Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-07-2012, n. 12273 Proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione del 29/10/1996 S.L., premesso di essere proprietario per successione ereditaria della madre C. C. insieme a S.F.R. e S.A. O., di una piccola casetta in creta e paglia, chiedeva la condanna di A.C. e A.E., occupanti senza titolo, al rilascio dell’immobile.

A.C. chiedeva il rigetto della domanda e proponeva domanda riconvenzionale di usucapione.

A.E. chiedeva il rigetto della domanda e in riconvenzionale chiedeva che fosse accertato il suo diritto di proprietà sull’immobile in quanto ricevuto in donazione dalla madre C..

Nel corso del giudizio di primo grado il contraddittorio era integrato nei confronti di S.F.R. e S. A.O., pure comproprietari in quanto eredi di C. C..

Con sentenza del 20/9/2001 il Tribunale di Cosenza rigettava la domanda del S. e in accoglimento della domanda riconvenzionale di A.C. dichiarava quest’ultima proprietaria per maturata usucapione.

S.L. proponeva appello al quale aderiva la sorella S.F.R., mentre restava contumace S. A.O., coniuge della de cuius.

A.C. e A.E. chiedevano il rigetto dell’appello.

La Corte di Appello di Catanzaro con sentenza del 14/4/2010 in totale riforma della sentenza appellata dichiarava gli eredi C. comproprietari dell’immobile in ragione di un terzo ciascuno e condannava A.E. a rilasciarlo; condannava le appellate al pagamento delle spese dei due gradi.

La Corte territoriale rilevava, sulla base delle testimonianze assunte nel processo e che richiamava:

– che C.C. era proprietaria della casa in contestazione e vi aveva abitato fino alla sua partenza per il (OMISSIS);

che il padre della proprietaria, C.R., disponeva di una sua autonoma abitazione, ma utilizzava la casetta per deposito di legna e altre derrate;

– che dopo il matrimonio, avvenuto negli anni 70, del C. con A.C., quest’ultima, senza dover chiedere il permesso ad alcuno, utilizzava la casetta per gli stessi usi per i quali era utilizzata dal marito;

– che la proprietaria C.C. decedeva nel (OMISSIS), circa vent’anni prima del padre R.;

che nel periodo in cui C.C. aveva vissuto in (OMISSIS), il di lei padre, pur disponendo della casetta, non aveva mai inteso sottrarla alla figlia impossessandosene, perchè secondo le regole di comune esperienza si doveva ritenere che egli avesse detenuto il bene nell’interesse della figlia;

– che nei successivi ventanni intercorsi tra la morte della figlia di C.R. ((OMISSIS)) e la morte di quest’ultimo ((OMISSIS)), secondo le testimonianze raccolte non erano cambiate le modalità d’uso della casetta che continuava a rimanere disabitata e ad essere utilizzata per deposito e, d’altra parte, non era mai stato manifestato l’intento di possedere la casetta come propria; al contrario, quando gli eredi tornavano, per brevi periodi in Italia, non erano mai insorte discussioni in merito a tale bene, nè in ordine alla sua utilizzazione, nè in ordine all’appartenenza;

che pertanto l’utilizzazione della casetta, sebbene protrattasi per lungo tempo, non costituiva elemento idoneo per l’usucapione, tenuto conto degli stretti rapporti di parentela tra la proprietaria, il suo genitore e la matrigna, tali per i quali l’uso prolungato doveva essere ascritto a mera tolleranza;

che ad una mera tolleranza era riconducibile anche la disponibilità della casetta da parte di A.C., che ne usava in quanto coniuge del C..

A.C. e A.E. propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi e depositano memoria.

Resiste con controricorso S.L., S.F. R. e S.A.O. sono rimasti intimati.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo le ricorrenti deducono, genericamente, violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ma nell’esposizione del motivo si fa riferimento alla disposizione di cui all’art. 1144 c.c., relativa all’inidoneità degli atti di tolleranza per l’acquisto del possesso, non essendovi prova (della quale sarebbe onerato l’attore in rivendica) che l’uso del bene sarebbe avvenuto per tolleranza ed essendo irrilevante, per escludere l’usucapione, il compossesso da parte del coniuge di essa ricorrente.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti deducono il vizio di motivazione quanto alla ritenuta inidoneità del godimento prolungato dell’immobile ad integrare il possesso utile per l’usucapione; in particolare, le ricorrenti lamentano che la Corte di Appello avrebbe escluso l’animus possidendi sulla base di regole di comune esperienza (per le quali il padre avrebbe custodito la casetta nell’interesse della figlia), contraddette dalle risultanza istruttorie, senza adeguatamente valorizzare il protrarsi nel tempo del godimento, configgente con la configurabilità d un uso precario; la Corte territoriale inoltre avrebbe equivocato una testimonianza (quella del G.) che, contrariamente a quanto ritenuto, avrebbe detto di non avere mai sentito il C. dire che deteneva l’immobile per conto della figlia; al contrario l’utilizzo della casetta come deposito, avveniva nell’esclusivo interesse dei due coniugi possessori, posto che la figlia del C., che viveva in (OMISSIS), nessun interesse poteva avere rispetto a quel tipo di utilizzo.

3. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente perchè si risolvono nella contestazione sull’idoneità degli elementi istruttori acquisiti e utilizzati dal giudice di appello a dimostrare che il godimento del bene fosse iniziato e si fosse protratto nel tempo per la tolleranza del proprietario; si sostiene, infatti, che, in assenza di altri elementi ed essendo provato il godimento ultraventennale del bene nell’interesse proprio e non nell’interesse del proprietario, la materiale disponibilità della casetta avrebbe dovuto essere qualificata come possesso utile all’usucapione e che, semmai, sarebbe stato onere del proprietario provare il contrario.

Sotto il profilo della violazione di norma di diritto il motivo è infondato in quanto la Corte di Appello ha applicato l’art. 1144 c.c., ritenendo che l’uso prolungato del bene non comportasse acquisto del possesso trattandosi di un uso tollerato dal proprietario.

Tuttavia occorre esaminare la censura (concretamente articolata nei due motivi) relativa al vizio di motivazione con riferimento alla configurabilità di un uso consentito dalla tolleranza anche quando l’uso si protragga nel tempo in assenza del proprietario.

Occorre premettere che l’uso prolungato nel tempo di un bene di norma non è compatìbile con la mera tolleranza (v. Cass. n. 6760/03), essendo questa normalmente configurabile nei casi di transitorietà ed occasionalità degli atti compiuti, sicchè, in cospetto dell’esercizio sistematico e reiterato del potere di fatto sulla cosa, spetta a che lo abbia subito l’onere di provare che lo stesso sia stato dovuto a mera tolleranza (v., tra le altre, Cass. n. 3404/2009; 18651/04, 15739/04, 11871/04, 8194/01, 6738/00, 1077/95, 6944/90).

Questa stessa Corte, però, con orientamento assolutamente consolidato, ha distinto l’ipotesi nella quale la tolleranza si verifichi per rapporti di amicizia o di buon vicinato, rispetto all’ipotesi in cui si verifichi per rapporti di parentela (ritenuti di carattere più stabile e duraturo nel tempo); in questi ultimi casi, il silenzio o l’inerzia, benchè protratti per molti anni, non potrebbero di per sè denotare rinuncia, ancorchè tacita, al possesso, se non accompagnati da atti o fatti che in modo certo rivelassero la volontà di cessare la relazione di carattere possessorio (ancorchè solo animo) con i locali contestati da parte della titolare del relativo diritto e, per contro, la tolleranza del godimento da parte del parente è presumibile proprio in considerazione del rapporto di parentela; infatti, secondo i richiamati principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, i rapporti in concreto esistenti tra le parti,se caratterizzati da vincoli particolari, quali quelli di parentela possono elidere l’anzidetto valore di presunzione e anzi nei vincoli di stretta parentela è ben plausibile il mantenimento di un atteggiamento tollerante anche per un lungo arco di tempo (v. Cass. 4327/2008, 8194/01, 1042/98, 8498/95, 1042/92, 4631/90, 1620/84 e Cass. 9661/2006 che, in motivazione, ha ribadito il principio dell’idoneità del rapporto di parentela per la presunzione della tolleranza; per i rapporti societari v. Cass. n. 2487/00).

La Corte di Appello ha valutato i suddetti elementi e ha ritenuto che il godimento del bene avvenisse a titolo di tolleranza dato il rapporto di parentela (tra C.C. e C.R. e i suoi nipoti, eredi di C.C.) e la circostanza che nei venti anni successivi alla morte della figlia del C., quest’ultimo abbia continuato a utilizzare la casetta per gli stessi usi per i quali la utilizzava durante la vita della figlia, senza mai abitarla o destinarla ad usi diversi.

La Corte territoriale ha poi escluso, con congrua motivazione, che A.C., avendo la disponibilità della casetta in quanto coniuge del C., potesse averne una disponibilità idonea ad integrare quale possesso che non ne aveva il coniuge, nè l’eventuale possesso successivo alla morte poteva assumere rilevanza non essendo decorso da tale evento il termine per l’usucapione.

L’apprezzamento di fatto sull’inidoneità dell’uso, in quanto tollerato (la valutazione della tolleranza, come detto è motivata e coerente con il costume sociale e il rapporto di parentela), ad integrare il possesso utile all’usucapione, è fondato sui principi giurisprudenziali sopra richiamati ed è quindi insindacabile in cassazione in quanto immune da vizi logici e giuridici.

4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato; le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti a pagare al controricorrente S.L. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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