Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-05-2012) 11-09-2012, n. 34561

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del 14 gennaio 2009 con cui il Tribunale di Monza aveva condannato C.G. alla pena di cinque mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in ordine ai reati di cui agli artt. 570 e 612 c.p., per avere fatto mancare i mezzi di sussistenza al coniuge separato, M.D., omettendo di versare la somma mensile di Euro 700,00 stabilita con provvedimento presidenziale in sede di separazione e per avere minacciato la stessa M..

2. Il difensore di fiducia dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione formulando i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 570 c.p. in ordine al mancato accertamento del dolo nel reato, In presenza di una giusta causa, costituita dalla circostanza che il coniuge negava all’imputato il diritto di visita dei figli;

– erronea applicazione dell’art. 570 c.p. e conseguente vizio di motivazione, in quanto la sentenza non offre una ragionevole giustificazione circa la ritenuta sussistenza dello stato di bisogno del coniuge, pur riconoscendo che questi percepiva uno stipendio mensile di Euro 700-800; peraltro i giudici non hanno tenuto in alcun conto della sentenza del Tribunale civile di Monza, acquisita in atti, da cui risultano redditi che non giustificano il ritenuto stato di bisogno; inoltre, viene evidenziato che risulta dagli atti che la M. ha avuto la disponibilità dell’appartamento del padre ancor prima delle condotte inottemperanti dell’imputato;

– violazione dell’art. 612 c.p., in quanto i giudici di merito hanno applicato il comma 2 dell’articolo citato, mai contestato all’imputato.
Motivi della decisione

3. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito indicati.

3.1. Per quanto riguarda il capo A) al C. è stato contestato l’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, in quanto lo stesso è accusato di avere fatto mancare i mezzi di sussistenza al coniuge separato M.D., omettendo di versarle la somma mensile di Euro 700,00 stabilita dal giudice civile.

La sentenza, tuttavia, non ha motivato sulla sussistenza dello stato di bisogno di M.D., coniuge separato. Invero, i giudici d’appello hanno fatto coincidere lo stato di bisogno con l’omesso versamento della somma da parte dell’imputato, in questo modo estendendo al coniuge quella giurisprudenza che si riferisce ai minori e che ritiene che ricorra sempre lo stato di bisogno del minore in caso di omessa corresponsione del contributo per il suo mantenimento, in base alla presunzione semplice che, in quanto minore, è incapace di produrre reddito. Invece, nel caso in cui l’omessa corresponsione dell’assegno di mantenimento riguardi il coniuge separato, tale condotta omissiva non è sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 essendo richiesta la sussistenza dello stato di bisogno.

Nella specie, la stessa sentenza impugnata riferisce che la M. percepiva uno stipendio mensile di Euro 700/800, smentendo l’affermazione, immediatamente precedente, in cui assume lo stato di bisogno della persona offesa, affermazione che a questo punto appare del tutto apodittica, non risultando indicati in base a quali criteri si è ritenuta la mancanza dei mezzi di sussistenza. Del resto, i giudici di merito non hanno neppure preso in attenta considerazione il breve periodo di inottemperanza agli obblighi di mantenimento, nè la circostanza che l’imputato ha regolarmente versato le somme indicate dal giudice civile per il mantenimento dei figli minori;

nè, soprattutto, quanto riportato nella sentenza del Tribunale civile di Monza, da cui risulta un reddito ben superiore a quello cui si sono riferiti i giudici penali.

L’unico elemento che è stato tenuto presente è quello relativo all’aiuto prestato alla M. dal padre, ma non appare sufficiente a dimostrare lo stato di bisogno, in quanto la sentenza non chiarisce i termini dell’aiuto prestato, limitandosi ad un rapido accenno;

peraltro, secondo la difesa dell’imputato il padre avrebbe dato in godimento l’abitazione alla figlia ancor prima del verificarsi degli episodi contestati all’imputato.

3.2. Riguardo al capo B), il ricorrente rileva, correttamente, che è stata applicata la pena prevista nell’art. 612 c.p., comma 2 sebbene non risulti contestata la minaccia grave.

4. Per le ragioni sopra esposte la sentenza deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2012

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