Cass. pen. Sez. feriale, Sent., (ud. 04-09-2012) 12-09-2012, n. 35012 Custodia cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con ordinanza, deliberata il 21 giugno 2012 e depositata in pari data, il Tribunale ordinario di Reggio di Calabria, in funzione di giudice distrettuale nei procedimenti incidentali di appello delle ordinanze in materia di misure cautelari personali, ha confermato l’ordinanza della Corte di appello, 8 maggio 2012, di rigetto della richiesta di scarcerazione – per estinzione della custodia cautelare in carcere in ordine al delitto associativo (in dipendenza della anticipata espiazione della pena relativa) e per scadenza del termine di fase del giudizio di secondo grado, quanto al residuo delitto di riciclaggio – avanzata da A.C., imputato ricorrente per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio di Calabria, 20 aprile 2011, di condanna alla pena della reclusione in complessivi anni quattro per i succitati reati ritenuti in continuazione.

Il Collegio ha motivato: il precedente di legittimità invocato dall’appellante, ai fini della scomposizione della pena inflitta per il reato continuato e della autonoma considerazione, in relazione a ciascun delitto, della pena detentiva pertinente, in relazione alla estinzione della misura, à sensi dell’art. 300 cod. proc. pen., comma 4, e/o alla determinazione del termine di fase, non si attaglia al caso in esame; l’arresto citato concerne, infatti, la ipotesi – affatto differente – della instaurazione della misura cautelare soltanto in relazione ad alcuni dei reati uniti in continuazione;

sicchè, in tal caso, dalla pena complessiva deve evidentemente essere scorporata la sanzione irrogata per i reati non costituenti titolo di coercizione; mentre, nella specie, l’appellante è ristretto per entrambi i delitti ritenuti in continuazione pei quali ha riportato condanna; e, in termini, soccorre il principio di diritto, fissato dalla Corte suprema di cassazione a Sezioni Unite, secondo il quale deve aversi "riguardo alla pena complessivamente inflitta .. unitariamente quantificata a seguito della applicazione del cumulo materiale o giuridico per effetto del riconoscimento della continuazione" (sentenza 31 maggio 2007, n. 23381).

2. – Ricorre l’imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Antonio Managò, mediante atto recante la data del 10 luglio 2012, col quale dichiara promiscuamente di denunziare, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) ed e), inosservanza di norme processuali, stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, in relazione agli art. 303, comma 1, lett. c), n. 1, e art. 300 cod. proc. pen., comma 4, nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

Il difensore ripropone la tesi disattesa dal Tribunale ordinario invocando gli arresti delle Sezioni Unite 26 febbraio 1997, n. 1, Mammoliti e 26 marzo 2009, n. 25956, Vitale, e deduce: la pena (base) pertinente al delitto associativo, non espressamente indicata dalla Corte territoriale, la quale ha ridotto la pena complessiva (da anni sei) ad anni quattro di reclusione, deve ritenersi – alla luce del criterio seguito dal giudice di primo grado – contenuta nella misura di tre anni, due mesi e dodici giorni; relativamente a tale pena, la custodia cautelare in carcere, subita ininterrottamente dal 24 febbraio 2009, è estinta "alla data del 3 maggio 2012", ai sensi dell’art. 300 cod. proc. pen., comma 4; in relazione al residuo delitto in continuazione, era già scaduto nelle more del giudizio di secondo grado, il relativo termine di fase (di mesi nove), essendo la pena pertinente irrogata (otto mesi e ventotto giorni) non superiore ai tre anni di reclusione; la massima di legittimità citata dal Tribunale concerne i termini di fase stabiliti dall’art. 303 cod. proc. pen., comma 1, lett. c) e d), e non rileva "ai fini del calcolo della durata massima o per l’accertamento della avvenuta espiazione della pena"; peraltro il ricorrente ha interesse alla declaratoria della estinzione della misura cautelare in ordine al delitto associativo, trattandosi di titolo di reato che osta alla applicazione degli arresti domiciliari.

3. – Il ricorso è infondato.

3.1 – La Corte premette che non sono denunciabili con il ricorso per cassazione "i vizi della motivazione nelle questioni di diritto affrontate dal giudice di merito in relazione alla argomentazioni giuridiche delle parti" (Cass., Sez. 5^, 22 febbraio 1994, n. 4173, massima n. 197993), in quanto o le medesime "sono fondate, e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) da luogo al diverso motivo di cen-sura costituito dalla violazione di legge; ovvero sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619 c.p.p., comma 1, che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta" (Cass., Sez. 1^, 17 dicembre 1991, n. 4931, massima n. 188913).

3.2 – Entrambi gli arresti delle Sezioni Unite, invocati dal ricorrente, non hanno attinenza col caso in esame, concernendo la diversa ipotesi della custodia cautelare in carcere applicata non per tutti (come nella specie), bensì per alcuni soltanto dei reati ritenuti in continuazione.

E affatto privo di pregio è il richiamo alla precedente pronuncia della Sezione Prima Penale (4 giugno 1999, De Nuzzo), che concorse a innescare il contrasto di giurisprudenza ormai risolto dalle Sezioni Unite colla sentenza del 31 maggio 2007, n. 23381, Keci, nel senso che ai fini della individuazione del termine di fase allorchè vi sia stata sentenza di condanna, in primo o in secondo grado, occorre aver riguardo alla pena complessivamente inflitta per tutti i reati per i quali è in corso la misura della custodia cautelare, e, quindi, alla pena unitariamente quantificata a seguito dell’applicazione del cumulo materiale o giuridico per effetto del riconoscimento del vincolo della continuazione.

3.3 – Pur se il succitato arresto concerne – come esattamente rileva il ricorrente – esclusivamente il termine di fase successivo alla sentenza di primo o di secondo grado, nel motivare la decisione le Sezioni Unite hanno chiarito che "la formula se vi è stata condanna alla pena di …, impiegata all’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. c), nn. 1, 2 e 3, trova agevole riferimento, in caso di pluralità di reati, nel comma 2 del successivo art. 533, il quale testualmente recita: se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione. Collegamento da cui si ricava che l’espressione condanna alla pena indica la determinazione complessiva e non le singole componenti di questa, la cui commisurazione attiene ad una fase precedente la risoluzione finale. L’uso terminologico del codice di rito si adegua perfettamente, del resto, al trattamento sostanziale previsto dagli artt. 73 ss. c.p., che considera come pena unica la concorrenza di pene detentive irrogate per singoli reati".

Orbene, la medesima conclusione si impone in relazione alla previsione dell’art. 300 cod. proc. pen., comma 4, (della estinzione della misura cautelare per effetto della pronuncia di determinate sentenze), erroneamente invocata dal ricorrente.

Infatti il riferimento alla pena irrogatà colla sentenza di condanna contenuto nella disposizione in parola, per le ragioni indicate dalle Sezioni Unite, alla stregua del collegamento sistematico con l’art. 533 cod. proc. pen., concerne – alla evidenza – la determinazione complessiva e non le singole componentì della sanzione inflitta.

3.4 – Conseguono il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Cancelleria provvederà agli adempimenti di rito ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 4 settembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2012
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