Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-05-2012) 11-09-2012, n. 34763 Falsità ideologica in atti pubblici commessa da privato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Patti ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale il GIP del locale Tribunale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di M.F. in ordine al reato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95.

Al M. era stato contestato il reato sopra indicato perchè, contrariamente al vero, dichiarava nell’istanza di ammissione al patrocinio che non aveva percepito alcun reddito nel 2008 mentre in realtà viveva con la madre, che lo aveva indicato a carico nella propria dichiarazione dei redditi ed il reddito familiare ammontava ad Euro 14.760,00.

La citata sentenza affermava di non condividere l’interpretazione fatta propria dalla Guardia di Finanza e dal Pubblico Ministero, secondo cui dovrebbe tenersi conto, ai fini del computo del reddito complessivo, della convivenza verificatasi nel periodo oggetto dell’ultima dichiarazione dei redditi, anche se in seguito e prima della presentazione della richiesta di ammissione al beneficio venuta meno.

Ciò che rileva, secondo il giudicante, ai fini dell’accesso al beneficio, tenuto conto della ratto della disposizione, è la capacità reddituale espressa dal nucleo familiare del richiedente nella composizione assunta al momento della presentazione della richiesta. E’ infatti in tale frangente che sorge la necessità di fare fronte agli esborsi connessi all’esercizio del diritto di difesa nel procedimento giudiziario e, di conseguenza, quella di verificare la sussistenza in capo all’interessato della concreta possibilità di assumere in proprio i suddetti oneri.

Applicando tali principi al caso in esame in cui risultava che alla data di presentazione dell’istanza il M. effettivamente viveva da solo, il giudicante riteneva che lo stesso correttamente aveva fatta esclusiva menzione dei redditi da lui direttamente percepiti nel periodo d’imposta cui si riferiva la dichiarazione per la quale era maturato, al momento del deposito della istanza, l’obbligo di presentazione.

Il ricorrente articola un unico motivo con il quale sostiene la violazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 76, 79 e 95, evidenziando che il legislatore ha voluto ancorare all’ultima dichiarazione presentata il parametro per la valutazione del reddito proprio per introdurre un dato obiettivo di certezza e parità tra i richiedenti e che eventuali modifiche peggiorative sotto il profilo reddituale potevano essere segnalate dall’istante per consentire una migliore valutazione da parte del giudice, valutazione che, tuttavia, poteva essere fatta dal giudice ex post e non dal richiedente ex ante, come era avvenuto nel caso in esame.

Si sostiene poi, citando il principio affermato da Sezioni unite, 27 novembre 2008, Infanti, che il reato sarebbe ravvisabile anche nel caso in cui il M. avesse potuto ottenere l’ammissione al beneficio rendendo la dichiarazione veritiera in quanto integrano il delitto di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 le false indicazioni o le omissioni anche parziali dei dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva di certificazione o in ogni altra dichiarazione prevista per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

In via preliminare, va ricordato che l’udienza preliminare ha natura prevalentemente processuale, avendo, pur anche a seguito dell’intervenuto ampliamento dei poteri officiosi in tema di prova, lo specifico scopo di evitare dibattimenti inutili, piuttosto che quello di accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Ciò è desumibile anche dal dato normativo contenuto nell’art. 425 c.p.p., comma 3, secondo cui il giudice pronuncia "sentenza di non luogo a procedere" anche quando gli elementi acquisiti risultano "insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio": per l’effetto, il giudice, contemperando l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale (art. 112 Cost.) con i criteri di economia processuale imposti dall’art. 111 Cost., deve aprire all’ulteriore corso anche se si trova in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori, i quali però appaiano destinati, con ragionevole previsione, ad essere chiariti nel dibattimento; mentre deve pronunciare la sentenza di non luogo a procedere in presenza della ragionevole mancanza delle condizioni su cui fondare una prognosi favorevole all’accusa ossia laddove risulti l’impossibilità di sottoporre con successo la tesi accusatoria al vaglio dibattimentale (di recente, Sezione 2, 3 dicembre 2009, Proc. Rep. Trib. Roma in proc. Consorte ed altri, non massimata).

L’esame della sentenza impugnata dimostra che il giudice di merito non si è attenuto ai principi indicati, valutando illogicamente l’impossibilità di superare, nel dibattimento, l’insufficienza e la contraddittorietà del quadro probatorio.

Come è noto, il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia), all’art. 95, sanziona le false, ovvero omesse dichiarazioni nelle comunicazioni contenute nella attestazione dell’interessato relative alla sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

"Ratio" della norma di cui al ricordato art. 95 è quella di impedire che siano ammessi al patrocinio a spese dello Stato soggetti che non ne abbiano diritto per mancanza dei presupposti di legge. Il reato è costruito come fattispecie di pura condotta; eventualmente aggravata dall’evento, ma la condotta non si sostanzia nella esternazione di una qualsiasi falsa dichiarazione (o nella mera omissione), atteso che il rinvio che l’art. 95 fa al comma 1, lett. b), c), d) dell’art. 79 incorpora nella fattispecie di reato solo i seguenti comportamenti:

1) dichiarazione di false generalità;

2) falsa attestazione delle condizioni di reddito previste per l’ammissione dall’art. 76;

3) violazione dell’impegno a comunicare eventuali variazioni rilevanti di tali condizioni, se verificatesi nell’anno precedente.

E’ pertanto di tutta evidenza, per quanto riportato sub 2) e 3), che non qualsiasi infedele attestazione rileva, ma solo quella che abbia quale conseguenza l’inganno potenziale (art. 95 prima parte) o effettivo (art. 95 seconda parte) del destinatario della dichiarazione, quella dichiarazione cioè con la quale l’interessato affermi, contrariamente al vero, di avere un reddito inferiore a quello fissato dal legislatore quale soglia di ammissibilità (art. 76), ovvero quella dichiarazione che neghi o nasconda mutamenti significativi intervenuti nel reddito dell’anno precedente a quello della richiesta.

Il citato art. 76, comma 1, nel disciplinare le condizioni per l’ammissione, oltre a prevedere un tetto per il reddito imponibile (ora, non superiore ad Euro 10.628,16; salvo gli adeguamenti previsti dal successivo art. 77), per l’accertamento del requisito reddituale, fa riferimento all’ultima dichiarazione dei redditi presentata.

Ed infatti solo a chiusura dell’anno fiscale l’ammontare del reddito diventa giuridicamente certo.

Evidente è la ratio della disposizione: la scelta di utilizzare il criterio di riferimento alla dichiarazione dei redditi è ricollegato alla necessità di utilizzare un criterio oggettivo e predeterminato, sia pure di provenienza di parte, al fine di evitare complessi accertamenti che appesantirebbero ingiustificatamente il processo penale.

Ciò non esclude, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v. Sez. 4, 11 novembre 2010, n. 2620, Scalinci) la rilevanza delle variazioni di reddito successivamente intervenute a sfavore dell’istante, anche perchè una diversa interpretazione inciderebbe negativamente sulla effettività della difesa dell’imputato.

Sotto diverso profilo va invece rilevato che le variazioni in aumento dei limiti di reddito devono essere comunicate dal richiedente che ne assume l’impegno con l’istanza presentata (ex art. 79, comma 1, lett. d) e che la mancata comunicazione dei limiti di reddito costituisce motivo per la revoca dell’ammissione (art. 112, comma 1, lett. a).

Dalle norme sopra delineate emerge, pertanto, che: l’obbligo di documentare o dichiarare il reddito risultante dall’ultima dichiarazione, introduce un dato di certezza e di parità nel flusso degli adempimenti che gravano sul contribuente così da impedire una scelta arbitraria del reddito da utilizzare al fine di domandare il patrocinio a spese dello Stato; per la conservazione del beneficio hanno rilievo le variazioni dei limiti di reddito, anche se intervenute dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi.

La procedura per l’ammissione al beneficio è, pertanto, disegnata dal legislatore in modo tale da non lasciare spazio ad alcuna verifica o controllo preventivi da parte del giudice competente ad accordare il beneficio, che non può entrare nel merito dell’autocertificazione ma deve solo valutare la ricorrenza delle condizioni di ammissione al beneficio.

Indagini e controlli possono essere esperiti successivamente al fine di verificare eventuali dati di fatto rivelatori dello stato di abbienza dell’istante.

Ed è proprio questo che il giudicante nel caso in esame non ha tenuto presente laddove ha escluso la sussistenza del fatto alla luce della dichiarazione dell’istante, che, senza alcuna menzione dell’ultima dichiarazione dei redditi, attestava in data 30 settembre 2009 di non percepire alcun reddito omettendo di rappresentare l’ultima dichiarazione dei redditi intervenuta nell’anno di riferimento (2008), così evitando di fornire al magistrato tutti gli elementi per poter decidere in ordine all’istanza presentata.

Come esattamente rilevato dal ricorrente, l’imputato ha deliberatamente stabilito da sè quale situazione rappresentare al giudice, selezionando gli elementi ritenuti rilevanti ai fini della concessione del beneficio.

La decisione impugnata, sotto questo profilo, non coglie il proprium del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95 che, attesa la natura di reato di pericolo, è ravvisabile ogni qual volta non rispondano al vero o siano omessi in tutto o in parte i dati di fatto riportati nella dichiarazione sostitutiva o in altra dichiarazione contestuale o consecutiva, secondo i parametri dettati dalla legge, che implichino un provvedimento del magistrato, ai fini dell’ammissione al beneficio, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio.

Si impone, pertanto, l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al giudice competente che si atterrà ai principi sopra indicati.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Patti.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2012

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