Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 06-09-2012) 12-09-2012, n. 35010

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Catania ha confermato la decisione di primo grado con la quale C.A. fu dichiarato responsabile del delitto di detenzione al fine di cessione di marijuana e condannato alla pena di quattro anni di reclusione, esclusa l’applicazione delle attenuati generiche.

Ad avviso del giudice d’appello, l’imputato aveva organizzato due punti vendita della sostanza stupefacente, per tale ragione va esclusa la tenuità del fatto D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, ex comma 5, nonchè ogni rideterminazione della pena e l’applicazione delle attenuanti generiche, nonostante la confessione dell’imputato, peraltro resa per essere stato colto nella flagranza di reato e non rivolta a ridurre la gravità dei fatti. Anche la giovane età e l’apparente incesuratezza dell’imputato non possono essere elementi favorevoli per i benefici richiesti.

2. La difesa propone ricorso e deduce:

-vizio di motivazione, poichè il giudice d’appello non ha adeguatamente considerato gli elementi posti in rilievo dalla difesa, tra i quali la circostanza che erroneamente è stata ritenuta l’organizzazione di due punti vendita, sul presupposto che C. aveva dimenticato una piccola quantità di marijuana a casa. Si trattava di uno spaccio del tutto rudimentale.

Non si è considerato che vi è stata una confessione ampia e C. ha indicato agli inquirenti il luogo ove era nascosta la sostanza stupefacente.

Per il ricorrente, il giudice d’appello ha travisato gli elementi di prova e non ha considerato i fatti nella loro effettiva consistenza oggettiva, trascurando elementi decisivi quali la giovane età e l’incesuratezza di C..

Non si tenuto conto che parte della sostanza era detenuta per uso personale.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è diretto a propone questioni riguardanti valutazioni di merito espresse dal giudice d’appello, giustificate da un argomentata motivazione.

Le censure, pertanto, non sono altro che dirette a contestare valutazioni di merito correttamente espresse dal giudice d’appello e coerenti con le risultanze processuali esposte nella sentenza impugnate che ha fatto proprie le argomentazioni della decisione di primo grado.

Pertanto, il diniego di attenuati generiche e di ridimensionamento della pena sono stati oggetto di una esauriente motivazione nel rispetto dei canoni di ordine logico che debbono orientare il giudice di merito nelle scelte da compiere nel proprio lavoro di ricostruzione storica dei fatti da provare ex art. 187 c.p.p. diretta a dare contenuti alla formula generale racchiusa nei commi 1 e 2 del citato art. 192 c.p.p. di dare "… conto …dei risultati acquisiti e dei criteri adottati".

2. Il ricorso è, dunque, inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., il ricorrente va condannato, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni richieste dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 6 settembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *