Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-07-2012, n. 12306 Risoluzione del contratto per inadempimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

S.M.E. citò innanzi al Tribunale di Lecce D. N.L., promittente venditore alla medesima di una villetta in (OMISSIS), chiedendo la risoluzione del preliminare, a causa di gravi inadempimenti del convenuto, che avevano reso impossibile la stipula del definitivo, e la restituzione dell’acconto di L. 37.500.000, oltre interessi e rivalutazione; il convenuto resistette alla domanda e si dichiarò pronto a dare esecuzione al contratto; la S. notificò allora un "atto dichiarativo e domanda giudiziale di adempimento contrattuale", dichiarando, in tale atto, di rinunciare alla domanda di risoluzione; invitò controparte innanzi al notaio per la stipula del definitivo e propose, in caso di rifiuto, domanda per ottenere sentenza che tenesse luogo del contratto non concluso; il D.N., a sua volta, eccepì l’inammissibilità di tale domanda e, in corso di giudizio, propose a sua volta istanza di risoluzione del preliminare per inadempimento dell’attrice, chiedendone altresì la condanna al risarcimento dei danni subiti per mancato integrale pagamento del prezzo e per la perdurante indisponibilità dell’immobile.

L’adito Tribunale, con sentenza pubblicata il 20 novembre 1996, respinse le domande e compensò le spese.

La Corte di Appello di Lecce, giudicando sull’appello principale del D.N. e su quello incidentale della S., con l’intervento della società srl CO.GE.FER. cessionaria, da quest’ultima del contratto preliminare, accolse parzialmente i due gravami, dichiarando: a) – inammissibile la domanda di adempimento a suo tempo proposta dalla S.; b) risolto per inadempimento del D.N. il preliminare – a cagione del mancato deposito delle documentazione necessaria per la rogitazione del contratto di vendita; condannò altresì il promittente venditore alla restituzione di quanto ricevuto in conto prezzo, oltre gli interessi legali e l’eventuale rivalutazione ISTAT, se maggiore dei primi , compensando parzialmente le spese dei due giudizi e condannando lo stesso D.N. al pagamento dei due terzi delle stesse.

Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso il D. N., affidandolo a quattro motivi illustrati da memoria; si sono costituite la S. e la srl CO.GE.FER. in liquidazione con controricorso, del pari depositando memorie.
Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo vengono dedotte "violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1350, 1351, 1406 e 1407 cod. civ. in relazione sia agli artt. 111, 344 e 404 c.p.c. sia all’art. 92 c.p.c. art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ante D.Lgs. n. 40 del 2006" ritenendo erronea la decisione della Corte territoriale laddove aveva respinto l’eccezione di inammissibilità dell’intervento in causa della srl Co.Ge.Fer., cessionaria del contratto, non tenendo conto che nella fattispecie non vi sarebbero stati i presupposti indicati nell’art. 344 c.p.c. a legittimare l’intervento del terzo in causa in grado di appello.

1/a – Il motivo deve essere respinto perchè parte ricorrente non ha neppure affrontato il condivisibile argomento utilizzato dalla Corte territoriale, facente leva sulla circostanza che il successore nel diritto controverso non è un terzo bensì ripete la sua legittimazione da quella stessa della parte cedente.

1/b – Inammissibile poi è la dedotta violazione delle norme a presidio della necessaria forma scritta dei negozi di cessione dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento dei diritti reali immobiliari sia per la novità del rilievo sia per difetto di specificità in quanto non sono riportate le clausole della cessione da cui la Corte distrettuale avrebbe dovuto trarre il convincimento che non si sarebbe perfezionata la cessione del negozio; la ricordata mancata riproduzione delle clausole del negozio ritenuto rientrante nella fattispecie dell’art. 1406 cod. civ. assume particolare rilievo considerando il fatto che le parti controricorrenti negano recisamente che tra la società Omicron – originaria subentrante, poi trasformatasi nella So.Ge.Fer.- e la S. fosse intervenuto un mero negozio di cessione del contratto , osservando in contrario che per precisi impegni negoziali si sarebbe prevista la cessione dei diritti ed obblighi nascenti dal preliminare, anche per i riflessi processuali e di legittimazione nell’intrapreso procedimento ex art. 2932 cod. civ..

1/c – Erra altresì parte ricorrente laddove imputa alla Corte territoriale di aver violato il disposto dell’art. 111 c.p.c. laddove avrebbe condannato esso promittente venditore al rimborso alla S. della caparra versata e non già alla So.Ge.Fer.: invero la condanna di cui si parla presuppone la ricezione dell’acconto e questo era nella disponibilità della S. e non già della SoGe.Fer..

I/d – E’ infine infondata l’ulteriore articolazione della medesima censura, nonchè la prima parte del quarto motivo, che forma completamento logico del primo mezzo, nella parte qui in esame, laddove si fa valere l’ingiustizia della condanna al pagamento delle spese in favore della intervenuta, parte del tutto eventuale, nonchè il vizio di motivazione su un punto controverso: invero la Corte territoriale ha correttamente tratto le dovute conseguenze dalla contestazione della legittimazione della società da parte del appellante principale, rinvenendo in ciò un’ulteriore res controversa sulla quale andava ad incidere la soccombenza.

2 – Con il secondo motivo la gravata decisione viene censurata adducendosi "violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1453 c.c., commi 2 e 3, ed art. 1455 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 ante D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e art. 2697 cod. civ.; artt. 115 e 116 c.p.c.; omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; sicura violazione dei principi che riguardano i poteri del giudice in ordine alla disponibilità ed alla valutatone delle prove" assumendosi il difetto di una valutazione degli opposti inadempimenti secondo i canoni di causalità e proporzionalità: in particolare parte ricorrente ritiene inconferente, anche ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento ex art. 1455 cod. civ., la considerazione della propria condotta processuale di ritardo nel deposito della documentazione attestante la regolarità urbanistica della costruzione (atti la cui mancanza aveva giustificato l’eccezione di inadempimento della promissaria acquirente); evidenzia al contrario che tali documenti, essendo preesistenti alla convocazione innanzi al notaio per la stipula del definitivo, non avrebbero giustificato l’esercizio di autotutela da parte della promissaria acquirente, ponendo altresì in rilievo che sarebbero altresì state depositate ulteriori comunicazioni – telegrammi, non presi in esame dalla Corte di Appello, con cui esso ricorrente aveva più volte manifestato la propria volontà alla stipula, diffidando all’uopo la sua controparte contrattuale.

2/a – Con ulteriore articolazione del medesimo motivo il ricorrente si duole che la Corte territoriale, nel valutare negativamente la condotta di esso esponente, abbia in sostanza derogato al principio secondo il quale il convenuto in risoluzione non può più adempiere la propria prestazione dopo la proposizione dell’avversa domanda di risoluzione.

3 – Entrambe le articolazioni del mezzo in esame sono infondate.

3/a – Il giudice dell’appello non ricavò elementi di determinante convincimento del grave inadempimento del promittente venditore dal fatto che costui aveva depositato, solo dopo sollecitazione dell’istruttorre, i documenti necessari alla stipula, traendo da tale condotta un rafforzamento del convincimento della fondatezza della ricostruzione della vicenda sostanziale offerta dalla promissaria acquirente, là dove questa aveva sottolineato – in ciò confermata dalla deposizione del rogante- che il notaio designato alla stipula si era rifiutato di procedere alla stessa per mancanza di elementi documentali importanti e che questi non erano mai stati consegnati sino all’inizio del giudizio: ne consegue che non vi è stata alcuna violazione , da parte della Corte di Appello, del principio di cui all’art. 1453 c.c., comma 111.

4 – Con terzo motivo si deduce vizio di motivazione, ritenuta "inesistente", nonchè "violazione e falsa applicazione dell’art. 1381 cod. civ. in relazione all’art. 1451 cod. civ." assumendosi che la Corte leccese sia incorsa in un’erronea valutazione dell’inadempimento del ricorrente, rinvenendolo nella mancanza della autorizzazione all’abitabilità e/o alla mancata regolarizzazione dal punto di vista catastale della particella ove era stata edificata la villetta mentre, in realtà, ponendosi esso promittente venditore – rispetto alla regolarità urbanistica dell’immobile ed al rilascio delle autorizzazioni amministrative – come mero promittente del fatto del terzo – identificato nel Comune – sarebbe stato necessario indagare circa l’esistenza di un rapporto di causalità tra una supposta colpevole inerzia da parte propria ed il mancato ottenimento delle autorizzazioni.

4/a – Tale censura non ha fondamento in quanto, come visto, l’inadempimento colpevole posto a base della pronunzia era innanzi tutto ricondotto alla mancata collaborazione alla conclusione del contratto definitivo, rappresentata dal mancato deposito della documentazione a ciò necessaria – come riconosciuto dallo stesso notaio rogante- , consistita: nel titolo di provenienza; nella concessione edilizia; nel nulla-osta della Sovrintendenza ai Beni Ambientali: solo ad abundantiam la Corte leccese ha rimarcato come il Comune di Diso avesse anche attestato che, dopo oltre nove anni dalla sottoscrizione del preliminare, ancora non era stata rilasciata alcuna autorizzazione di abitabilità o di agibilità e come fosse lecito il dubbio che la documentazione prodotta nel gennaio 2004 comprovasse la regolarità amministrativa della costruzione, dal momento che essa era riferibile ad un immobile sito in una particella catastale diversa da quella indicata nel preliminare.

4/b – Del tutto nuova rispetto ai motivi di appello – rispetto a quanto dedotto nel ricorso e ricavabile dalla lettura della gravata decisione – appare la censura di mancata applicazione della disciplina dell’obbligatone del fatto del terzo – sostenendo il ricorrente che, nell’ambito del preliminare, le obbligazioni attinenti alla regolarità urbanistica si configurerebbero, a latore debitoris, come obbligazioni del promittente venditore a far conseguire al promissario acquirente il risultato di un facere rientrante nella esclusiva sfera del terzo.

4/c – Il mezzo sarebbe comunque del tutto infondato atteso che deve dirsi erroneo il richiamo – come visto, oltretutto tardivo – alla disciplina della promessa del fatto del terzo, dal momento che l’obbligazione del promittente venditore era diretta ad un futuro trasferimento da parte propria di un bene commerciabile in quanto in regola con la normativa urbanistica e corredato delle autorizzazioni a ciò occorrenti e non già – in via autonoma – quella di operarsi presso la pubblica amministrazione per il rilascio delle stesse: ne deriva la non condivisibilità della implicazione che il ricorrente trae dalla propria ricostruzione, lamentandosi di non esser stato messo in grado di provare la propria diligenza nel procurare l’approvazione comunale.

5 – Con il quarto motivo, nella sua ulteriore articolazione, si assume la violazione dei massimi tariffali di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, con riferimento alla Tabella A, par 4 in relazione all’art. 12 c.p.c., per non aver, la Corte territoriale, preso a base del computo per liquidare le spese di lite, la parte del rapporto obbligatorio oggetto di contestazione che avrebbe dovuto essere compreso nello scaglione compreso tra Euro 5.200,01 ed Euro 51.700,00, così che non si sarebbe mai potuto raggiungere all’importo -calcolato nell’intero per gli onorari – di Euro 15.000,00 per la S. e di Euro 12.000,00 per la Co.Ge.Fer..

5/a – La censura – che all’evidenza, si riferisce alla liquidazione relativa alle spese del giudizio di appello – non appare essere ammissibile per difetto di specificità, dal momento che parte deducente avrebbe dovuto mettere in relazione la liquidazione effettivamente operata non già allo scaglione ritenuto applicabile, bensì ai presupposti – rapportati alle singole attività oggetto di prestazione professionale – per i quali detto scaglione sarebbe stato applicabile: ciò permette di ritener assorbito il pur evidente rilievo in base al quale in una causa di risoluzione del contratto preliminare ove si deduca – a parte emptoris – la mancata stipula del contratto definitivo come parametro di inadempimento, il valore della controversia è dato dall’intero prezzo pattuito che, nella fattispecie, era pari a L. 237.500.000 – pari ad Euro 122.658,51 – rientrando quindi nello scaglione tariffario compreso tra Euro 103.300,01 ed Euro 258.300,00.

6 – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 4.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile della Corte di Cassazione, il 21 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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