Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 21-09-2012) 16-11-2012, n. 44939

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 14 aprile 2010, ha parzialmente confermato riducendo soltanto la pena la sentenza del Tribunale di Milano del 30 maggio 2007, che aveva condannato L. F. per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale quale amministratore di fatto della ISC s.r.l. (in origine CRS s.r.l.), dichiarata fallita il (OMISSIS).

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente lamentando:

a) una omessa motivazione in merito alla sua qualità di amministratore di fatto della società fallita;

b) una contraddittorietà della motivazione in ordine al mancato rinvenimento della documentazione contabile;

c) una violazione di legge in merito alla valutazione della testimonianza Cozzi, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.;

d) una mancanza di motivazione in merito agli episodi distrattivi e alla mancata revoca delle sanzioni accessorie;

e) una mancanza di motivazione in merito alla mancata concessione delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile essendone i motivi manifestamente infondati.

2. Giova premettere, in punto di diritto, come in tema di ricorso per cassazione, quando ci si trovi dinanzi a una "doppia pronuncia conforme" e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), l’eventuale vizio di travisamento possa essere rilevato in sede di legittimità, ex art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c), solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato sia stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (v. Cass. Sez. 4^ 10 febbraio 2009 n. 20395).

Inoltre, in tema di sentenza di appello, non sussiste mancanza o vizio della motivazione allorquando i Giudici di secondo grado, in conseguenza della completezza e della correttezza dell’indagine svolta in primo grado, nonchè della corrispondente motivazione, seguano le grandi linee del discorso del primo Giudice.

Ed invero, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico e inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione (v.

Cass. Sez. 2^ 15 maggio 2008 n. 19947).

La sentenza di merito non è, poi, tenuta a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico ed adeguato, le ragioni del convincimento, dimostrando che ogni fatto decisivo è stato tenuto presente, sì da potersi considerare implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (v. Cass. Sez. 4^ 13 maggio 2011 n. 26660).

3. Nella specie, questa volta in punto di fatto, la mera lettura dell’odierno ricorso permette di acclarare, innanzitutto, come, avanti questa Corte di legittimità, si ripropongano le medesime questioni sollevate in sede di appello (v. pagine 6 e 7 della motivazione impugnata) e disattese dalla Corte territoriale con motivazione del tutto logica.

4. In ogni caso, con riferimento al primo motivo, non si ravvisa alcuna illogicità manifesta della motivazione nell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato nella sua veste di amministratore di fatto della società dichiarata fallita, sulla base sia di quanto concretamente accertato e motivato sul punto dal Giudice del primo grado sia di quanto ribadito dal Giudice dell’impugnazione in conformità, inoltre, a quanto pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità sul punto.

Sulla base dei principi che regolano la materia non è dubbio che in tema di reati fallimentari, nell’ipotesi di fatti di bancarotta fraudolenta per distrazione, e con riferimento alla posizione dell’extraneus in reato proprio dell’amministratore di società, debba ritenersi che il soggetto esterno alla struttura sociale possa sicuramente commettere il reato sia direttamente, attraverso la propria attività contraria alla tutela della par condicio creditorum, che, del pari, mediante condotta agevolativa di quella dell’intraneus, nella consapevolezza della funzione di supporto alla distrazione, intesa quest’ultima come sottrazione dal patrimonio sociale e suo depauperamento ai danni della classe creditoria, in caso di fallimento.

Nel caso in cui, a sua volta la distrazione venga realizzata mediante l’azione "combinata" di più soggetti, la consapevolezza del partecipe extraneus deve abbracciare le varie condotte ed i reciproci loro nessi, protesi al raggiungimento dell’evento conclusivo (v.

Cass. Sez. 5^ 15 febbraio 2008 n. 10742 e 2 ottobre 2009 n. 49642).

Nella specie, in punto di fatto, la Corte territoriale ha dato pienamente conto del ruolo svolto dal L. all’interno della società decotta (v. pagina 7 della motivazione) per cui richiedere a questa Corte di legittimità una rilettura del materiale probatorio, già conformemente valutato in entrambi i gradi del merito, alla luce di considerazioni del tutto personali che non valgono ad inficiare le argomentazioni dei suddetti Giudici, appare operazione non consentita.

5. La questione del mancato rinvenimento della documentazione contabile sequestrata dalla Guardia di Finanza non assume alcun rilievo o decisività ai fini della affermazione della penale responsabilità per l’ascritta bancarotta documentale, posto che dall’impugnata decisione si evidenzia come, in ogni caso, la Guardia di Finanza non avesse, nel riscontrare tale documentazione, fatto riferimento alcuno alla sussistenza di una valida documentazione contabile societaria.

6. Le dichiarazioni della coimputata Cozzi sono state sottoposte al necessario vaglio di attendibilità ed al riscontro con altre dichiarazioni per cui non può il ricorrente dolersi di una pretesa violazione di legge, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen., che è disposizione, tra l’altro, a tutela dei diritti della difesa dell’imputato.

Pretestuosa è, ancora, la contestazione circa la mancata revoca delle irrogate sanzioni accessorie che non avrebbe potuto avere luogo nel caso, come quello in contestazione, di conferma dell’affermazione della penale responsabilità dell’imputato.

7. Quanto all’ultima doglianza, relativa alla mancata concessione delle attenuanti generiche, la pacifica giurisprudenza di questa Corte insegna che: "ai fini della concessione o dei diniego delle circostanze attenuanti generiche è sufficiente che il Giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime" (v. da ultimo, Cass. Sez. 2^ 18 gennaio 2011 n. 3609).

8. Il ricorso deve essere, in conclusione, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 21 settembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2012
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