Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 06-09-2012) 16-11-2012, n. 44860

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

– che con l’impugnata sentenza, in conferma, per quanto ancora d’interesse, di quella di primo grado pronunciata dal tribunale di Forlì il 12 febbraio 2003, F.M. venne ritenuta responsabile, in concorso di R.S., di bancarotta fraudolenta per distrazione con riferimento al fallimento, dichiarato il (OMISSIS), della s.r.l. XXX, per avere, secondo l’accusa, nella qualità di legale rappresentante di detta società, d’intesa con il R., amministratore di fatto, distratto la somma di L. 660 milioni circa, incassata per conto della soc. XXX dalla società russa XXX Center a fronte di una fornitura di carni, destinandola a finanziamenti alle società XXX s.r.l. e XXX s.r.l., entrambe in difficoltà finanziarie e facenti capo al nominato R.;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la difesa della F., denunciando:
1) violazione dell’art. 223, comma 1, art. 216, comma 1, n. 1 e art. 217 commi 1 e 2, L. Fall., unitamente a vizio di motivazione, sull’assunto, in sintesi e nell’essenziale, che la corte territoriale, nel disattendere le doglianze esposte nell’atto di appello, non avrebbe considerato che le operazioni di finanziamento rientravano nell’ambito dell’oggetto sociale e non potevano dirsi effettuate senza contropartita, contemplando esse, oltre alla restituzione, in breve termine, della somma capitale, anche la corresponsione di interessi nella misura del 15 per cento;
obbligazioni, queste, alle quali in parte era stato fatto fronte nei tempi previsti, prima del fallimento, e, per il resto, successivamente al fallimento, grazie all’intervento di altra società del gruppo che aveva tacitato la XXX, principale creditrice della XXX, tanto che il fallimento era stato quindi chiuso per mancanza di passivo; dal che si sarebbe dovuto concludere che non vi era stata alcuna distrazione o che, tutt’al più, le operazioni in questione sarebbero state inquadrabili nell’ambito delle previsioni di cui all’art. 217, n. 3, L. Fall.;
2) violazione dell’art. 43 c.p., in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1, art. 223, comma 1, art. 217, comma 1, n. 3, L. Fall., unitamente a vizio di motivazione, sull’assunto che sarebbe stata comunque da escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, non essendovi prova della consapevolezza, da parte della ricorrente, quale semplice amministratore di diritto, dell’esistenza delle condizioni che avrebbero reso penalmente illecite le operazioni di finanziamento in questione;
3) violazione dell’art. 236, L. Fall. e art. 37 c.p., per essere stata determinata in anni dieci la durata della pena accessoria dell’inabilitazione all’esercizio di imprese commerciali e dell’incapacità all’esercizio di uffici direttivi in qualsiasi impresa, laddove detta durata avrebbe dovuto essere limitata a quella della pena principale.

Motivi della decisione

– che va preliminarmente rilevato come il reato contestato all’imputata non possa ritenersi ancora prescritto, nonostante l’avvenuto decorso, dalla data di consumazione, coincidente con quella della declaratoria di fallimento, del termine di prescrizione massima, da individuarsi in anni quindici (alla stregua della normativa precedente alla riforma introdotta dalla L. n. 251 del 2005, tuttora applicabile, nella specie, in virtù del disposto di cui all’art. 10, comma 3, di detta Legge), dal momento che detto termine va prorogato di mesi dieci e giorni 21, corrispondenti al totale delle sospensioni, di cui: – mesi tre e giorni tredici per rinvii chiesti dalla difesa e, segnatamente: gg. otto dal 30 gennaio al 7 febbraio 2001 per impegno professionale del difensore; mesi tre e giorni venti dal 5 novembre 2001 al 25 febbraio 2002 per asserita impossibilità, da parte del coimputato R.S., all’epoca dimorante all’estero, di rientrare in Italia fino al rilascio di un duplicato del passaporto, il cui originale era andato smarrito; – mesi sette e giorni otto dal 16 dicembre 2011 (data di sospensione del processo per questione di costituzionalità connessa alla doglianza di cui al terzo motivo di ricorso) al 24 luglio 2012 (data della decisione della Corte costituzionale che dichiarava la manifesta inammissibilità di detta questione); – che, ciò premesso, il ricorso non appare meritevole di accoglimento, in quanto:
a) con riguardo al primo motivo, lo stesso, nel riproporre, sostanzialmente, le medesime argomentazioni già contenute nell’atto di appello, non considera che il carattere distrattivo dell’operazione in questione, secondo quanto ampiamente illustrato nell’impugnata sentenza e non contestato, nell’essenziale, neppure nel ricorso emergeva chiaramente dal fatto che, per un verso, il finanziamento, quali che fossero le condizioni convenute e, segnatamente, gl’interessi formalmente pattuiti, aveva per destinatane società facenti capo al R., le quali si trovavano in evidenti difficili finanziarie; per altro verso, non trovava oggettiva giustificazione, a fronte della già esistente, prioritaria obbligazione della XXX nei confronti della XXX, per conto della quale la prima aveva incassato o stava incassando la somma versata dalla società russa XXX Center; e, del resto, a dimostrazione della fondatezza dell’addebito, bXXXerebbe osservare che lo stesso R., nel suo interrogatorio riportato, "in parte qua", a pag. 12 dell’impugnata sentenza e del quale si fa cenno anche nel ricorso, senza tuttavia contestarne in alcun modo nè il contenuto nè l’utilizzabilità, aveva candidamente confessato che "lo scopo principale " dei finanziamenti in questione era quello "di far uscire quelle somme dalla XXX per evitare che l’XXX potesse bloccarle";
il che altro non significa, appunto, che si trattava di operazioni aventi chiara ed esclusiva finalità distrattiva;
b) con riguardo al secondo motivo, lo stesso pecca di evidente difetto di specificità giacchè si limita, nell’essenziale, all’apodittico e generico assunto secondo il quale la corte territoriale non avrebbe "tenuto nella debita considerazione la lontananza della ricorrente F.M. da quella percezione soggettiva che la fattispecie in considerazione avrebbe richiesto ad un mero amministratore di diritto", passando totalmente sotto silenzio la puntuale e analitica motivazione fornita, sul punto in questione, nell’impugnata sentenza, ove, a sostegno della ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in capo alla ricorrente, si afferma che la stessa non poteva in alcun modo essere considerata una mera "prestanome" priva di effettivi poteri gestionali, giacchè, oltre ad essere titolare di una quota del capitale sociale, aveva "preso parte in prima persona alle lunghe ed infruttuose trattative con l’XXX s.p.a. per la definizione del contenzioso russo" ed aveva "personalmente disposto, in stretto collegamento cronologico col parziale pagamento ottenuto dalla XXX Center di (OMISSIS), la concessione dei finanziamenti a XXX, Trafalgar e XXX, nonchè le connesse operazioni di acquisto e successiva cessione del ristorante (OMISSIS)";
c) con riguardo al terzo motivo, lo stesso non può che essere ritenuto privo di fondamento, alla luce, per un verso, del chiaro ed ineludibile disposto dell’art. 216, u.c., L. Fall., che fissa in anni dieci la durata della pena accessoria in caso di condanna per taluno dei reati di bancarotta previsti nei precedenti commi dello stesso articolo (norma da ritenere prevalente, per il suo carattere di specialità, rispetto alla disciplina generale dettata dall’art. 37 c.p.); per altro verso, dell’orientamento espresso dalla Corte costituzionale, che ha ritenuto inammissibili le questioni di costituzionalità sollevate da questa stessa Corte con riguardo appunto alla determinazione nella suddetta misura fissa della durata della pena accessoria.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 6 settembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 16 novembre 2012

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