Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-07-2012, n. 12285

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 ottobre 2001 il Tribunale di Venezia rigettava la domanda, proposta da G.P. nei confronti di F. A. e F.M., di risoluzione del contratto preliminare di compravendita, stipulato tra le parti e relativo ad un appartamento di proprietà di questi ultimi, e di condanna dei convenuti alla restituzione del doppio della caparra versata, o, in subordine, dell’importo corrisposto, oltre interessi legali.

1 gravame proposto dalla parte soccombente veniva accolto dalla Corte di appello di Venezia che, con sentenza del 16 marzo 2006, accertato l’inadempimento dei promittenti venditori agli obblighi di cui al predetto contratto preliminare, dichiarava legittimo il recesso attuato dalla G. e condannava gli appellati, in solido, a corrispondere all’appellante la somma di Euro 16.188,14, pari al doppio della caparra percepita, oltre interessi dalla costituzione in mora, e alle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso la sentenza della Corte di merito F.M. e F.A. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Ha resistito G.P. con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, intitolato "violazione o falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. e art. 1218 cod. civ.", i ricorrenti, in relazione alla lettera a loro firma prodotta da G.P. per la prima volta in sede di appello ed inviata alla sorella della medesima (essendosi all’epoca e successivamente la G. resa irreperibile), deducono che, pur non risultando chiaramente dalla sentenza impugnata se tale documento sia stato o meno acquisito, sembrerebbe comunque che detta lettera non sia stata valutata dalla Corte di merito come elemento probatorio a favore dell’appellante.

Assumono i ricorrenti che la produzione di quel documento sarebbe stata, invece, ammissibile a loro favore, a riprova della circostanza che essi avevano avvertito la promissaria della loro incolpevole impossibilità di stipulare il contratto definitivo alla data prevista. Nel motivo in esame, pur non essendo indicati nel titolo dello stesso vizi di motivazione, i ricorrenti censurano la decisione di secondo grado anche per illogica ed omessa motivazione in relazione alla prova del loro inadempimento.

2. Con il secondo motivo, denunciando "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione", i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non aver la Corte di merito fornito "alcun elemento di diritto" a fondamento dell’adottata decisione e per non aver motivato il suo dissenso dalla decisione del giudice di primo grado, in particolare in relazione al ritenuto assolvimento, da parte della promissaria acquirente, dell’onere della prova posto a suo carico.

Lamentano, inoltre, i ricorrenti che la sentenza impugnata, non applicando in tal modo "giustamente" l’art. 1218 cod. civ., viola nel contempo anche la legge.

3. Il ricorso all’esame deve essere dichiarato inammissibile, in quanto non risultano osservati – come pure eccepito dalla controricorrente e rilevato dal P.M. -, in relazione ad entrambi i motivi proposti, i requisiti di ammissibilità di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile, ratione temporis, nella fattispecie all’esame, trattandosi di ricorso avverso sentenza pubblicata in data 16 marzo 2006.

Questa Corte ha in più occasioni chiarito che nei casi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, "i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, comma 1, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il cui rafforzamento è alla base della nuova normativa secondo l’esplicito intento evidenziato dal legislatore alla Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità", (v. Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cassy9 maggio 2008, n. 11535; Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez. un., 29 ottobre 2007, n. 22640;

Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n. 14385).

Pertanto, affermano le Sezioni Unite di questa Corte, travalicando la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità la risoluzione della singola controversia, "il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma.

Incontroverso che il quesito di diritto non possa essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma debba essere esplicitamente formulato, nell’elaborazione dei canoni di redazione di esso la giurisprudenza di questa Suprema Corte è, pertanto, ormai chiaramente orientata nel ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso debba consentire l’individuazione tanto del principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, del principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata; id est che il giudice di legittimità debba poter comprendere, dalla lettura del solo quesito inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare. Ove tale articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolverebbe in un’astratta petizione di principio che, se pure corretta in diritto, risulterebbe, ciò nonostante, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la fattispecie concreta, l’errore di diritto imputato al giudice a quo ed il difforme criterio giuridico di soluzione del punto controverso che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione del principio cui la Corte deve pervenire nell’esercizio della funzione nomofilattica. Il quesito non può, pertanto, consistere in una mera richiesta d’accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte medesima in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione d’una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile, al contempo, di risolvere il caso in esame e di ricevere applicazione generale, in casi analoghi a quello deciso." (V., in motivazione, Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; v. Cass., ord., 24 luglio 2008, n. 20409).

Nella giurisprudenza di questa Corte è stato, inoltre, precisato che, secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., anche nel caso previsto dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

In particolare, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa, insufficiente o contraddittoria, deve consistere in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere rispettato il requisito concernente il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, allorquando solo la compieta lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito dell’art. 366 bis cod. proc. civ., che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione (Cass., sez. un., 18 luglio 2007, n. 16002; Cass., 27 ottobre 2011, n. 22453).

E’stato pure affermato da questa Corte che è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., per le cause – come quella all’esame – ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, qualora non sia stato formulato il cd. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso sia rilevabile dal complesso della formulata censura, attesa la ratio che sottende la disposizione indicata, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla suprema Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito (v. Cass., 18 novembre 2011, n. 24255).

Inoltre, il motivo di ricorso per cassazione con il quale si denunzino vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto è ammissibile, ma esso deve concludersi "con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto" (Cass., sez. un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass., 20 dicembre 2011, n. 27649). Nella specie con entrambi i motivi del ricorso, al di là delle rispettive rubriche, vengono denunciati contestualmente violazione di legge e vizi di motivazione, ma non risultano articolati quesiti di diritto e momenti di sintesi, specificamente riferiti a ciascuna delle denunce proposte.

4. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido tra loro, in applicazione del principio della soccombenza, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per onorario, oltre spese generali ed altri accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *