Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
l Comune di Villagrande Strisaili.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 10 gennaio 2000 il Comune di Villagrande Strisaili chiedeva al Commissario per la liquidazione degli usi civici della Sardegna di accertare che i terreni posti in agro di (OMISSIS), distinti in catasto al foglio 40, mappali 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8 e 9 e al foglio 41, mappale 1, per complessivi ettari 630.31.95, sebbene intestati, presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Nuoro, per un mezzo alla società Punta Sa Canna s.r.l., Santoru ‘e Susu s.r.l. e Porto Santoru s.r.l., con sede in (OMISSIS), e per un mezzo a M. P.B., (deceduto, per cui ai suoi eredi S.), erano soggetti agli usi civici in favore degli abitanti del Comune ricorrente, e per l’effetto dichiarare la nullità degli atti di disposizione dei fondi medesimi, condannando i privati occupatori abusivi a rilasciarli in favore del ricorrente quale ente esponenziale dei diritti di uso civico dei cittadini.
Instaurato il contraddicono, nella resistenza dei convenuti, in particolare della PORTO SANTORU TRE s.r.l., la quale eccepiva che i terreni in contestazione erano pervenuti alla convenuta a titolo di successione legittima dal suo dante causa P.E., che li aveva affrancati, nel contraddittorio proprio con il Comune di Villagrande Strisaili, come da sentenza n. 11/1946 del Tribunale di Lanusei, divenuta definitiva con sentenza della Cassazione, Sezioni Unite, n. 2157/1950 del 29.7.1950, circostanza confermata anche nella decisione pronunciata a conclusione di altro giudizio promosso dal medesimo Comune dinanzi al Tribunale di Lanusei per ottenere la devoluzione del fondo de quo, il Commissario per gli Usi civici adito, in accoglimento delle eccezioni, dichiarava improponibili le domande del Comune di Villagrande Strisaili per essere la questione coperta da giudicato.
In virtù di rituale reclamo proposto dal Comune di Villagrande Strisaili, con il quale lamentava che il Commissario non avesse tenuto conto che le statuizioni relative all’esistenza o meno degli usi civici erano state svolte dalla Cassazione, di cui alla decisione sopra invocata, in via meramente incidentale, al solo fine di accertare la giurisdizione dell’autorità giudiziaria e pertanto l’accertamento sulla demanialità del fondo Santoru non aveva efficacia di giudicato, ciò anche perchè erano diverse le parti sostanziali dei due procedimenti, agendo il reclamante nella qualità di ente esponenziale dei propri cittadini, reali titolati dell’uso civico sul fondo Santoru, convenuto il Comune in proprio dal P. relativamente ai giudizio conclusosi con la sentenza della Cassazione n. 2157/1950, la Corte di appello di Roma – Sezione Specializzata in materia di usi civici, nella resistenza delle reclamate PORTO SANTORU TRE s.r.l., PORTO SANTORU DUE s.r.l. (già Punta Sa Canna), PORTO SANTORU UNO s.r.l. (già Porto Santoru s.r.l.), di D. P., del Comune di Lanusei e di R., E. e S.A., nella qualità di eredi P.M. B., proposto da questi ultimi reclamo incidentale con il quale denunciavano la omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale svolta "di accertamento e dichiarazione della inesistenza e/o della nullità" del decreto n. 360 del 6.12.1945 con il quale il Commissario aveva affermato il carattere ademprivile del fondo in questione, ha accolto il reclamo principale e, per l’effetto, in riforma della sentenza n. 2/2008 del Commissario Regionale per la liquidazione degli usi civici in Sardegna, ha dichiarato l’inesistenza del giudicato sulla natura allodiale o ademprivile delle terre controverse e l’inopponibilità al Comune di Villagrande Strisaili, quale ente esponenziale dei diritti demaniali civici dei suoi cittadini, della sentenza del Tribunale di Lanusei, confermata dalla Corte di appello di Cagliari e dalla Corte di Cassazione, statuizioni che avevano pronunciato sulla domanda di affrancazione proposta da P.E..
A sostegno dell’adottata sentenza la corte capitolina evidenziava – relativamente al merito – che la cognizione incidenter tantum non aveva efficacia di giudicato, in quanto l’eccezione di demanialità civica sollevata dal Comune di Villagrande Strisaili nel processo introdotto per l’affrancazione del fondo sarebbe rientrata nella giurisdizione commissariale, per cui la cognizione del giudice civile sull’eccezione ricadente nella giurisdizione di altro giudice non poteva che avvenire in via incidentale.
Aggiungeva che nel predetto giudizio il Comune era stato evocato quale proprietario-concedente di un’enfiteusi di diritto comune e quindi quale ente della pubblica amministrazione locale che aveva agito iure privatorum e non quale ente esponenziale dei diritti civici della collettività comunale. Del resto il fenomeno della duplice veste dei Comuni nei rapporti e nel processo di demanialità civica non era ignoto alla legislazione in materia, prevedendosi anche la possibilità di "opposizione di interessi tra il Comune e i comunisti" (art. 75 cpv del Regolamento di cui al R.D. n. 332 del 1928).
Concludeva rimettendo la causa al Commissario per l’ulteriore corso, ai sensi della L. n. 1766 del 1927, art. 32, comma 4, anche quanto al reclamo incidentale (con il quale si lamentava la omessa pronuncia sulla domanda riconvenzionale spiegata "di accertamento e dichiarazione della inesistenza e/o della nullità" del decreto n. 360 del 6.12.1945 con il quale il Commissario aveva affermato il carattere ademprivile del fondo in questione), necessitando di ulteriore istruttoria.
Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Roma – Sezione Specializzata in materia di usi civici ha proposto ricorso per cassazione la PORTO SANTORU UNO s.r.L, incorporante la PORTO SANTORU DUE e la PORTO SANTORU TRE, articolato su nove motivi, al quale hanno resistito con controricorso gli S., il Comune di Villagrande Strisaili, il D. ed il Comune di Lanusei, proposto da ciascun intimato anche ricorso incidentale, affidato a due motivi, quello degli S., a sei motivi, quello dell’Amministrazione di Villagrande Strisaili, a tre motivi, quello del D., e ad altri tre motivi, quello del Comune di Lanusei. Il Comune di Villagrande Strisaili ha replicato anche con ulteriore ricorso incidentale articolato su sei motivi, al pari della società ricorrente PORTO SANTORU UNO che ha prospettato nove motivi e degli S. che hanno dedotto due motivi.
Hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c., sia parte ricorrente sia i Comuni di Villagrande Strisaili e di Lanusei, nonchè gli S..
Motivi della decisione
Il ricorso principale ed i ricorsi incidentali vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c., in quanto attengono al medesimo provvedimento.
Va, altresì, in via pregiudiziale esaminata la questione della tempestività del ricorso principale, sollevata dall’ufficio di procura.
Come noto, per la L. 10 luglio 1930, n. 1078, ex art. 2, comma 1, concernente la definizione delle controversie in materia di usi civici, "la notificazione delle decisioni dei commissari regionali nei procedimenti contenziosi, di cui alla L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 29, comma 2, è fatta d’ufficio dalla segreteria mediante invio del dispositivo a ciascuna delle parti per mezzo del servizio postale"; lo stesso sistema di notifica è previsto per le sentenze pronunziate in sede di reclamo dalla Corte d’Appello ex art. 7, comma 1, della medesima legge, il quale dispone che "la notificazione della sentenza della Corte di Appello è fatta dalla cancelleria, d’ufficio, mediante invio del dispositivo a ciascuna delle parti col mezzo del servizio postale"; infine, il successivo art. 8, comma 1, stabilisce che "il ricorso per cassazione deve essere proposto entro 45 giorni dalla notifica della sentenza".
Come ripetutamente evidenziato da questa Corte (in tal senso, da ultimo: Cass. SS.UU. 5 ottobre 2009 n. 21193), il termine di quarantacinque giorni per l’impugnazione delle sentenze emesse dal commissario o dalla sezione speciale della corte d’appello decorre dalla notificazione della pronunzia eseguita dalla segreteria ai sensi, rispettivamente, della L. 10 luglio 1930, n. 1078, artt. 2 e 7.
Orbene, nella specie dal fascicolo di ufficio risulta che la sentenza è stata notificata (rectius: comunicata) dalla cancelleria della Corte di appello di Roma (con ricezione da parte dei destinatari, a partire dal) in data 12.2.2010 e la PORTO SANTORU UNO s.r.l. ha provveduto all’invio del ricorso ex art. 149 c.p.c. il giorno 25.3.2010, per cui va ritenuta la tempestività dello stesso.
Ciò precisato, con il primo motivo del ricorso principale la società PORTO SANTORU lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c. per non avere la corte di merito limitato la sua pronuncia alle conclusioni rassegnate dal Comune resistente col proprio reclamo, per sentire dichiarare i terreni posti in agro del Comune di Lanusei soggetti agli usi civici in favore degli abitanti del Comune di Villagrande Strisaili, bensì stabilendo che le sentenze del giudice ordinario, in particolare la n. 2157/1950 della Suprema Corte, non avrebbero efficacia di cosa giudicata nei confronti del Comune reclamante quale ente esponenziale dei diritti civici della collettività comunale, con ciò affrontando una questione non prospettata dal reclamante.
La censura non merita accoglimento.
Questa Corte, anche con decisioni a Sezioni Unite, ha ripetutamente evidenziato come l’accertamento della soggezione di un terreno ad "uso civico", quindi della qualitas soli fatta valere da una delle parti, rientri nella giurisdizione del Commissario regionale degli usi civici L. 16 giugno 1927, n. 1766, ex art. 29 solo quando la relativa questione sia sollevata dal preteso titolare o dal preteso utente del diritto civico nei confronti dell’ente titolare del demanio civico e debba, quindi, essere risolta con efficacia di giudicato; per contro, nelle controversie tra privati, laddove la demanialità civica di un bene sia eccepita al solo scopo di negare l’esistenza del diritto soggettivo de quale la controparte sostenga di essere titolare, tale eccezione, risolvendosi nella contestazione di un fatto costitutivo del diritto azionato dalla controparte, deve essere esaminata dal giudice ordinario con statuizione sul punto efficace solo incidenter tantum senza che, in ragione di tale eccezione, s’innesti nel processo una contestazione sull’esistenza dell’uso civico (v. Cass. SS.UU. 18 gennaio 20,05 n. 836).
Pertanto, poichè la controversia risolta con la decisione di questa corte a sezioni unite n. 2157/1950 concerneva il rapporto enfiteutico privato tra le parti e l’esistenza dell’uso civico è stata affermata dal Comune di Villagrande, odierno resistente, solo per contestare la domanda di affrancazione di P.E., dante causa di P. B.M., non era necessario accertare con efficacia di giudicato se l’uso civico sussistesse o meno. Ne consegue la proponibilità dell’odierna domanda, in quanto il rilievo dell’esistenza di un giudicato non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, potendo essere effettuata in ogni stato e fase dei giudizio di merito, ed anzi è rilevabile di ufficio non essendo incluso nel fatto, ma assimilato, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, agli elementi normativi (per essere destinato a fissare la "regola" del caso concreto), per cui partecipa della natura dei comandi giuridici e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto, ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche (Cass. SS.UU. nn 23242 del 2005 e 5105 del 2003), corrispondendo non solo ad un interesse delle parti, ma anche ad un interesse pubblico (cfr Cass. SS.UU. 16 giugno 2006 n. 13916).
Con il secondo motivo viene lamentata la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 156 c.p.c., comma 2, per essere il dispositivo della corte distrettuale intrinsecamente contraddittorio, contenendo due statuizioni tra loro incompatibili: da un lato si afferma che nel giudizio civile di affrancazione il Comune sarebbe stato evocato quale proprietario concedente di un’enfiteusi di diritto comune e, quindi, quale ente della pubblica amministrazione che aveva agito iure privatorum, per altra via viene negata la natura allodiale degli stessi terreni, con conseguente nullità della pronuncia, in quanto carente di uno dei requisiti formali indispensabili previsti per il raggiungimento del suo scopo dall’art. 156 c.p.c., comma 2.
La sentenza impugnata non merita la censura che le viene mossa dalla ricorrente.
Infatti – come è stato ricordate in narrativa – la Corte di merito ha ritenuto che la precedente sentenza di questa Corte (n. 2157 in data 29 luglio 1950), pronunciata tra il Comune di Villagrande e P.E. (e passata in giudicato), pur avendo accertato la sussistenza del diritto di affrancazione dell’enfiteuta P., non ha verificato la qualitas soli. Del resto la cognizione speciale riservata ai Commissari per la liquidazione degli usi civici riguardi numero chiuso di azioni tipiche, relative a questioni controverse da risolvere con efficacia di giudicato, sicchè è indispensabile la presenza di un effettivo contrasto tra le parti in ordine alla qualitas soli e non si estende alle cause in cui la demanialità collettiva sia solo indirettamente implicata, come appunto nel caso del giudizio conclusosi con la decisione di questa corte n. 2157/1950, in cui l’uso civico rappresentava solo un presupposto dell’eccezione volta a paralizzare la pretesa attorea, dovendosi decidere se esso costituiva, come era stato dedotto, ragione di non esercitabilità del diritto di affrancazione da parte dell’enfiteuta e conseguentemente di rilascio dei terreni nella disponibilità degli utenti (v. in tal senso Cnss. SS.UU. 3 dicembre 2008 n. 28654; Cass. SS.UU. 27 marzo 2009 n. 7429).
Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 2909 c.c. in quanto pur affermando che la sentenza di questa corte n. 2157/1950 ha accertato con carattere di definitività il trasferimento della proprietà dei terreni de quibus in favore del suo dante Causa della società ricorrente, nel disconoscere la natura allodiale dei fondi medesimi ha violato il giudicato contenuto nella predetta decisione.
Anche detto motivo è da disattendere.
Questa corte ha più volte ribadito che la giurisdizione commissariale ha ad oggetto tutte le controversie relative all’accertamento, alla valutazione e alla liquidazione dei diritti di uso civico, allo scioglimento delle promiscuità e alla rivendicazione e ripartizione delle terre, e quindi, in sostanza, ogni controversia circa l’esistenza, la natura e l’estensione dei diritti di uso civico e degli altri diritti di promiscuo godimento delle terre spettanti agli abitanti di un comune o di una frazione, comprese quelle nelle quali sia stata contestata la qualità demaniale del suolo o l’appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni, nonchè tutte le questioni a cui dia luogo lo svolgimento delle operazioni affidate ai commissari stessi (cfr. ex plurimis: Sez. Un. 15 ottobre 1999 n. 720; 30 giugno 1999 n. 375; 20 maggio 2003 n. 7894). Non riguarda, di converso, anche le azioni di rivendicazione proposte dai privati (o, iure privatorum, dalla P.A.) al fine di ottenere il riconoscimento del diritto di proprietà e conseguire il possesso del bene (v. Sez. Un. 10 agosto 1999 n. 7407).
Di questi consolidati principi ha fatto applicazione la decisione impugnata allorchè ha affermato che l’eccezione di demanialità sollevata dal Comune di Villagrande nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 2157/1950 non era diretta al recupero dei suddetti terreni per consentire il pieno e pacifico esercizio del godimento degli usi civici da parte della collettività beneficiarla, ragione per la quale non si è dovuto procedere tra i titolari all’accertamento con efficacia di giudicato delle rispettive posizioni di diritto soggettivo.
Quello di cui in realtà si è discusso, sotto tale profilo, è stato il problema dell’affrancabilità dei terreni e del conseguente diritto dell’enfiteuta al trasferimento della proprietà degli stessi; e non v’è dubbio che tale questione rientrava sicuramente nella giurisdizione dell’A.g.o.. Infatti, tutte le controversie nette quali sia pacifica la natura dei beni controversi e non richiedano accertamenti in ordine alla sussistenza ed estensione del diritto di uso civico appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario.
Con il quarto motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione, nonchè il vizio di motivazione in relazione all’art. 2909 c.c. in quanto la decisione n. 2157/1950 – diversamente rispetto a quanto sostenuto nella sentenza impugnata – ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice ordinario e non quella commissariale, con la conseguenza che il giudice del reclamo non poteva rimettere in discussione una questione di giurisdizione definitivamente decisa dal giudice dell’affrancazione.
La censura è inammissibile, prima che infondata.
Non può essere denunciato in sede di ricorso per cassazione, per difetto d’interesse, l’eventuale errore in cui sia incorso il giudice nei vari gradi di cui alla decisione n. 2157/1950, trattandosi di questione irrilevante giacchè attraverso l’adozione della statuizione ha in concreto assicurato tutela giurisdizionale alle pretese attoree, concretamente decidendo la controversia.
L’argomento è ininfluente anche sotto diverso profilo: l’eventuale errore sugli usi civici radicherebbe la competenza commissariale, in continuità con le funzioni amministrative degli enti regionali.
Con il quinto motivo viene nuovamente denunciata la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 2909 c.c. sotto il diverso profilo del thema decidendum affrontato nel giudizio di affrancazione che avrebbe riguardato non solo il rapporto enfiteutico di carattere privatistico, ma anche la questione di giurisdizione, per averne il Comune reclamante eccepito immediatamente il difetto, per cui su tutte le domande proposte in via d’azione dal P. e in via di eccezione dal Comune si sarebbe formato il giudicato, che verrebbe ad essere vanificato con la sentenza de qua, con palese contrasto col principio secondo il quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile.
L’assunto è infondato giacchè, per quanto sopra esposto, non si è formato alcun giudicato con la sentenza n. 2157/1950 relativamente all’oggetto della presente controversia, dovendo ribadirsi che oggetto del processo fu solo il rapporto enfiteutico.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia il vizio di motivazione con riguardo sempre al thema decidendum del giudizio di affrancazione nel quale è stato dedotto non solo il fatto della sussistenza della piena ed assoluta proprietà dei terreni de quibus in capo al Comune, ma anche il fatto della asserita sussistenza di diritti di uso civico in favore dei cives di Villagrande.
Il motivo riproponendo la medesima questione di cui al punto che precede, sotto il profilo del vizio di motivazione, è da ritenere infondato.
A ben vedere, la corte territoriale ha tenuto conto e ha valutato con particolare cura il valore che le sentenze richiamate dalla società ricorrente (sentenza del Tribunale di Lanusei n. 11 del 1946, successivamente confermata sia dalla Corte di appello di Cagliari con la decisione n. 423 del 1947 sia dalla Corte di Cassazione n. 2157 del 1950), potevano avere rispetto a presente giudizio ed ha escluso, con motivazione adeguata e convincente, che quelle decisioni contenessero elementi utili ad acclarare l’esistenza – con efficacia di giudicato – di diritti ademprivili sui fondi oggetto del giudizio.
In particolare ha escluso una qualche rilevanza di quelle sentenze perchè la vicenda riportata da quella decisione riguardava il diritto di affrancazione dell’enfiteuta dei fondi di proprietà del Comune di Villagrande, mentre oggetto del presente giudizio è la pretesa di accertamento del diritto di ademprivio sui medesimi fondi rustici fatta valere dall’ente locale quale ente esponenziale, dunque da soggetto diverso. Come bene ha evidenziato la Corte territoriale:
"il Comune era stato evocato nel giudizio civile di affrancazione quale proprietario-concedente di un’enfiteusi di diritto comune e, quindi, quale ente della pubblica amministrazione locale che aveva agito iure privatorum (e su ciò sembra potersi ritenere formato il giudicato) e non pure quale ente esponenziale dei diritti civici della collettività comunale".
E di più, la Corte di merito, ha anche evidenziato che la proposizione dell’eccezione di demanialità civica non appariva idonea a far ritenere l’assunzione della qualità di ente di gestione di interessi pubblici all’amministrazione in difetto di una sua esplicita dichiarazione al riguardo, anche alla luce dell’art. 75 cpv del regolamento di cui al R.D. 26 febbraio 1928, n. 332.
Per completezza di argomentazione, la medesima Corte d’appello ha poi dato conto della impossibilità di decidere la controversia definitivamente nel merito, dovendo essere il convincimento del Commissario regionale corroborato da necessaria ulteriore istruttoria.
Con il settimo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 2909 c.c., alla L. n. 1105 del 1863, art. 3 alla L. n. 4557 del 1868, alla L. n. 2252 del 1865, riunite nel T.U. approvato con R.D. n. 844 del 1907, ora abrogato dal D.L. n. 200 del 2008, art. 2, comma 1, in quanto contrariamente a quanto affermato nella decisione impugnata risultava per tabulas che i terreni in contestazione erano pervenuti al Comune di Villagrande privi di qualsiasi vincolo o peso e tale accertamento non avrebbe avuto carattere meramente incidentale, non essendo stato proposto al solo e limitato fine di stabilire l’appartenenza della giurisdizione al giudice ordinario.
Aggiunge la ricorrente che poichè l’art. 65 dell’ordinamento giudiziario attribuisce alla cassazione la funzione di organo regolatore sia della giurisdizione sia della competenza, deve ritenersi che le stesse pronunce abbiano efficacia vincolante nei successivi giudizi fra le parti. Del resto sarebbe stato possibile pervenire all’affrancazione dei terreni, in quanto gli stessi erano risultati liberi da qualsiasi vincolo, compresi quelli derivanti dall’uso civico e proprio la qualitas soli ha portato ad escludere la giurisdizione commissariale.
La doglianza risulta superata dalle considerazioni sopra svolte in quanto trascura la qualità assunta dall’ente proprietario dei terreni de quibus nel giudizio di affrancazione.
Del resto l’esatta individuazione degli estremi del giudicato non rischia di compromettere la salvaguardia della funzione stessa del processo, giacchè la sua interpretazione costituisce comunque conoscenza dei propri precedenti da parte della Corte, che si ricollegano alla stessa funzione istituzionale della cassazione, quella funzione nomofilattica assegnatale dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario. Il giudicato va ricondotto nella sfera delle questioni di diritto ed il suo accertamento va assimilato all’individuazione della norma di diritto applicabile al caso in esame, quale regula iuris che quello stesso provvedimento già contiene con preciso riferimento alla res iudicanda sottoposta al suo esame.
Con l’ottavo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione in relazione agli artt. 99 e 100 c.p.c. e alla L. n. 1766 del 1927, art. 32, comma 4, per avere il Comune di Villagrande necessariamente sollevato l’eccezione relativa alla qualità ademprivile dei fondi e la sussistenza in essi di diritti di uso civico nell’esclusivo interesse dei cives. Un diverso ragionamento, prosegue la ricorrente, non avrebbe potuto giustificare l’eccezione sollevata dal Comune di difetto di giurisdizione in favore del Commissario degli usi civici.
Anche detta censura è priva di pregio.
Ai sensi dell’art. 75 c.p.c., comma 3, le persone giuridiche stanno in giudizio per mezzo di chi le rappresenta a norma della legge o dello statuto, con la conseguenza che per quanto attiene ai comuni la rappresentanza dell’ente è attribuita al sindaco (tant’è che il D.Lgs. n. 267 del 2000 – recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali – stabilisce che lo statuto dell’ente "nell’ambito dei principi fissati dal testo unico" – determina i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, "anche in giudizio", art. 6, comma 2; il sindaco rappresenta l’ente, v. art. 50, comma 2, con formulazione identica a quella della disposizione previgente sopra citata, prevedendo la riserva sindacale della rappresentanza giudiziale del comune, che non possono attribuire ad altri soggetti la rappresentanza in giudizio dell’ente, pena la loro disapplicazione, in parte qua, ad opera del giudice ordinario, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 5 allegato E: in tal senso, espressamente, Cass., nn. 1949 e 2878 del 2003).
Detta regola non subisce modifiche a seconda della qualità assunta in concreto dall’ente locale nell’ambito del giudizio, avendo la medesima valenza sia che agisca iure privatorum sia che rappresenti interessi civici della collettività comunale. L’ente, infatti, raffigura un soggetto diverso rispetto ai cittadini i quali, appunto uti civest sono titolari dei diritti soggettivi di uso.
Con il nono ed ultimo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione alla L. n. 1766 del 1927, art. 32, comma 4, e all’art. 2909 c.c. per avere erroneamente la corte di merito rimesso alla competenza commissariale l’ulteriore corso del giudizio dubitando che la legge n. 1105/1863 (di approvazione della convenzione tra l’Amministrazione del Regno e la Società Inglese concessionaria di strade ferrate nell’Isola di Sardegna) abbia fatto cessare la natura ademprivile dei beni scorporati, pur essendo stato accertato nel predetto giudizio di affrancazione, con effetto di giudicato, l’avvenuto trasferimento, senza vincoli, degli stessi beni dallo Stato in favore del Comune di Villagrande Strisaili, la natura libera ed alloidale degli stessi e la successiva attribuzione in favore del privato concessionario della piena ed assoluta proprietà come conseguenza della disposta affrancazione.
Dal rigetto dei precedenti motivi del ricorso principale consegue l’assorbimento delle ulteriori censure prospettate con il mezzo in esame, che pone questioni dipendenti.
Passando all’esame del ricorso incidentale proposto dagli S., con il primo motivo viene lamentata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. giacchè per poter decidere nel merito del processo di affrancazione si doveva necessariamente superare l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito e per potere decidere sulla giurisdizione si doveva dare la qualificazione giuridica del bene, se ademprivile o allodiale, costituendone presupposto logico necessario, per cui la questione è da ritenere necessariamente coperta da giudicato interno o implicito.
Nel ritenere l’infondatezza della censura non possono che essere qui confermate e ribadite le considerazioni esposte ai capi uno, tre, quattro, cinque e sei del ricorso principale venendo in rilievo la medesima questione dell’accertamento della violazione del ne bis in idem con riferimento alla sentenza di questa corte n. 2157 del 1950.
Con il secondo motivo gli S. deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 11 e 2909 c.c. e/o dell’art. 114 Cost. e/o del R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 75 cpv per avere la corte di merito affermato – in palese contrasto con il principio che l’ente territoriale ha come elemento costitutivo la sua popolazione (come si desume dall’art. 114 Cost., e dall’art. 14 c.c.) di talchè è per definizione ente "esponenziale" di tale popolazione – che nel giudizio di affrancazione il Comune era stato evocato quale proprietario concedente di un’enfiteusi di diritto comune e quindi quale ente della p.a. che aveva agito iure privatorum e non pure quale ente esponenziale della collettività comunale. Aggiungono i ricorrenti incidentali che non milita a favore della scissione della personalità del Comune il R.D. n. 332 del 1928, art. 75 norma che ipotizza solo un fenomeno quale quello della nomina di un "curatore" di interessi individuati in caso di conflitto, per cui nessuna attinenza vi è con la fattispecie de qua.
La censura è assorbita dalle argomentazioni svolte in precedenza, anche quanto ai diversi ruoli che assume il sindaco nell’ambito della sua funzione.
Solo per completezza si osserva che la corte di merito ha correttamente evidenziato, sulla scorta di ben noti e consolidati principi, comuni alla giurisprudenza amministrativa ed a quella ordinaria, come la qualità rivestita dai Comuni, di enti esponenziali degli interessi delle popolazioni amministrate, esistenti nell’ambito dei rispettivi territori, e dunque, delle stesse frazioni conferisca ai medesimi enti territoriali la legittimazione sostanziale e processuale a far valere i diritti appartenenti a dette collettività. Solo in ipotesi di effettivo e concreto conflitto tra gli interessi delle comunità frazionali e quelli della rimanente popolazione comunale o di contrasto degli stessi con specifici provvedimenti dei Comuni, si porrebbe la necessità di una separata gestione processuale delle rispettive pretese collidenti, giustificanti la nomina ex art. 78 c.p.c., comma 2, di un curatore speciale.
Passando all’esame del ricorso incidentale proposto dal Comune di Villagrande Strisaili, si osserva che con il primo motivo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione del R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 42 e della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 32 per avere la corte di merito ipotizzato che il decreto commissariale del 1945 potrebbe essere caducato a seguito dell’accoglimento della sua impugnazione in via incidentale proposta dai P., da decidersi sulla base di ulteriore istruttoria, stante la sua natura non giurisdizionale. Di converso, trattandosi di provvedimento adottato ai sensi del R.D. n. 332 del 1928, art. 42 andava impugnato nel termine di trenta giorni a decorrere dalla pubblicazione del medesimo provvedimento nell’albo pretorio, che è avvenuta fin dal 13.5.1946 ovvero dalla data di deposito della comparsa di costituzione del Comune del 22.4.2003, ove era espressamente menzionato.
Con il secondo motivo il Comune di Villagrande Strisaili lamenta la violazione e/o falsa applicazione della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, all. E, del R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 42 e della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 32 in quanto pur a volere ritenere il decreto commissariale di natura amministrativa, l’ammissibilità della sua disapplicazione equivarrebbe ad eliminare il termine di decadenza previsto dallo stesso art. 42 per la proposizione delle relative opposizioni, così privando di significato detta norma.
Con il terzo motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione della L. 20 maggio 1865, n. 2248, art. 5, all. E, del R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 32 e della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 32 per avere la corte di merito erroneamente ritenuto di natura amministrativa il decreto commissariale, nonostante il D.P.R. n. 616 del 1976, art. 66 abbia trasferito alle Regioni tutte le competenze amministrative in materia di usi civici, lasciando ai Commissari le soie funzioni giurisdizionali.
Con il quarto motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione della L. 20 maggio 1865, n. 2248, all. E, art. 5 del R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 42 e della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 32 per avere la corte di merito dato conto della circostanza che il decreto di accertamento degli usi civici presenta tutte le caratteristiche dell’attività giurisdizionale, in particolare quanto al vincolo di legge, al processo e all’immutabilità della pronuncia, tuttavia riproponendo con l’art. 42 citato lo schema della opposizione a decreto ingiuntivo a garanzia della certezza dei diritti.
I quattro mezzi – da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, venendo in contestazione la natura del decreto commissariale del 1945 – non sono meritevoli di accoglimento. Le disposizioni in materia di usi civici al R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 29 contemplano le operazioni di "verifica" delle occupazioni di terre comunali o di demani comuni, mentre la L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 29 vigente all’epoca, attribuiva al Commissario per gli usi civici la competenza ad accertare – su istanza degli interessati o anche d’ufficio – i diritti di uso civico e qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento delle terre spettanti agii abitanti dei comuni o delle frazioni. Ai sensi del collegato disposto degli artt. 30, 31 e 15 del Regolamento approvato con R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, per le operazioni di verifica e dell’art. 42 dello stesso Regolamento, per l’accertamento, gli atti istruttori ed il "decreto" con i quali il Commissario descrive i terreni gravati dagli usi civici – competenza ora trasferita alle Regioni – vengono comunicati al Comune ed alle associazioni agrarie ed affissi all’albo pretorio per trenta giorni consecutivi, entro il quale termine possono essere presentate opposizioni. Se opposizioni non si presentano, non ritenendosi possibile lasciare in stato di incertezza per un tempo indeterminato le situazioni giuridiche e di fatto, che formano oggetto delle verifiche e dell’accertamento, l’istruttoria compiuta ed il decreto divengono definitivi. Ciò significa che non può essere disconosciuta la qualitas soli, che è stata accertata e non impugnata.
Il tenore dell’art. 42 del R.D. citato pur riconoscendo stabilità all’accertamento effettuato depone per la natura amministrativa del provvedimento adottato, tenuto conto dell’oggetto e delle modalità di verifica, nonchè della disciplina del relativo procedimento, con la conseguenza che la sentenza della corte di merito non può pregiudicare l’accertamento espletato, ma soltanto rinviare al Commissario per verificare la correttezza dell’azione amministrativa esercitata.
Le operazioni di verifica ed il decreto che chiude il procedimento di accertamento degli usi civici, decorsi i termini per la impugnazione, infatti, hanno sola efficacia dichiarativa relativamente ai terreni, rispetto ai quali hanno accertato espressamente la sussistenza delle occupazioni o del diritto di uso, tuttavia non costituiscono ostacolo ad ulteriori accertamenti in sede giurisdizionale anche per verificare la corrispondenza del provvedimento rispetto ai terreni in contesa (così Cass. 9 marzo 1994 n. 792).
Con il quinto motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione del R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 42 e della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 32 per non avere la corte di merito tenuto conto che le eventuali irregolarità de procedimento avrebbero potuto al più comportato l’illegittimità del decreto commissariale.
Con il sesto motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione del R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, art. 42 e della L. 16 giugno 1927, n. 1766, art. 32 nonchè dell’art. 112 c.p.c. perchè la corte di merito avrebbe dovuto decidere sulla base degli elementi istruttori già acquisiti agli atti. Dalla condivisione della ratio della decisione del giudice del gravame sulle precedenti censure discende che le ulteriori doglianze del Comune di Villagrande, ricorrente in via incidentale, devono ritenersi superate, trattandosi di motivi necessariamente collegati alla questione pregiudiziale della natura del decreto commissariale.
Passando all’esame dei ricorso incidentale proposto dal Comune di Lanusei, con il primo motivo viene dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., anche per vizio di motivazione in quanto la corte di merito avrebbe dovuto valutare esattamente la portata della sentenza della Cassazione del 1950.
Non può che essere ribadita l’infondatezza della censura alla luce delle considerazioni esposte ai capi uno, tre, quattro, cinque e sei del ricorso principale vedendo in rilievo la medesima questione della valenza del preteso giudicato di cui alla sentenza di questa corte n. 2157 del 1950.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione o falsa applicazione, oltre al vizio di motivazione in relazione al R.D. n. 332 del 1928, art. 75 cpv giacchè la norma invocata prevede la nomina di un rappresentante della comunità locale nel caso di opposizione di interessi tra il Comune e una frazione o più frazioni dello stesso comune, mentre nella specie il conflitto è stato del tutto assente.
La censura più che infondata è ininfluente risultando evocata l’applicazione di una norma, quale l’art. 75 cpv del R.D. citato che attiene a fattispecie affatto diversa, come già esposto.
Con il terzo motivo viene denunciata la violazione o falsa applicazione, oltre al vizio di motivazione con riferimento alla L.R. Sardegna n. 12 del 1994, art. 2 il quale nei recitare "titolarità degli usi civici", ne prevede l’appartenenza in capo ai cittadini residenti nel Comune nella cui circoscrizione sono ubicati gli immobili soggetti all’uso, nella specie i cives del Comune di Lanusei (trattandosi di terreni ricompresi nella sua circoscrizione), con conseguente carenza di interesse ex art. 100 c.p.c. del reclamante Comune di Villagrande.
Il motivo è assorbito dalla pronuncia della corte distrettuale di rimessione della questione di merito al Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici in Sardegna.
Passando all’esame del ricorso incidentale proposto dal D., con i tre motivi viene denunciata la violazione e falsa applicazione in relazione all’art. 2909 c.c., nonchè con riferimento alla L. 4 gennaio 1863, n. 1105, L. 23 aprile 1865, n. 2252, R.D. 26 luglio 1865, n. 2435, L. 23 agosto 1868, n. 4557, L. 18 agosto 1870, n. 5839, art. 2 R.D. 10 novembre 1907, n. 844, R.D. 25 agosto 1908, n. 548, L. n. 1766 del 1927, art. 35 ribadendosi che la natura allodiale dei beni in contestazione discenderebbe dalla legge abolitiva (e seguenti) dei terreni ademprivili, che una corretta interpretazione della vicenda alla luce del quadro normativo vigente all’epoca della pronuncia invocata consentirebbe.
Premesso che il D. deriva la sua posizione dagli eredi P., vertendo le censure esclusivamente sul preteso accertamento – con efficacia di giudicato – della natura allodiale dei terreni, basata sulla ricostruzione della frattispecie nell’ambito del quadro normativo, non possono che confermarsi le argomentazioni già svolte.
Nel decreto commissariale n. 360 del 6.12.1945 è affermata la natura ademprivile dei terreni de quibus – come riconosciuto da tutte le parti del presente giudizio – per cui il motivo è privo di pregio, necessitando la vicenda di merito ulteriore istruttoria.
Infine occorre rilevare che ulteriore ricorso incidentale è stato presentato dal Comune di Villagrande, con il quale vengono riprodotti i medesimi n. 6 motivi di cui all’originario ricorso, al pari di altro ricorso incidentale proposto dalla PORTO SANTORU UNO s.r.l., affidato a n. 9 motivi ripetitivi di quelli presentati con il ricorso principale.
L’espletamento di tale ulteriore attività difensiva, pur non rappresentando nella sostanza questioni nuove ovvero nuovi mezzi di impugnazione, determina tuttavia l’insorgenza di un obbligo in capo a questa corte di adottare statuizioni in merito ai suddetti ulteriori ricorsi incidentali, che perciò vanno dichiarati inammissibili derivando, diversamente, la possibilità di una serie indeterminata di ricorsi incidentali tardivi, in contrasto con il principio per il quale l’impugnazione incidentale è proponibile solo dalle parti contro le quali è stata proposta l’impugnazione principale (in tal senso, Cass. 30 marzo 2004 n. 6282; Cass. 17 novembre 2010 n. 23215).
In conclusione, va rigettato il ricorso principale, quello incidentale proposto dagli S., quello incidentale presentato dal Comune di Villagrande Strisaili, vanno rigettati i motivi uno e due del ricorso incidentale del Comune di Lanusei, assorbito il terzo, nonchè quello incidentale proposto dal D.; vanno dichiarati inammissibili gli ulteriori ricorsi incidentali della PORTO SANTORU UNO s.r.l. e del Comune di Villagrande.
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione delle spese del giudizio di questo grado.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale proposto dagli S.; rigetta il ricorso incidentale proposto dal Comune di Villagrande Strisaili; rigetta i motivi 1 e 2 del ricorso incidentale del Comune di Lanusei, assorbito il terzo motivo; rigetta il ricorso incidentale proposto dal D.;
dichiara inammissibili gli ulteriori ricorsi incidentali proposti dal Comune di Villagrande di Strisaili e dalla PORTO SANTORU UNO s.r.l..
Dichiara interamente compensate fra le parti le spese di questo grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 30 marzo 2011.
Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012
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