per cui pienamente giustificato appare il silenzio della sentenza sul punto.

Il ricorso va pertanto rigettato. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2012

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