Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-07-2012, n. 12266 Opposizione del terzo Sospensione del processo

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Svolgimento del processo

Con sentenza n. 1443/99 del 10.6.1999 la Corte d’appello di Napoli, in riforma della decisione di primo grado emessa dal Tribunale di Avellino, condannava D.G.P.D. ad arretrare il proprio fabbricato sito in (OMISSIS) a distanza legale rispetto all’edificio di proprietà della sorella di lui, D.G. A., ritenendo assorbita la domanda accessoria di risarcimento del danno per equivalente.

Impugnata per cassazione, tale pronuncia era annullata con rinvio da questa Corte, con sentenza n. 3341/02, limitatamente alla parte in cui i giudici d’appello avevano, implicitamente, ritenuto che la domanda di risarcimento del danno per equivalente fosse alternativa rispetto alla tutela in forma specifica, consistente nell’arretramento della costruzione realizzata a distanza inferiore a quella legale, mentre l’una e l’altra dovevano ritenersi cumulabili.

Nel giudizio di rinvio la difesa di D.G.P.D. instava per la sospensione del giudizio, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., per la coeva pendenza di un’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. proposta avverso la sentenza n. 1443/99 della medesima Corte territoriale da D.A.C., moglie dello stesso e comproprietaria del fabbricato oggetto materiale della condanna all’arretramento. Tale istanza era respinta con sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 1515 del 14.5.2007, che "fermo restando il giudicato formatosi in ordine all’azione ripristinatoria", condannava D.G.P.D. al pagamento in favore della germana A. della somma di Euro 30.000,00, a titolo di risarcimento del danno per equivalente.

Per quel che ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte partenopea riteneva, in ordine all’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c., del giudizio, che il residuo ambito della controversia riguardava la sola domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno per equivalente, non essendo più in discussione, per l’ormai formatosi giudicato interno, l’obbligo di D.P.D. G. di arretrare la propria costruzione. Ipotizzato l’accoglimento dell’opposizione ex art. 404 c.p.c., l’inefficacia di tale sentenza non avrebbe posto nel nulla la decisione della Corte d’appello, nè avrebbe prodotto un contrasto tra giudicati, attesa la natura solidale dell’obbligazione risarcitoria che, a norma dell’art. 2055 c.c., consente al creditore di rivolgersi per l’intero risarcimento anche ad uno solo dei condebitori. Soggiungeva – richiamando giurisprudenza di questa Corte – che l’opposizione di terzo è rivolta unicamente a evitare che dal giudicato formatosi tra le parti possa derivare pregiudizio al terzo, ed esplica i propri effetti limitatamente alla sfera giuridica di costui, sicchè essa non distrugge, nè annulla il giudicato nella sua obiettiva consistenza, salvo che il rapporto accertato nei riguardi del terzo risulti assolutamente incompatibile con quello riconosciuto dalla sentenza gravata dall’opposizione.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre D.G.P. D., formulando due motivi d’impugnazione.

Resiste con controricorso D.G.A..

Entrambe le parti hanno deposito memoria.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.102, 295, 337, 354 e 404 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), nonchè l’omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione su un punto decisivo (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5).

Deduce che D.A.C. ha proposto opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404 c.p.c., comma 1 in quanto la ridetta sentenza d’appello n. 1443/99, passata in giudicato nel capo di condanna all’arretramento del fabbricato sito in (OMISSIS), è stata pronunciata a contraddicono non integro, con conseguente violazione dell’art. 102 c.p.c., essendo ella comproprietaria dell’immobile col coniuge D.P.D. G. per effetto di comunione incidentale. Ciò premesso, sostiene che la Corte territoriale ha erroneamente escluso il nesso di pregiudizialità – dipendenza tra le due cause, perchè la domanda risarcitoria suppone necessariamente la violazione delle distanze legali, non potendo giustificarsi altrimenti. L’impugnazione di tale decisione, ancorchè passata in giudicato, con l’opposizione di terzo ordinaria ha determinato". "Il nesso di pregiudizialità-dipendenza in senso tecnico, e non soltanto logico, atteso che la caducazione della sentenza n. 1443/99 provocherebbe il venir meno anche del fatto costitutivo della domanda di risarcimento del danno per equivalente.

Per contro, la tesi esposta nella sentenza ora impugnata ha teorizzato la compatibilità delle due pronunce, quella sull’opposizione di terzo e quella sul risarcimento del danno per equivalente, dando per scontata la conferma della pronuncia resa a contraddittorio non integro, soluzione, questa, illogica non potendosi escludere a priori l’accoglimento dell’opposizione ex art. 404 c.p.c.. Conclude il motivo formulando i seguenti quesiti:

"Dica la Corte che esiste il nesso di pregiudizialità necessaria tra la pronunzia di accertamento della violazione delle distanze legali e quella di risarcimento del danno derivato dalla suddetta violazionè" (primo quesito);

"Dica la Corte che l’opposizione ordinaria di terzo proposta avverso la sentenza di accertamento della violazione delle distanze legali e fondata sulla illegittima pretermissione del comproprietario opponente, in quanto litisconsorte necessario, ha portata pregiudiziale rispetto al giudizio di condanna dell’altro comproprietario al risarcimento dei danni derivati dalla suddetta violazione delle distanze legali e comporta perciò la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. di questo giudizio sino all’esito del giudizio di opposizione di terzo" (secondo quesito).

2. – Il secondo motivo, col quale è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 872, 873, 2043 e segg., artt. 2697 e 2909 c.c., nonchè degli artt. 99, 102, 112 e 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, mette capo al seguente quesito:

"Dica la Corte che la cassazione della sentenza per non aver il giudice, in violazione dell’art. 295 c.p.c., sospeso il processo determina la cassazione dell’intera sentenza, facendo venire meno tutte le statuizioni adottate".

3. – Il ricorso è infondato.

4. – La quaestio iuris posta dai quesiti al servizio del primo motivo è se tra il giudizio di rinvio (ma il discorso vale nei medesimi termini per quello d’appello) e quello di opposizione ordinaria di terzo, ex art. 404 c.p.c., comma 1, instaurati contro la medesima pronuncia di primo grado, allorchè l’opposizione di terzo miri a far valere la preterizione di un litisconsorte necessario, possa configurarsi un nesso di pregiudizialità/dipendenza tale da imporre l’applicazione dell’art. 295 c.p.c. e il conseguente arresto della causa dipendente, cui segua l’inefficacia della sentenza di condanna scaturita dall’accoglimento di un’actio negatoria servitutis (schema legale, quest’ultimo, su cui è modellata l’azione diretta all’accertamento della violazione di distanze legali: cfr. al riguardo, Cass. nn. 871/12, 867/00, 12810/97 e 9088/91).

4.1. – Accolta e presupposta la tesi per cui sia ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il diniego di sospensione della causa ex art. 295 c.p.c. che non si esaurisca nell’adottare un provvedimento di carattere ordinatorio, ma sia alla base della stessa emissione della pronuncia di merito impugnata, ad avviso di questa Corte la soluzione negativa della questione proposta dalla parte ricorrente s’impone per varie ragioni, di carattere generale e di indole particolare.

4.1.1. – Questa Corte ha avuto occasione di osservare che la sospensione necessaria del processo, ex art. 295 c.p.c., presuppone l’esistenza di un nesso di pregiudizialità sostanziale, ossia una relazione tra rapporti giuridici sostanziali distinti ed autonomi, dedotti in via autonoma in due diversi giudizi, uno dei quali (pregiudiziale) integra la fattispecie dell’altro (dipendente) in modo tale che la decisione sul primo rapporto si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione del secondo. Ove, invece, contro la medesima sentenza di primo grado esecutiva vengano proposti appello ed opposizione di terzo, si è in presenza di due distinti mezzi di impugnazione esercitati nell’ambito dello stesso processo, sicchè la pregiudizialità che verrebbe a configurarsi è meramente processuale e non sostanziale. Ne consegue che – fermi i poteri del giudice dell’opposizione di pronunciare la sospensione dell’esecuzione della sentenza – non può farsi ricorso alla sospensione del giudizio di appello ex art. 295 c.p.c., essendo ciascuna impugnazione destinata a proseguire per proprio conto, e la coordinazione tra le stesse si prospetta soltanto in riferimento ai rispettivi cedimenti conclusivi, nel senso che la riforma della sentenza tra le parti produrrà la cessazione della materia del contendere del profilo impugnatorio del giudizio di opposizione, così come l’accoglimento dell’opposizione di terzo, con relativo annullamento della sentenza opposta, farà venir meno l’interesse alla prosecuzione del giudizio di appello (Cass. n. 15353/10).

4.1.2. – A tale principio occorre dare continuità, per le ragioni che seguono.

Anche la revocazione ordinaria di cui all’art. 395 c.p.c., n. 5, al pari dell’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., comma 1, può costituire un rimedio successivo al malgoverno (anche se incolpevole) del processo; ma le analogie tra i due istituti non vanno oltre, perchè diverse sono le norme di riferimento di cui essi presuppongono la mancata o erronea applicazione, vale a dire l’art. 295 c.p.c., volto ad evitare il contrasto fra giudicati, nel primo caso, l’art. 102 e segg., che regolano il giudizio soggettivamente complesso, nel secondo.

Ove la causa dipendente non sia stata sospesa ai sensi dell’art. 295 c.p.c., e in conseguenza di ciò si siano successivamente formati due giudicati fra loro contrastanti, l’ipotetica contraddittorietà dell’un giudicato rispetto all’altro si risolve mediante il criterio temporale della prevalenza del secondo sul primo, fino a che la seconda sentenza non sia revocata, ricorrendone le condizioni, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. nn. 23515/10, 10623/09, 2082/98, 833/93 e 5211/86).

Affatto diversa, invece, è la relazione tra la sentenza opposta e quella, di accoglimento, resa all’esito del giudizio di opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c., comma 1, la quale ultima non annulla nè distrugge di regola il giudicato formatosi fra le parti, salvo il rapporto accertato nei confronti dell’opponente risulti assolutamente incompatibile ed inconciliabile con quello riconosciuto dalla sentenza gravata di opposizione (v. Cass. nn. 6261/09, 833/93, 4831/89 e 2115/92, che in motivazione richiama Cass. nn. 260/67 e 129/72). Se dunque la relazione tra le due pronunce trova al suo stesso interno la tecnica di compensazione, mediante la totale o parziale inefficacia soggettiva ipso iure della sentenza opposta, un conflitto tra giudicati tecnicamente inteso neppure si configura in tal caso, e dunque sarebbe insensato prevenirne l’evenienza attraverso la sospensione ex art. 295 c.p.c. del processo d’appello proposto contro la sentenza esecutiva che sia stata coevamente opposta ex art. 404 c.p.c., comma 1.

(Nè potrebbe caldeggiarsi un’applicazione praeter legem dell’art. 295 c.p.c. per paralizzare le conseguenze esecutive della sentenza nel frattempo impugnata con l’opposizione di terzo, che a ciò provvede l’art. 407 c.p.c.).

4.1.3. – L’estraneità dell’art. 295 c.p.c. alla situazione processuale che si verifica nell’ipotesi di concorso tra le ridette impugnazioni, è ulteriormente confermata dall’art. 344 c.p.c. (in base al quale nel giudizio d’appello è ammesso soltanto l’intervento dei terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell’art. 404 c.p.c.), che assolve la funzione di apprestare uno strumento di tutela anticipata in favore dei soggetti che potrebbero proporre opposizione di terzo avverso la sentenza, al fine di consentire loro di far valere le proprie ragioni, ancor prima che la sentenza di primo grado possa pregiudicarle (cfr. Cass. n. 29766/11). Da tale norma, che dimostra la necessità di confluire le posizioni dei terzi interessati nel medesimo processo tra le parti originare, anche a prezzo del sacrificio, per gli intervenienti, del doppio grado di merito, procede la soluzione del problema del concorso dell’appello con l’opposizione di terzo, in relazione al quale la dottrina ha fornito indicazioni diverse, ma tutte caratterizzate dal denominatore comune di raccordare le due impugnazioni al di fuori di ogni ipotesi di sospensione. E così, la dottrina prevalente ritiene che la pendenza dell’appello sia ostativa al rimedio dell’art. .404 c.p.c., proprio perchè il terzo può tutelare il suo diritto autonomo ed incompatibile intervenendo nel giudizio di secondo grado ai sensi dell’art. 344 c.p.c.; ovvero che l’opposizione debba essere riassunta davanti al giudice d’appello; ovvero ancora che le due impugnazioni, quantunque possano risultare pendenti innanzi a giudici diversi, debbano essere riunite in forza del principio di cui all’art. 335 c.p.c.; o infine, nel caso in cui l’opposizione preceda l’appello, che la prima si converta automaticamente nel secondo. Mentre il rimedio della sospensione è stato, semmai, prospettato da una parte della dottrina nell’ipotesi in cui concorrano tra loro l’opposizione di terzo e il ricorso per cassazione, per l’impossibilità di trattare un gravame di merito con le regole del giudizio di legittimità.

4.2. – Un’ulteriore osservazione s’impone con specifico riguardo alla fattispecie in esame.

Il primo quesito del motivo in parola afferma meno di quanto intenda dire e ottenere, visto che non è nè controverso, nè controvertibile che dall’accertamento della violazione delle distanze legali dipenda la conseguente statuizione di risarcimento del danno in forma specifica. In detto interrogativo è insito (che, diversamente, non se ne comprenderebbe nè la formulazione, nè il vantaggio) il paralogismo dell’inscindibilità assoluta di tale implicazione, nel senso che sarebbe connotata da litisconsorzio necessario sostanziale l’intera causa, e cioè tanto la negatoria servitutis quanto la domanda di rimessione in pristino mediante demolizione delle opere, appartenenti anche al terzo, realizzate in violazione delle distanze legali.

4.2.1. – E anche tale assunto non è condivisibile.

Ai sensi dell’art. 949 c.c. il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio (comma 1); e se sussistono turbative o molestie, egli può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno (comma 2).

L’azione esercitata ai sensi dell’art. 949 c.c., sia del comma 1, che del comma 2 non declina la proposizione di un’unica rimanda di condanna, avente un contenuto ineludibile e inscindibile di accertamento al pari di qualsivoglia altra tipologia di azione cognitiva, ma due diverse domande, una di accertamento negativo, l’altra di condanna, dotate di una propria relativa autonomia, nel senso che la prima è introducibile indipendentemente dalla seconda e non è soggetta di per sè al litisconsorzio necessario di tutti i comproprietari del fondo preteso dominante, litisconsorzio che ricorre solo in quanto all’accertamento negativo della servitù acceda la domanda accessoria di condanna del convenuto alla modificazione dello stato dei luoghi (giurisprudenza costante di questa Corte: cfr. Cass. nn. 3156/98, 8565/96, 6976/86). Pertanto, nell’ipotesi in cui sia accolta l’opposizione ex art. 404 c.p.c., comma 1 del comproprietario pretermesso del fondo asseritamente dominante, la sentenza impugnata con tale mezzo ne risulta vulnerata per la sola parte incompatibile, ossia relativamente alla condanna accessoria alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi, e non anche in ordine all’accertamento negativo della servitù, che permane efficace tra le parti originarie.

5. – La reiezione del primo motivo assorbe l’esame della seconda, in realtà apparente, censura, che si limita a trarre la conseguenza dell’effetto espansivo interno del richiesto annullamento della sentenza impugnata.

6. – In conclusione il ricorso va respinto.

7. – Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 5.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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