Cassazione, Sez. III, 8 maggio 2010, n. 11243 Opposizione agli atti esecutivi, sì al reclamo del provvedimento che nega la sospensione dell’esecuzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Ritenuto quanto segue

§1. XXX a proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione, avverso l’ordinanza del 23 aprile del 2009, con la quale il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, investito da essa ricorrente con ricorso depositato il 27 febbraio 2009 di un’opposizione per la declaratoria di inefficacia dell’atto di intervento della Capitalia Service J.V. s.r.l., quale cessionaria di ragioni creditizie della s.p.a. Capitalia, e per la revoca dell’ordinanza di vendita nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare iniziata contro la stessa ricorrente dalla detta s.p.a., ha, previa qualificazione dell’opposizione ai sensi del secondo comma dell’art. 617 c.p.c., rigettato l’istanza di sospensione dell’ordinanza dispositiva della vendita ed ha fissato termine di sessanta giorni per l’instaurazione del giudizio di merito avanti al giudice competente.

Al ricorso ha resistito con controricorso l’UniCredit Credit Managment Bank S.p.a., qualificatasi come incorporante per fusione la Capitalia Service J.V. S.r.l..

§2. Il ricorso è soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di cassazione, disposte dal d.lgs. n. 40 del 2006. Ricorrendo le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c. è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Considerato quanto segue

§1. Nella relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. si è osservato quanto segue:

«[…] 3. – Il ricorso appare inammissibile perché proposto contro un provvedimento non suscettibile di essere impugnato con il mezzo del ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione, siccome, del resto, ha anche eccepito la resistente.

In ragione del momento di proposizione dell’opposizione, il regime processuale applicabile, indipendentemente dalla questione della sua qualificazione alla stregua dell’art. 617 o, come postula la qui ricorrente, alla stregua dell’art. 615 c.p.c. (cioè quale opposizione diretta a contestare la sussistenza del credito dell’interveniente) era, quoad modus procedendi, o quello dell’art. 618, secondo comma, o quello dell’art. 616 c.p.c., nei testi rispettivamente risultanti dalle sostituzioni operate rispettivamente dall’art. 15 e dall’art. 14 della l. n. 52 del 2006, mentre quello del provvedimento di sospensione era quello, di cui all’art. 624 risultante dalla modifica di cui all’art. 18 della l. n. 52 del 2006.

Ne consegue che, nella logica della qualificazione come opposizione all’esecuzione (peraltro non prospettabile ai fini dell’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile, attesa l’espressa qualificazione dell’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., effettuata dal giudice dell’esecuzione, da considerarsi vincolante all’uopo), il provvedimento sulla sospensione sarebbe stato suscettibile di reclamo ai sensi dell’art. 624, secondo comma, c.p.c., che tale mezzo prevede tanto per la concessione quanto per la negazione della stessa.

Nella logica che la ricorrente doveva seguire nell’individuare il mezzo di impugnazione, cioè quella della qualificazione dell’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., vale la stessa conclusione.

Invero, ad essa si deve pervenire: a) ancorché l’art. 624, secondo comma, c.p.c. nel testo innanzi richiamato preveda che il provvedimento sulla sospensione è reclamabile ai sensi dell’art. 669 terdecies (e la previsione è stata mantenuta anche dopo la modifica della norma operata dalla l. n. 69 del 2009) con una disposizione, la quale, ponendosi dopo quella del primo comma della norma, direttamente disciplina solo i casi di sospensione disposta nell’ambito di opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c., alle quali il primo comma si riferisce; b) e nonostante che il quarto comma dell’art. 624, del resto, si occupi della sospensione disposta a seguito di opposizione agli atti, ma solo per dire applicabile ad essa il terzo comma dello stesso art. 624 c.p.c.

Si potrebbe, invero, pensare, sulla base di tali dati normativi, che al provvedimento sull’istanza di sospensione emesso, in modo positivo o negativo, il legislatore delle riforme del 2006 abbia inteso negare la soggezione al reclamo ai sensi dell’art. 669 terdecies attesa la mancata previsione dell’applicabilità dell’art. 624, secondo comma. Tale ipotesi potrebbe essere rimasta prospettabile anche dopo la l. n. 69 del 2009.

Senonché, è proprio il terzo comma dell’art. 624 nel testo qui applicabile che smentisce tale ipotesi esegetica.

In esso, infatti, si allude ad un provvedimento di sospensione non reclamata, nonché “disposta o confermata in sede di reclamo”, e, pertanto, appare evidente che, quando il quarto comma dell’art. 624 parla di “sospensione del processo disposta ai sensi degli articoli 618 e 618 bis c.p.c.”, non può non voler alludere anche al caso nel quale la sospensione in tali procedimenti sia stata disposta in sede di reclamo dopo essere stata negata dal giudice dell’esecuzione. Il che significa che il legislatore delle riforme del 2006, pur con una qualche insipienza di tecnica legislativa, ha chiaramente supposto che il provvedimento sulla sospensione disposto in sede di opposizione agli atti sia reclamabile e ciò tanto in caso di accoglimento quanto in caso di rigetto della relativa istanza.

D’altro canto, se il richiamo dell’art. 624, terzo comma, operato dal quarto comma della stessa norma si intendesse limitato – contro l’argomento esegetico innanzi prospettato – al solo provvedimento di sospensione emesso dallo stesso giudice dell’esecuzione e non anche a quello di rigetto da parte sua, nella supposizione ch’esso sia irreclamabile per la limitatezza della previsione del secondo comma, si fornirebbe un’interpretazione palesemente incostituzionale, atteso che la Corte costituzionale, allorché fu sollecitata ad intervenire sull’originario regime di preclusione del reclamo per il provvedimento negativo del provvedimento cautelare, lo disse incostituzionale, sottolineando l’esigenza di trattare allo stesso modo il provvedimento positivo e quello negativo. Dunque, sarebbe certamente lettura non conforme a Costituzione leggere il sistema nel senso che, nell’ambito dell’opposizione agli atti esecutivi, sarebbe reclamabile ai sensi del secondo comma dell’art. 624 c.p.c., solo il provvedimento concessivo della sospensione dell’esecuzione e non anche quello negativo di essa.

Per mera completezza, va detto che il sistema non cessa di dover essere ricostruito allo stesso modo dopo la modifica dell’art. 624 c.p.c., operata dalla l. n. 69 del 2009, ancorché essa, con notevole imperfezione di tecnica legislativa, abbia riscritto il secondo comma parlando di ordinanza che non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, così dimenticando l’ipotesi di sospensione disposta in sede di reclamo dopo precedente provvedimento negativo: l’interpretazione costituzionalmente orientata è sufficiente a giustificare la stessa soluzione prospettata innanzi.

Sempre per completezza va rilevato che, se, in ipotesi denegata, si negasse validità alla ricostruzione prospettata, la reclamabilità del provvedimento sulla sospensione negativo emesso nell’opposizione agli atti sarebbe comunque giustificata in ragione dell’applicabilità del regime di cui agli artt. 737 e ss. al relativo giudizio, disposta dall’art. 185 disp. att. c.p.c.

In estremo subordine, se anche si escludesse tale soluzione, il rimedio di cui all’art. 111, settimo comma, della Costituzione qui utilizzato, non cesserebbe di essere inammissibile, in ragione del difetto nel provvedimento impugnato del carattere della definitività, attesa la sua indubbia ridiscutibilità nel giudizio a cognizione piena che lo stesso giudice dell’esecuzione nel provvedimento impugnato aveva detto instaurabile ai sensi dell’art. 618, secondo comma, c.p.c.».

§2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione.

Nella sua memoria parte ricorrente sostiene innanzitutto che nella specie con l’opposizione non era stata chiesta la sospensione dell’esecuzione, bensì la declaratoria di inefficacia dell’atto di intervento della Capitalia Service s.r.l. e la revoca dell’ordinanza di vendita, onde su questo il provvedimento impugnato avrebbe deciso, negando alla XXXsia «il diritto (processuale) a non dover subire un intervento illegittimo nella procedura esecutiva», sia «il diritto (processuale e sostanziale) a non veder sottoposta a vendita il bene immobile di sua proprietà». Poiché il reclamo è previsto solo per il provvedimento sulla sospensione, l’ordinanza impugnata avrebbe definito la fase processuale introdotta con l’opposizione, decidendo su detti diritti.

Questa prospettazione, tuttavia, è innanzitutto priva di pregio perché si scontra con il dato che il provvedimento impugnato ha negato la sospensione dell’esecuzione e, quindi, ha qualificato le richieste espresse nel ricorso siccome dirette a postulare l’adozione, ai sensi dell’art. 618 c.p.c., di un provvedimento sommario di sospensione dell’esecuzione stessa. L’avere qualificato le richieste in funzione della fase sommaria in quel senso e l’avere provveduto il giudice dell’esecuzione in conformità con un provvedimento di diniego della sospensione onerava la ricorrente, in ossequio al c.d. principio dell’apparenza, a tutelarsi secondo i mezzi di tutela predisposti in relazione alla qualificazione del “chiesto” fatta dal giudice dell’esecuzione.

In disparte tale rilievo, già di per sé decisivo, si deve, poi, rilevare che quand’anche – in ipotesi che si formula per assurdo – fosse possibile intendere il provvedimento come negativo della declaratoria di inefficacia dell’intervento e della revoca della vendita e, quindi, si negasse che si sia trattato di un provvedimento di sospensione, la conseguenza sarebbe che il provvedimento – siccome ravvisante la non necessità di un provvedimento indilazionabile ai sensi e per gli effetti dell’art. 618, secondo comma, c.p.c. sarebbe stato provvedimento meramente ordinatorio, suscettibile di essere ridiscusso nell’ambito della cognizione piena sull’opposizione alla quale si sarebbe potuto dare ingresso e, quindi, pur avendo carattere decisorio, perché interveniente su situazioni di diritto soggettivo, sarebbe stato provvedimento privo di definitività e, pertanto, di una delle due caratteristiche necessaire per l’accesso alla tutela di cui all’art. 111, settimo comma, della Costituzione.

Nella memoria si insiste, poi, nel prospettare, ancora una volta ignorando il valore del principio dell’apparenza e, quindi, la qualificazione operata dal giudice, nel senso che l’opposizione sarebbe stata riconducibile all’art. 615 c.p.c.

Ora, se anche così fosse, resterebbe fermo che il provvedimento assunto dal giudice dell’esecuzione – pur non considerato nella sostanza come provvedimento denegatorio di un’istanza di sospensione, bensì come provvedimento (del tutto al di fuori, a questo punto, dello schema del provvedimento sommario che può assumere il giudice dell’esecuzione, investito dell’opposizione ai sensi dell’art. 615, secondo comma, c.p.c.) denegatorio dell’inefficacia dell’intervento e della revoca della vendita sarebbe privo del carattere di definitività gli effetti dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione, perché ridiscutibile nella cognizione piena, alla quale avrebbe potuto dare impulso la XXXai sensi dell’art. 616 c.p.c. (oppure con un’opposizione agli atti esecutivi, diretta a far constare l’assunzione da parte del giudice dell’esecuzione di un provvedimento al di fuori – lo si rileva per assurdo – dall’ambito dei suoi poteri quando viene investito dell’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.).

Il Collegio, dunque, ribadisce le considerazioni svolte nella relazione particolarmente quanto all’interpretazione dell’art. 624 c.p.c. ed ai principi di diritto in essa affermati, che così si intendono ribaditi: «tanto nel regime dell’art. 624 c.p.c. scaturito sia dalla riforma di cui alla l. n. 52 del 2006, quanto in quello successivo, di cui alla l. n. 69 del 2009, l’ordinanza che abbia provveduto sulla sospensione dell’esecuzione nell’ambito di un’opposizione ai sensi degli artt. 615, 619 e 617 c.p.c. è soggetta al reclamo ai sensi dell’art. 669 – terdecies c.p.c., sia nel caso che abbia disposto la sospensione, sia nel caso che l’abbia negata. Detta ordinanza non è soggetta al rimedio dell’art. 111, settimo comma, della Costituzione, al quale resta sottratta anche l’ordinanza emessa in sede di reclamo che abbia confermato o revocato la sospensione oppure l’abbia direttamente concessa”.

Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro duemiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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