Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 17-07-2012) 12-09-2012, n. 34949 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 2 gennaio 2012 il Tribunale di Napoli, costituito ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava la richiesta di riesame avanzata da E.M.M. e, per l’effetto, confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 9 dicembre 2011 dal giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale in ordine ai delitti previsti dagli artt. 416 bis e 110 c.p., art. 629, commi 1 e 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, art. 7.

2. Ad avviso del Tribunale gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’indagato erano costituiti dalle denunce presentate e dalle dichiarazioni rese dalla parte offesa N.F., imprenditore edile vittima delle richieste estorsive avanzata dai membri del clan Mazzarella Formicola, caratterizzate da intrinseca credibilità, reiterate in maniera coerente e univoca nel corso del tempo. Tali dichiarazioni trovavano elementi obiettivi di conforto nelle intercettazioni ambientali, nel contenuto delle audio e video registrazioni effettuate dalla parte offesa in occasione degli incontri avuti con il ricorrente e con i suoi complici, nell’esito dei servizi di osservazione e pedinamento svolti dalla polizia giudiziaria in costanza dei contatti di N. con gli emissari del sodalizio di stampo camorristico, tra cui E.M. M., nelle sentenze acquisite ai sensi degli artt. 238 e 238-bis c.p.p. in ordine all’operatività del clan Mazzarella, alla strategia dal medesimo perseguita, alle sue dinamiche con altre associazioni.

Dal complesso di questi elementi emergeva che l’indagato era organicamente inserito nell’associazione di stampo camorristico denominata clan Mazzarella, cui forniva un consapevole e volontario contributo causalmente rilevante occupandosi delle azioni armate e del settore delle estorsioni, comprese quella in danno dell’imprenditore N..

3. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, E.M.M., il quale lamenta erronea applicazione della legge penale, mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai due delitti contestati all’indagato, attesa l’omessa indicazione di specifici elementi da cui inferire la sua volontaria e consapevole partecipazione all’associazione e alla consumazione dell’estorsione in danno di N., nonchè l’improprio richiamo di dati investigativi non pertinenti alla figura del ricorrente e ai reati a lui contestati.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato.

Il Tribunale ha attentamente analizzato, con motivazione esauriente ed immune da vizi logici e giuridici, le risultanze probatorie disponibili e ha desunto la gravità degli indizi di colpevolezza in ordine ai delitti previsti dagli artt. 416-bis e 629 c.p., L. n. 203 del 1991, art. 7 dalle dichiarazioni della parte offesa, dalle intercettazioni ambientali, dai servizi di audio e video-ripresa svolti dalla polizia giudiziaria in occasione degli incontri avuti da N. con il ricorrente e con i suoi complici, dalle risultanze delle attività di controllo e di pedinamento effettuate, nonchè dalle sentenze acquisite, comprovanti l’esistenza e l’operatività del clan Mazzarella nel più ampio contesto delle dinamiche di criminalità organizzata presenti in territorio di Napoli.

I giudici, con motivazione compiuta e logica, hanno evidenziato l’operatività di un articolato sodalizio di stampo camorristico, dedito, tra l’altro, alla commissione di delitti contro la persona e il patrimonio, grazie anche alla ampia disponibilità di armi, caratterizzato da un forte radicamento sul territorio campano, da un’organizzazione gerarchica, all’interno della quale il ricorrente forniva un pieno e consapevole contributo causale, occupandosi, tra l’altro, insieme con altri complici, del settore delle estorsioni, che venivano realizzate avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della conseguente condizione di assoggettamento e di omertà in vista del controllo capillare del territorio, delle attività economiche su di esso presenti e della realizzazioni di ingenti profitti illeciti, funzionali a garantire l’operatività del sodalizio e il sostentamento dei suoi membri.

Il provvedimento impugnato ha altresì sottolineato, con puntuali riferimenti alle emergenze processuali sin qui acquisite, il consapevole contributo morale e materiale fornito dal ricorrente alla vita associativa anche con la commissione dei singoli reati fine (tra cui rientra l’azione estorsi va in danno dell’imprenditore N.) in vista del pieno radicamento territoriale dell’organizzazione, della sua espansione economica, della gestione dei relativi profitti.

Orbene, lo sviluppo argomentativo della motivazione è fondato su una coerente analisi critica degli elementi indizianti – apprezzati anche alla luce dei rilievi formulati dalla difesa – e sulla loro coordinazione in un organico quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito della gravità, nel senso che questi sono stati reputati conducenti, con un elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità di E.M.M. in ordine ai delitti di cui agli artt. 416-bis, 110 e 81 cpv., art. 629, commi 1 e 2 in relazione all’art. 628 c.p., comma 3, nn. 1 e 3, L. n. 203 del 1991, art. 7 a lui contestati.

Di talchè, considerato che la valutazione compiuta dal Tribunale verte sul grado di inferenza degli indizi e, quindi, sull’attitudine più o meno dimostrativa degli stessi in termini di qualificata probabilità di colpevolezza anche se non di certezza, deve porsi in risalto che la motivazione dell’ordinanza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato non può non arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza, prescritti dall’art. 273 c.p.p. per l’emissione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, senza poter attingere l’intrinseca consistenza delle valutazioni riservate al giudice di merito. Nè, d’altra parte, possono trovare ingresso in questa sede le ulteriori considerazioni svolte dalla difesa, volte non già a formulare rilievi critici alla tenuta logica dell’apparato argomentativo dell’ordinanza pronunziata dal Tribunale del riesame, bensì a sollecitare una non consentita lettura alternativa dei fatti e delle emergenze processuali.

In conclusione, risultando manifestamente infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000), al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 dosp. Att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2012

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