T.A.R. Puglia Bari Sez. III, Sent., 14-01-2011, n. 63

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Espone in fatto il M.C. V.E., dipendente della Guardia di Finanza, in forza alla Tenenza di Cerignola (FG), di aver presentato in data 12.02.2009 istanza volta ad ottenere tre giorni di permesso mensili, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 per poter assistere la madre, sig.ra I.M., nata a Marcianise (CE) il 22.01.1948 e residente a Latina, affetta da disabilità sensoriale (art. 50 della legge n. 342 del 2000) e cecità parziale in entrambi gli occhi accertate dalla Commissione per l’accertamento dell’handicap della Azienda U.S.L. di Latina – Distretto di Latina.

Aggiunge di aver allegato alla suddetta istanza tre dichiarazioni sostitutiva di atto di notorietà attestanti rispettivamente l’impossibilità per gli altri componenti dell’originario nucleo familiare, Francesco E. e Stefania E., di prestare assistenza continua alla madre per motivi personali, il mancato ricovero a tempo pieno in strutture ospedaliere o simili della sig.ra I.M. e che il nucleo familiare di origine era composto dalla citata sig.ra M. in stato di vedovanza.

Il ricorrente riferisce inoltre che con fonogramma del 27.02.2009, notificato il 30.03.2009, il Comandante Regionale del Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza aveva rigettato la sua istanza; che esso ricorrente aveva contestato tale decisione con memorie scritte; che con provvedimento n. 0244824/09 del 06.05.2009, notificato il 29.05.09, l’istanza veniva nuovamente rigettata per mancanza del requisito della continuità.

Il ricorrente ha, quindi, proposto il presente ricorso ritualmente notificato il 27.07.2009 e depositato nella Segreteria del Tribunale il 27.08.2009, con il quale ha chiesto l’annullamento del suddetto provvedimento di rigetto n. 0244824/09 del 06.05.2009 e la condanna della Amministrazione resistente al risarcimento dei danni eventualmente derivanti dal comportamento della stessa.

A sostegno del gravame il ricorrente ha dedotto le seguenti censure:

1 – violazione e falsa applicazione dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, così come modificato dall’art. 19 della legge n. 53 del 2000.

2 – eccesso di potere per errata interpretazione dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992;

3 – violazione degli artt. 3 e 33 della legge n. 104 del 1992, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, degli artt. 7, 25 e 26 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea, degli artt. 4, comma 1, lettera B ed art. 19 della Convenzione delle Nazioni Unite, sui diritti delle persone con disabilità.

Il M.C. E. ha contestato quanto rappresentato nel provvedimento impugnato e cioè che il requisito della continuità non sussisterebbe a causa della eccessiva distanza intercorrente tra la sede di servizio e la località di residenza del soggetto portatore di handicap, in quanto, conformemente a quanto ritenuto dall’INPS nella circolare n. 90 del 23 maggio 2007, il requisito della continuità dovrebbe avere i caratteri della sistematicità ed adeguatezza piuttosto che il carattere della assistenza quotidiana; parte ricorrente lamenta altresì l’illegittimità del provvedimento impugnato in quanto sarebbe stato emanato in violazione dell’art. 7 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Uomo che prevederebbe il rispetto della vita privata e della vita familiare; né sarebbe condivisibile la motivazione del provvedimento di rigetto nella parte in cui richiama la suddetta circolare laddove essa dispone che il requisito della sistematicità dell’assistenza "non dovrebbe trovare applicazione in relazione alle Forze di Polizia ovvero ad una categoria di lavoratori, comunque legata ad una sede di servizio stabile" in quanto già l’uso del condizionale esprimerebbe i dubbi su detta interpretazione.

Il M.C. E. ha chiesto altresì la condanna dell’amministrazione resistente al risarcimento dei danni prodotti dalla mancata concessione dei permessi richiesti, danno da individuarsi nella sofferenza derivante dalla impossibilità di poter usufruire delle giuste tutele previste dalla legge ispirata alla tutela dei più deboli prevista dalla Costituzione; tale danno non necessiterebbe di prova avendo parte resistente procurato una lesione di valori costituzionalmente tutelati con l’adozione del provvedimento impugnato e sarebbe da liquidarsi in via equitativa.

Si è costituito a resistere in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, chiedendo il rigetto del gravame.

Entrambe le parti hanno prodotto documentazione.

Parte ricorrente ha presentato una memoria per la camera di consiglio e l’Avvocatura Distrettuale dello Stato in data 17.09.2009 ha depositato la relazione illustrativa del Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza del 07.09.2009.

Alla camera di consiglio del 30 settembre 2009, con ordinanza n. 591, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione cautelare.

Con ordinanza n. 420 del 27 gennaio 2010, la Sezione IV del Consiglio di Stato ha rigettato l’istanza cautelare proposta in primo grado, in riforma della suddetta ordinanza di questo T.A.R..

Il M.C. E. ha presentato una ulteriore memoria per l’udienza di discussione.

Alla udienza pubblica del 3 dicembre 2010 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.
Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e deve, pertanto, essere accolto.

Coglie nel segno il motivo di censura con il quale il ricorrente ha dedotto la violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992.

Il Collegio ritiene utile, preliminarmente, focalizzare la regola di diritto da applicare alla fattispecie in esame.

L’art. 33 della legge n. 104 del 1992 al comma 3, concernente la fruibilità di permessi mensili retribuiti da parte del lavoratore, aveva inizialmente previsto che: "Successivamente al compimento del terzo anno di vita del bambino, la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, di minore con handicap in situazione di gravità, nonchè colui che assiste una persona con handicap in situazione di gravità parente o affine entro il terzo grado, convivente, hanno diritto a tre giorni di permesso mensile, fruibili anche in maniera continuativa a condizione che la persona con handicap in situazione di gravità non sia ricoverata a tempo pieno"; il comma 5, disciplinante la sede di lavoro più vicina ed il trasferimento, recitava: "Il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato, con lui convivente, ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede."

Successivamente il legislatore è intervenuto modificando la suddetta normativa con la legge n. 53 del 2000; l’art. 19 di tale legge, per quello che in questa sede interessa, alla lettera a), concernente il comma 3 del suddetto art. 33, dopo le parole: "permesso mensile" ha inserito le seguenti parole: "coperti da contribuzione figurativa"; ed alla lettera b), relativamente al comma 5, dello stesso art. 33 ha soppresso le parole: "con lui convivente"; l’art. 20, recante Estensione delle agevolazioni per l’assistenza a portatori di handicap, al comma 1 ha altresì disposto: "Le disposizioni dell’art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, come modificato dall’art. 19 della presente legge, si applicano anche qualora l’altro genitore non ne abbia diritto nonchè ai genitori ed ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorchè non convivente."

Dal dato letterale della suddetta disciplina, applicabile alla fattispecie oggetto di gravame così come sopra richiamata dopo le modifiche apportate dalla legge n. 53 del 2000, essendo il provvedimento impugnato stato adottato in data 06.05.2009, emerge che il legislatore del 2000 con l’art. 19 ha soppresso le parole: "con lui convivente" limitatamente nel comma 5 concernente la sede di lavoro più vicina ed il trasferimento, ma non per il comma 3 relativo ai permessi mensili retribuiti che riguardano la fattispecie per cui è causa.

Tuttavia il successivo art. 20 della medesima legge n. 53 del 2000, seppure richiama l’art. 33 come modificato dal precedente art. 20, estende l’applicabilità delle disposizioni dell’intero art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ai familiari lavoratori, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assistono con continuità e in via esclusiva un parente o un affine entro il terzo grado portatore di handicap, ancorchè non convivente." uniformando quindi per tale aspetto la disciplina dei permessi e della sede di lavoro e trasferimento.

Alla luce di quanto sopra il Collegio ritiene che i permessi retribuiti possano essere concessi sia ai familiari lavoratori conviventi che a quelli non conviventi, ma per questi ultimi a condizione che assistano con continuità e in via esclusiva il portatore di handicap.

Passando ad analizzare, sulla base di dette coordinate la fattispecie concreta oggetto di gravame, il Collegio ritiene che la questione centrale posta dall’odierno ricorso sia stabilire se il M.C. E. assista con continuità sua madre, considerato che l’esclusività non risulta controversa; tale questione deve essere affrontata tenuto conto che le modifiche introdotte con la legge n. 53 del 2000, come già ha avuto modo di affermare questa Sezione nella sentenza n. 1329 dell’8.04.2010, sono complessivamente caratterizzate da una implementazione del diritto all’assistenza del disabile e che tale criterio, che costituisce la ratio legis, deve presiedere all’attività di interpretazione di tutte le disposizioni di che trattasi al fine di assicurare coerenza al sistema e compatibilità con i principi costituzionali, anche ex art. 3 della Costituzione.

Il Collegio, confermando l’orientamento già fatto proprio da questa Sezione (cfr. sentenza n. 1329/2010 cit.), ritiene che il requisito della continuità dell’assistenza non possa farsi coincidere con una quotidianità dell’assistenza medesima, essendo sufficiente che tale assistenza si svolga secondo criteri di sistematicità e di adeguatezza (orientamenti giurisprudenziali recepiti dall’I.N.P.S. con la circolare n. 90 del 23 maggio 2007), come condisibilmente prospettato da parte ricorrente; tanto è vero che i benefici per cui è causa non possono invece essere riconosciuti solo per l’ipotesi di ricovero del disabile a tempo pieno presso apposita struttura.

Se quanto sopra è vero la distanza non può in sé rappresentare elemento dirimente alla mancata concessione del beneficio, come sostenuto da questa Sezione nell’ordinanza n. 591 dell’1 ottobre 2009 di accoglimento dell’istanza incidentale di sospensione; anche con la suddetta sentenza n. 1329/2010, peraltro richiamata da parte ricorrente nella memoria depositata il 26.11.2010, questa Sezione ha ritenuto che per continuità dell’assistenza, intesa anche come effettività dell’assistenza in favore del disabile da parte del lavoratore, genitore o parente del soggetto stesso, non possa – ai fini della concessione dei giorni di permesso – aversi riguardo in senso ostativo ad una accezione del concetto di lontananza solo in senso spaziale.

Il Collegio ritiene inoltre, concordando con la prospettazione del M.C. E. e contrariamente da quanto sostenuto da parte resistente nella relazione illustrativa del Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza del 07.09.2009, che non possa ritenersi condivisibile la motivazione del provvedimento stesso di rigetto laddove richiama la parte della circolare del Comando Generale della Guardia di Finanza n. 113616/102 del 07.04.2008 che prevede che il requisito della sistematicità dell’assistenza "non dovrebbe trovare applicazione in relazione alle Forze di Polizia ovvero ad una categoria di lavoratori, comunque legata ad una sede di servizio stabile".

In disparte la questione, peraltro evidenziata anche dal ricorrente, che già l’uso del condizionale esprimerebbe i dubbi su detta interpretazione da parte dello stesso Comando Generale della Guardia di Finanza che ha emanato la circolare, il Collegio ritiene che non applicare al personale della Guardia di Finanza il requisito della continuità come sopra inteso e, quindi, ritenendo sufficiente che l’assistenza alla persona handicappata da parte del lavoratore si svolga secondo criteri di sistematicità e di adeguatezza, sistematicità che non può escludersi nel caso di obiettiva lontananza del dipendente dalla sede del disabile, sarebbe discriminante per tale categoria di lavoratori, come peraltro rappresentato nella circolare stessa per altre categorie di lavoratori.

Rientra poi nelle valutazioni personali del lavoratore che assiste la persona handicappata trovare la migliore soluzione organizzativa possibile per dare l’ottimale assistenza alla persona handicappata stessa, compatibile con la lontananza e le specifiche esigenze della persona assistita.

Il Collegio, pur consapevole della difficoltà, ritiene si debba trovare un punto di equilibrio tra i valori tutelati, autoorganizzazione dell’amministrazione ai sensi dell’art. 97 della Carta Fondamentale e salvaguardia del diritto alla salute ai sensi dell’art. 32 della stessa Costituzione, astrattamente configgenti, ma non senza considerare che nel bilanciamento dei contrapposti interessi deve ritenersi preminente, nella materia per cui è causa, il diritto alla salute della persona assistita.

Il profilo di illegittimità dedotto con il suillustrato motivo di ricorso ha una indubbia valenza assorbente rispetto agli altri motivi di gravame, sicché la fondatezza della dedotta censura comporta l’accoglimento del ricorso stesso, senza necessità di pronunziarsi sugli ulteriori motivi d’impugnazione.

Conclusivamente, per i suesposti motivi, il ricorso deve essere accolto e, conseguentemente, deve essere annullato il provvedimento prot. n. 0244824/09 del 06.05.2009 con il quale il Comando Regionale Puglia della Guardia di Finanza ha rigettato l’istanza del ricorrente volta ad ottenere tre giorni di permesso mensili, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, per poter assistere la madre, sig.ra I.M..

Il Collegio rigetta, invece, la domanda per la condanna al risarcimento del danno, pure formulata con il gravame in esame.

Occorre al riguardo evidenziare che seppure la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale ai sensi dell’art. 2059 c.c. che tutela le violazioni gravi di diritti inviolabili della persona, non altrimenti rimediabili. (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 23 marzo 2009, n. 1716) si ritiene di dover ulteriormente evidenziare che, anche a voler ammettere la sua configurabilità per una tipologia di danno quale quella addotta nel caso di specie, la relativa domanda va comunque rigettata in quanto il diritto al risarcimento del danno morale, in tutti i casi in cui è ritenuto risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente, degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio (cfr. Cassazione Sezioni Unite n. 3677/2009).

Nel caso oggetto del presente giudizio la domanda è genericamente formulata e non supportata neanche da un principio di prova.

Il M.C. E. lamenta, infatti, genericamente che il danno sarebbe derivato dalla mancata concessione dei permessi richiesti, danno da individuarsi nella "sofferenza derivante dalla impossibilità di poter usufruire delle giuste tutele previste dalla legge ispirata alla nostra Carta Costituzione a tutela dei più deboli".

Le spese, secondo la regola della soccombenza, devono porsi a carico della parte resistente, nell’importo liquidato nel dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Respinge la domanda risarcitoria.

Condanna parte resistente al pagamento delle spese processuali e degli onorari di giudizio, che liquida in Euro. 2.000,00 (duemila/00) in favore del M.C. V.E..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2010 con l’intervento dei magistrati:

Pietro Morea, Presidente

Antonio Pasca, Consigliere

Rosalba Giansante, Referendario, Estensore

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *