Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-07-2012, n. 12274 Successione testamentaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con testamento olografo del 28 marzo 1993 B.C. lasciava a C.C. e Co.Ce. l’appartamento sito in (OMISSIS) e ai nipoti R. e B.G. altro appartamento sito in (OMISSIS)e Con successivo testamento olografo del 4 luglio 1993 B.C. nominava R. e B.G. suoi eredi universali.

Ciò premesso, B.R. e B.G. convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Massa C.C., Co.

C. nonchè Bo.No., madre delle predette per sentire dichiarare, alla stregua dell’ultimo testamento, la loro qualità di successori a titolo universale e la proprietà di tutti i beni della de cuius, sostenendo l’annullamento del primo testamento per incompatibilità con il secondo;

chiedevano altresì la declaratoria che la cointestazione del conto corrente alla B. e a Bo.Co.No., configurasse una mera delega alle operazioni bancarie.

Il Tribunale, con sentenza n. 62/2002, rigettava la domanda, escludendo la asserita incompatibilità delle disposizioni testamentarie, sul rilievo che con il primo testamento era stato costituito un legato avente a oggetto l’assegnazione di beni determinati, sicchè tale disposizione non era stata annullata da quella successiva; respingeva, altresì, la domanda con cui gli attori avevano chiesto che la cointestazione del conto corrente alla B. e a Bo.Co.No., configurasse una mera delega alle operazioni bancarie.

Con sentenza dep. il 17 settembre 2009 la Corte di appello di Genova, in riforma della decisione impugnata dagli attori, dichiarava che il primo testamento era stato annullato da quello successivo e che, pertanto, l’immobile sito in sito in (OMISSIS) faceva parte dell’eredità dismessa dalla B. in favore di B.R. e G..

Era respinta la domanda di risarcimento dei danni proposta dagli attori per il mancato godimento dell’immobiliare sito in (OMISSIS).

Le spese del doppio grado di giudizio erano compensate ad eccezione di quelle relative alla consulenza tecnica d’ufficio che erano poste a carico degli attori.

Secondo i Giudici, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., con il primo testamento, seppure aveva disposto non di tutti i suoi beni, la testatrice aveva inteso assegnare i singoli beni, quali quota del suo patrimonio, avendo avuto l’intenzione di suddividere tutto quanto a lei appartenente: pertanto la disposizione era a titolo universale ed era espressiva dell’istituzione di erede e non della costituzione di un legato.

Al riguardo, osservava che tale disposizione comprendeva la parte prevalente del patrimonio, chiarendo, per quanto riguardava gli altri cespiti di cui la testatrice non aveva disposto, che le entrate del conto corrente era destinate alle esigenze di mantenimento e di cura, mentre per quanto riguardava l’altro immobile, ereditato dal marito, la de cuius non intese disporne, avendo sempre manifestato l’intenzione che esso rimanesse ai parenti del marito.

Nè a conclusioni diverse poteva portare la considerazione del legame fra la testatrice e Bo.No. e le sue figlie, rilevando i Giudici come il rapporto di assidua frequentazione si era negli ultimi deteriorato, essendo la testatrice infastidita dalla vicinanza, ritenuta non disinteressata, delle predette mentre, d’altra parte, dalle testimonianze era emerso il disappunto della de cuius per essere stata inserita in una struttura di assistenza di cui si era occupata la Bo.: il che poteva spiegare la mutata volontà, anche nel gito di qualche mese, circa le persone in favore delle quali aveva inteso disporre del suo patrimonio.

2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione C. C. e Co.Ce. sulla base di un unico motivo illustrato da memoria.

Resistono con controricorso B.R. e B.G., proponendo ricorso incidentale.

C.C. e Co.Ce. hanno proposto controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione

1.1.- L’unico motivo, lamentando difetto di motivazione su fatti decisivi della controversia, censura la decisione gravata laddove in modo tautologico aveva ritenuto che con il primo testamento la B. avesse inteso assegnare una quota del patrimonio, quando dal dato letterale era emersa la disposizione a favore delle C. di un singolo bene, mentre era erroneo ed immotivato il riferimento alla circostanza che fosse stato disposto della parte nettamente prevalente del suo patrimonio; in presenza del dato testuale la Corte avrebbe dovuto accertare in maniera rigorosa e approfondita la diversa volontà della testatrice: tale indagine era assolutamente mancata, del tutto generici e ambigui essendosi rivelati i riferimenti all’età, alla cultura, all’attitudine mentale. Nè, d’altra parte, potevano considerarsi favorevoli alle conclusioni dei Giudici i rapporti intercorsi con la famiglia delle sorelle C.:

la sentenza non aveva preso in esame le deposizioni testimoniali e la documentazione in atti da cui era invece emersa la volontà della testatrice di beneficiare la figliocce, mentre non si spiega come mai – se i rapporti erano mutati – la B. si fosse decisa a disporre a loro favore soltanto tre mesi prima. Il secondo testamento non conteneva alcuna revoca del primo testamento nè la motivazione aveva compiuto alcuna valutazione circa l’improvviso e mutato cambiamento della volontà.

1.2.- Il motivo è infondato.

Occorre premettere che in materia di distinzione tra erede e legatario, l’assegnazione di beni determinati deve interpretarsi, ai sensi dell’art. 588 cod. civ., come disposizione ereditaria ("institutio ex re certa"), qualora il testatore abbia inteso chiamare l’istituito nell’universalità dei beni o in una parte indeterminata di essi, considerata in funzione di quota del patrimonio relitto, mentre deve interpretarsi come legato, se abbia voluto attribuirgli singoli individuati beni. L’indagine diretta ad accertare se ricorra l’una o l’altra ipotesi, si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato ai giudici del merito, ed è, quindi, incensurabile in sede di legittimità se conseguentemente motivato (Cass. 3016/2002).

Ai fini di stabilire se, pur in presenza della indicazione di singoli beni, la disposizione sia o meno a titolo universale, assume rilievo decisivo accertate quale sia stata la volontà del testatore ovvero verificare l’intenzione di disporre dell’intero patrimonio di cui sia titolare, di guisa che l’assegnazione di beni determinati debba, considerarsi come attribuzione di quote del patrimonio.

Ciò posto la sentenza, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha per l’appunto condotto una approfondita indagine su quella che era stata la volontà della testatrice e, nello statuire che con il primo testamento le ricorrenti erano state istituite eredi, ha ritenuto che con quelle disposizioni la testatrice aveva inteso disporre integralmente del suo patrimonio, per cui i singoli beni dovevano essere considerati quote dell’asse ereditario. Ed invero, nel pervenire a tale conclusione, i Giudici hanno: a) accertato innanzitutto che quel testamento conteneva l’assegnazione non soltanto dell’immobile sito in (OMISSIS) lasciato alle C. ma anche di quello sito in (OMISSIS) assegnato agli attori; b) spiegato perchè non poteva considerarsi rilevante la circostanza che la B. non avesse disposto degli altri beni di cui pure era titolare. Al riguardo, la sentenza ha chiarito che, per quanto riguardava le entrate del conto corrente, le stesse – peraltro di modesta entità – erano destinate al mantenimento e alle cure della B. che era ricoverata in un istituto di assistenza, considerata l’età e le condizioni di salute; per quel che concerneva l’altro immobile di proprietà della medesima, era risultata la volontà che esso fosse destinato ai nipoti del marito che già ne disponevano, sostanzialmente considerandolo la de cuius estraneo al suo patrimonio.

Correttamente la sentenza ha ritenuto che le suindicate risultanze non potevano essere smentite dal particolare rapporto esistente fra la B. e le ricorrenti, avendo tra l’altro i Giudici chiarito le ragioni per le quali ben poteva ipotizzarsi il mutato atteggiamento della volontà della donna anche a distanza di poco tempo. Ed invero, la sentenza ha analizzato, da un canto, il particolare e complesso rapporto da molti anni esistente fra la testatrice e la famiglia Bo. e, dall’atro, le particolari condizioni di salute e di vita dell’anziana donna che ben potevano spiegare anche il repentino mutamento di stato d’animo.

Orbene, le critiche formulate dalle ricorrenti non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’ iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai Giudici. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360, n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).

D’altra parte, in relazione al vizio di motivazione per omesso od erroneo esame di una prova o di un documento decisivo, va rilevato che il ricorrente ha l’onere, a pena di inammissibilità del motivo di censura, di riprodurre nel ricorso, in osservanza del principio di autosufficienza del medesimo, le risultanze della prova o il testo del documento nella loro integrità in modo da consentire alla Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la decisività della censura (Cass. 14973/2006;

12984/2006; 7610/2006; 10576/2003), tenuto conto che in proposito occorre dimostrare la certezza e non la probabilità che, ove esso fosse stato preso in considerazione, la decisione sarebbe stata diversa: tale onere nella specie non è stato ottemperato dalle ricorrenti.

Ciò posto, una volta accertato che il primo testamento conteneva una istituzione di erede in re certa delle ricorrenti, la successiva istituzione di eredi degli attori, pur in mancanza, nell’ultimo, di revoca espressa di quello precedente, ne comportava l’annullamento, ai sensi dell’art. 682 del cod. civ., in quanto inconciliabile con il primo. Ed invero,avendo accertato che con il primo testamento la B. aveva inteso disporre dell’intero patrimonio di cui era titolare, la istituzione di eredi universali degli attori non poteva avere altro significato che quella di revocare la attribuzione dei beni di cui al precedente testamento.

Il ricorso principale va rigettato.

Ricorso incidentale.

1.1.- Il primo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., artt. 1226 e 2056 cod. civ., nonchè omessa e insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, censura la decisione gravata laddove aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni per il mancato godimento del bene in oggetto, quando attraverso la denuncia di successione e la rendita catastale erano stati forniti gli elementi probatori necessari, tanto più che lo stesso Giudice aveva compreso il valore dell’immobile.

1.2.- Il motivo è infondato.

La sentenza, nel respingere la domanda risarcitoria, ha ritenuto che non era stata neppure offerta la prova del pregiudizio patito.

Orbene, va considerato che il potere riconosciuto al giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa non esonera la parte istante dall’onere di fornire gli elementi probatori ed i dati di fatto in suo possesso, al fine di permettere la precisa determinazione del danno stesso, essendo, inoltre, imprescindibile che ne sia dimostrata l’effettiva esistenza e che non risulti possibile provarne il preciso ammontare (Cass. 2874/2003):

evidentemente il danno relativo al mancato godimento dell’immobile postulava la prova del pregiudizio in concreto risentito con riferimento al possibile mancato sfruttamento del bene (per destinarlo ad abitazione ovvero alla locazione) o ancora per le perdita di occasioni di vendita a un prezzo conveniente, dovendosi anche tenere conto dello stato di manutenzione in cui si trovava l’immobile.

2.1.- Il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 92 cod. proc. civ., censura la decisione gravata che aveva integralmente compensato le spese processuali, pur avendo accolto la domanda principale degli attori.

2.2.- Il motivo va rigettato.

Occorre premettere che la statuizione di compensare le spese processuali è rimessa alla prudente scelta del giudice il quale deve dare conto del ragioni che lo hanno portato a tale decisione: la valutazione è denunciabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione.

Nella specie, i ricorrenti incidentali non formulano alcuna specifica censura circa la motivazione della sentenza impugnata la quale peraltro, nel procedere alla compensazione delle spese, non si è limitata a rilevare la soccombenza parziale – peraltro con riferimento non soltanto al rigetto della domanda risarcitoria ma anche a quella nei confronti della Bo. (la declaratoria di inammissibilità dell’appello non ha formato di specifico e autonomo motivo di ricorso) – ma ha fatto riferimento alla peculiarità della lite, in tal modo correttamente considerando la complessità della controversia, tenuto conto dei dubbi che potevano derivare dall’interpretazione dei testamenti e che avevano portato il Tribunale a una decisione difforme da quella di secondo grado.

Le spese della presente fase possono compensarsi tenuto conto della soccombenza reciproca e della già ricordata peculiarità della lite.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.

Compensa spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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