Cassazione, Sez. III, 6 maggio 2010, n. 10961 Opposizione di terzo all’esecuzione esattoriale, necessaria prova con sentenza definitiva

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

In data 12 maggio 2000, la XXX spa, Concessionario per la riscossione del Tributi nella Provincia di Lecce, per il tramite dell’ufficiale di riscossione, eseguiva in danno di ZZZ, residente in Muro Leccese (LE) alla via Commendatore Luigi Maggiulli, 36, un pignoramento mobiliare sui beni ivi ubicati.

Contro tale procedura proponeva opposizione di terzo, innanzi al Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, G. ZZZ, sostenendo che i beni pignorati erano in realtà di sua proprietà ed esibiva, a conferma di ciò, una fattura di acquisto dei mobili, precisando di averli concessi in comodato alla propria sorella, M. ZZZ (moglie di ZZZ). L’opponente aggiungeva che con sentenza, passata in giudicato, n. 2 del 1996, della Pretura di Lecce – Sezione distaccata di Maglie, era già stata riconosciuta la sua titolarità sugli stessi mobili, nuovamente sottoposti a pignoramento da XXX.

L’opponente chiedeva, pertanto, la declaratoria di nullità della nuova procedura.

Si costituiva in giudizio la XXX, chiedendo il rigetto della opposizione, rilevando che la documentazione prodotta non era opponibile al concessionario, ai sensi di quanto disposto dagli articoli 58, 63 e 65 del D.P.R. n. 602 del 1973 (nel testo applicabile “ratione temporis”).

Con ordinanza 2 novembre 2001, il Tribunale, ritenendo che la competenza per valore fosse del giudice di pace, rimetteva le parti dinanzi a quel giudice.

Il giudizio veniva riassunto a cura di G. ZZZ. Costituendosi in giudizio davanti al giudice di pace, la XXX ribadiva le eccezioni già sollevate dinanzi al Tribunale. La società opposta sosteneva – in via preliminare – la incompetenza funzionale del giudice di pace, essendo la materia tributaria devoluta alla competenza esclusiva del Tribunale, ai sensi dell’art. 9 c.p.c.

Con sentenza n. 321 del 2003, il giudice di pace di Maglie accoglieva la opposizione. Osservava il giudicante che l’opponente aveva fornito la prova della proprietà dei mobili, concessi in comodato alla sorella (moglie di ZZZ), avendo prodotto una sentenza – passata in giudicato – che confermava la sua proprietà dei mobili in data anteriore all’accertamento della sanzione amministrativa.

Proponeva appello la XXX, riproponendo le argomentazioni difensive già sollevate in primo grado.

Costituendosi in giudizio G. ZZZ chiedeva il rigetto dell’appello e la conferma della decisione del giudice di pace.

Con sentenza 20-21 ottobre 2005 il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, rigettava il gravame.

Avverso tale decisione la XXX ha proposto ricorso per cassazione, sorretto da due motivi.

Resiste il ZZZ con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c.p.c.).

L’art. 65 del D.P.R. 602 del 1973, nel testo vigente fino al 1999, stabilisce espressamente che l’ufficiale giudiziario deve astenersi dal pignoramento quando sia dimostrato che i beni appartengono a persona diversa dal debitore – o dai soggetti indicati all’art. 52, lettera b) – in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo.

Tale dimostrazione – continua l’art. 65 – può essere offerta soltanto mediante la esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate, che rechino una data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo, ovvero di sentenze passate in giudicato, pronunciate su domande proposte anteriormente allo stesso anno.

Considerato, poi, che l’opponente era cognato del debitore ZZZ, la disposizione di cui all’art. 65 doveva essere applicata congiuntamente a quella di cui al precedente art. 58, comma 3, dello stesso D.P.R. e dunque l’opponente poteva dimostrare la proprietà del bene mobile solo attraverso un atto pubblico o una scrittura privata di data certa, anteriore “al momento in cui si è verificata la violazione che ha dato origine alla iscrizione a ruolo” ovvero “al momento in cui si è verificato il presupposto della iscrizione a ruolo”.

Nel caso di specie, il ZZZ G. aveva affermato di essere proprietario dei beni pignorati attraverso una fattura, un contratto di comodato con firme non autenticate e la sentenza n. 2 del 1996 del Pretore di Maglie.

Nessuno di questi documenti rientrava, tuttavia, nelle categorie di cui al DPR n. 602 del 1973.

Infatti:

a) la fattura non è ricompresa dalla normativa di cui al D.P.R. 602;

b) il contratto di comodato, nel caso di specie, non era opponibile al Concessionario, essendo rappresentato da scrittura privata con firme non autenticate.

c) neppure la sentenza poteva costituire titolo valido a dimostrare la proprietà dei beni. Non essendo la sentenza del Pretore passata in giudicato in data anteriore all’anno cui si riferiva l’entrata iscritta a ruolo, la stessa non poteva essere utilizzata per dimostrare la appartenenza dei beni pignorati.

2. Le censure formulate con il primo mezzo di impugnazione non sono fondate.

L’opposizione, proposta da G. ZZZ, con atto del 2000, è retta dalle disposizioni contenute nell’art. 65 d.p.r. 29 settembre 1973 n. 602, nel testo modificato dall’art. 5 del d.l. 31 dicembre 1996 n. 669, convertito in legge 23 febbraio 1997, n. 30, applicabile in ragione della data della decisione, trattandosi di norma processuale.

Il secondo comma della norma dispone, per la parte che interessa in questo giudizio, che “l’ufficiale esattoriale deve astenersi dal pignoramento o desistere dal procedimento, quando sia dimostrato che i beni appartengono a persone diverse dal debitore in virtù di titolo avente data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo. Tale dimostrazione può essere offerta soltanto mediante esibizione di atti pubblici o scritture private autenticate di data certa, anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero di sentenze passate in giudicato, pronunciate su domande proposte anteriormente allo stesso anno”.

Ciò vuole dire che nell’opposizione di terzo avverso l’esecuzione mobiliare dell’esattore delle imposte è richiesto:

– che i beni sui quali è stato eseguito il pignoramento appartengano al terzo;

– che la prova della appartenenza del bene al terzo può essere data solo da atto pubblico (o sentenza passata in giudicato) o scrittura privata autenticata di data certa anteriore a quella di consegna del ruolo (Cass. 24 aprile 1998 n. 4231; 10 maggio 1996, n. 4417).

3. Il Tribunale, per giungere alle conclusioni qui criticate, ha posto in evidenza le seguenti circostanze di fatto – già accertate dal giudice di pace – che non sono in contestazione tra le parti:

– i beni erano stati acquistati nell’anno 1991 da Giuseppe ZZZ, come risultava da fatture in atti 9 ottobre 1991;

– gli stessi beni erano stati ceduti in comodato alla sorella Marina ZZZ, moglie del debitore esecutato, ZZZ con scrittura privata del 28 novembre 1991, registrata il 13 dicembre 1991, recante le firme non autenticate dei contraenti.

Da questa premessa il giudice di appello ha ricavato che risultavano pienamente soddisfatti i requisiti dell’art. 65 citato – essendo stata data la prova dell’appartenenza dei beni pignorati non attraverso la scrittura privata registrata (contratto di comodato) avente data certa anteriore a quella di consegna del ruolo (la scrittura non recava la firma autenticata dei contraenti) – ma perché la proprietà dei beni mobili, in capo all’attuale opponente, risultava chiaramente da una sentenza, passata in giudicato, del dicembre 1995-gennaio 1996, relativa ad una domanda giudiziaria proposta tre anni prima (1993) dell’anno cui si riferiva la iscrizione a ruolo (sanzione amministrativa del 1996, pag. 6 del ricorso per cassazione).

4. La decisione impugnata è in tutto conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: “Nell’opposizione di terzo avverso l’esecuzione mobiliare dell’esattore delle imposte, la prova dell’appartenenza del bene è soggetta alle limitazioni di cui all’art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (nel testo modificato dall’art. 5 del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, conv. in legge 23 febbraio 1997, n. 30), il quale esige l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata di data anteriore all’anno cui si riferisce il tributo iscritto a ruolo ovvero la sentenza passata in giudicato, pronunciata su domande proposte anteriormente allo stesso anno” (Cass. 6 marzo 2001 n. 3256).

Nel caso di specie, la sentenza passata in giudicato si riferisce ad una domanda risalente all’anno 1993, di tre anni, pertanto, anteriore alla sanzione amministrativa (1996) posta alla base del pignoramento. La sentenza passata in giudicato, pertanto, ben poteva essere utilizzata, in base alle disposizione di legge richiamate, per dimostrare l’appartenenza dei beni pignorati in capo all’opponente.

L’accertamento posto alla base della sentenza passata in giudicato retroagisce al momento della domanda.

Il primo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato.

5. Deve, infine, deve essere dichiarata la inammissibilità del secondo motivo, con il quale si deducono vizi di motivazione, sotto il profilo dell’art. 360 n. 5 c.p.c., in realtà sollevando una questione di competenza per materia (oltre che una questione di carenza di giurisdizione) trattandosi di controversia di competenza del Tribunale o della Commissione Tributaria.

Costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo il quale le questioni di competenza e giurisdizione devono essere sollevate con riferimento all’art. 360 nn. 1 e 2 c.p.c.

6. Il vizio di motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. consente solo il sindacato che consiste nel valutare se una motivazione esista e se essa non sia meramente apparente o insanabilmente contraddittoria sulla base di quanto risulta dallo stesso provvedimento impugnato.

La deduzione, come motivo di ricorso per cassazione, di una questione riguardante la giurisdizione non può farsi se non sotto il profilo delle norme che regolano tale presupposto del processo e non anche in relazione a vizi di motivazione sui punti di fatto dai quali esso dipende giacché in materia di giurisdizione la Corte di cassazione è giudice del fatto e, come tale, può conoscere ed interpretare direttamente tutti gli atti del processo utili ad accertare l’esistenza del vizio denunciato. (Cass. S.U. n. 261 del 10 gennaio 2003).

La dichiarata inammissibilità della censura non consente di esaminare il problema della eventuale applicabilità del primo comma dell’art. 374 c.p.c. (nel testo novellato dal decreto legislativo n. 40 del 206) anche alle pronunce pubblicate anteriormente al 2 marzo 2006, per quanto riguarda la decisione delle questioni di giurisdizione decise già dalle sezioni unite dalle sezioni semplici.

Sulla questione di giurisdizione sollevata, cfr. comunque Cass. S.U. n. 6187 del 1992.

Per le ragioni già indicate in precedenza, con riferimento alla eccezione di carenza di giurisdizione, deve dichiararsi la inammissibilità del secondo mezzo di impugnazione, relativamente alle questioni di competenza che devono essere denunciate in cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 2 c.p.c.

7. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 800,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *