Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 17-07-2012, n. 12244

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Verona accoglieva l’opposizione, proposta dal Banco popolare di Verona e Novara soc. coop. a r.L, nei confronti dell’Inps e della società esercente il servizio esattoriale, contro le cartelle emesse per la riscossione dei contributi e relativi accessori pretesi dall’Inps sulla base del verbale di accertamento n. (OMISSIS), con il quale gli ispettori dell’istituto previdenziale avevano rilevato l’omesso assoggettamento a contribuzione degli importi corrispondenti al beneficio derivante per i dipendenti dell’istituto di credito dalla concessione da parte della stessa datrice di lavoro di mutui a tasso agevolato e avevano calcolato i contributi dovuti sulla base della differenza tra gli interessi al tasso legale e quelli effettivamente pagati dai dipendenti.

Contro la sentenza con cui era stata dichiarata l’insussistenza dell’obbligo contributivo proponeva appello l’Inps a nome anche della società di cartolarizzazione SCCI s.p.a., deducendo che il beneficio del mutuo a tasso agevolato rientrava nei c.d. fringe benefits, da ricomprendere nel concetto di retribuzione imponibile a norma della L. n. 153 del 1969, art. 12.

La Corte di merito faceva riferimento al proprio orientamento di cui alle sentenze n. 224/2001, confermata da Cass. n. 15954/2004, e n. 648/2007, e specificamente osservava che non erano decisivi ai fini della accoglibilità della pretesa contributiva gli elementi di fatto addotti dall’Inps e non contestati, che evidenziavano un collegamento tra la concessione del mutuo e il rapporto di lavoro, quali la prevista anzianità lavorativa minima (due anni di servizio) e la differenza di trattamento riservata ai dipendenti in base alla loro anzianità (sotto il profilo dei limiti di importo mutuabile), a fronte della circostanza comprovata che la banca aveva tratto dalla concessione di detti mutui dei profitti, sia pure contenuti, in base alla differenza tra condizioni del mutuo e costi delle somme mutuate.

Difatti – osservava la Corte – quando vi è profitto non può parlarsi di retribuzione, sia pure occultata da meccanismi particolari e, del resto, le stesse condizioni di mutuo erano previste per clienti particolarmente importanti, le condizioni particolari rimanendo giustificate per i dipendenti dall’intento di fidelizzarli e per i particolari clienti da quello di acquisirli alla banca.

Il giudice di appello osservava altresì che il suo orientamento aveva trovato conferma nella giurisprudenza della Cassazione, che in relazione ad analoga fattispecie aveva ritenuto che la concessione di mutui a condizioni agevolate ai propri dipendenti da parte di una banca può rilevare in relazione alla nozione di retribuzione di cui alla L. n. 153 del 1969, art. 12 qualora costituisca un costo per la banca stessa, non essendo sufficiente a tal fine che chi riceve il mutuo paghi un prezzo inferiore a quello corrente, mancando altrimenti la dipendenza tra quanto erogato e il rapporto di lavoro (Cass. n. 15954/2004).

L’Inps, a nome anche della suindicata società di cartolarizzazione, propone ricorso per cassazione nei confronti del Banco Popolare soc. coop. a r.l., nella qualità del medesimo di successore a titolo particolare del Banco popolare di Verona e Novara soc. coop. a r.l.

quale conferitario di ramo di azienda.

Il Banco Popolare resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria. L’Uniriscossioni s.p.a. non si è costituita.
Motivi della decisione

1. Il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 27 nel testo sostituito dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 e della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 18, primo periodo.

Si deduce che il giudice di appello abbia proceduto ad un’errata interpretazione della L. n. 153 del 1969, art. 12 per avere escluso dall’imponibile contributivo il differenziale scaturente dal confronto tra interessi calcolati in base al tasso legale e interessi effettivamente pagati dai , dipendenti in relazione ai mutui a tasso agevolato concessi agli stessi dall’istituto bancario, nel periodo antecedente all’entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 18.

In particolare, si richiama il dettato testuale della L. n. 153 del 1969, art. 12 con il suo riferimento, per l’identificazione della retribuzione imponibile, a tutto ciò che il lavoratore riceve "in dipendenza del rapporto di lavoro", e la pacifica tassatività delle ipotesi previste dalla legge di esclusione dal calcolo della retribuzione imponibile. E, con riferimento alla specie, per dimostrare il nesso di causalità necessaria tra rapporto di lavoro ed erogazione del mutuo a tasso agevolato, si richiama la correlazione esistente tra concessione del mutuo a condizioni agevolate e vicende relative al rapporto di lavoro.

Si sostiene anche che la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 18, sia pur non applicabile ratione temporis alla fattispecie di causa, confermerebbe la tesi della ricorrente sulla portata applicativa della L. n. 153 del 1969, art. 12.

Si sottopone a critica, poi, l’orientamento interpretativo di cui a Cass. n. 15954 del 2004, seguito dalla sentenza impugnata, sostenendosi l’erroneità del criterio secondo cui sarebbe ravvisabile un’attribuzione in favore del dipendente, assoggettabile a contribuzione previdenziale, solo nel caso in cui la stessa comporti, per chi la eroga, un costo aziendale o una mancanza di profitto.

2. Questo collegio è chiamato ad esaminare la questione interpretativa relativa all’assoggettabilità a contribuzione, a norma della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 – prima dell’entrata in vigore delle disposizioni specifiche in materia di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 18, e poi dell’entrata in vigore della nuova normativa in materia di base di calcolo dei contributi previdenziali, di cui al D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, artt. 3 e 6 contenente nuovamente disposizioni specifiche in materia -, dei benefici derivanti per i dipendenti di aziende di credito dalla concessione di mutui a condizioni agevolate. Ciò anche perchè, pervenuto il medesimo ricorso una prima volta alla trattazione in udienza pubblica, era stata rilevata l’esistenza di contrasti interpretativi in materia nell’ambito della Sezione lavoro ed era stata prospettata la possibilità di esame del ricorso da parte delle Sezioni unite, con l’ordinanza interlocutoria 28 dicembre 2011, n. 29232, non seguita però da un concreto provvedimento di assegnazione del ricorso alle Sezioni unite, essendosi ritenuto preferibile che la questione formasse oggetto di approfondimento da parte della medesima Sezione lavoro.

3. la L. 20 aprile 1969, n. 153, art. 12 ha innovato la disciplina per l’individuazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza e assistenza sociale, prevedendo – con tecnica legislativa atipica e poco funzionale – la sostituzione, con il testo normativo a tal fine riportato tra virgolette, di due articoli del testo unico in materia di assegni familiari e di un articolo del testo unico in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali. La innovazione normativa ha avuto, pacificamente, la finalità di ampliare e rendere più certa la nozione di retribuzione rilevante ai fini contributivi. Infatti, mentre precedentemente per retribuzione si intendeva, ai fini contributivi, "tutto ciò che il lavoratore riceve, in denaro o in natura, direttamente dal datore di lavoro per compenso dell’opera prestata, al lordo di qualsiasi ritenuta" (D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, art. 27, comma 2), per la L. n. 153 del 1969 "si considera retribuzione tutto ciò che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al lordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro" (comma 1 del testo ex art. 12). Inoltre, mentre la disciplina previgente conteneva elencazioni di prestazioni da includere e da escludere dalla base imponibile introdotte dal termine "pertanto" e aventi valore esemplificativo, non è sorto dubbio circa il carattere tassativo dell’elencazione di voci escluse dalla contribuzione contenuta nel testo del 1969 (cfr. Cass. 23 novembre 1984, n. 6053; 7 marzo 1986, n. 1546; 5 giugno 1987. n. 4923).

Peraltro la giurisprudenza ha enunciato, in termini generali, il criterio interpretativo della L. n. 153 del 1969, art. 12 secondo cui, a seguito dell’ampliamento della nozione di retribuzione imponibile ai fini contributivi, attuato dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 le somme corrisposte a qualsiasi titolo ai lavoratori – fatta eccezione per quelle tassativamente escluse dalla stessa norma – vanno assoggettate a contribuzione previdenziale ove sussistano la condizione soggettiva della loro provenienza dal datore di lavoro e quella oggettiva della dipendenza dell’erogazione dal rapporto di lavoro, nel senso che devono essere compresi non solo gli emolumenti corrisposti in funzione dell’esercizio di attività lavorativa, ma anche gli importi i quali – pur senza trovare riscontro in una precisa ed eseguita prestazione lavorativa – costituiscono adempimento di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto ed aventi titolo ed origine nel contratto di lavoro, restando escluse le erogazioni originate da cause autonome (cfr. Cass. 14 novembre 1983, n. 6751; 13 gennaio 1987, n. 169; 27 aprile 1987, n. 4061; n. 4923/1987 cit).

In termini sostanzialmente analoghi, e ancor più chiarificatori, più di recente si è rilevato che, secondo la L. 30 aprile 1969, n. 153, nel concetto di retribuzione imponibile devono essere comprese tutte le erogazioni (in denaro o in natura) provenienti dal datore di lavoro, che trovino la loro giustificazione semplicemente nella costanza del rapporto di lavoro e che, collegate con la causa del contratto di lavoro e senza autonomia rispetto ad essa, concorrano a formare lato sensu la retribuzione, non più limitata ai ristretti criteri economici di corrispettività (Cass. 27 luglio 1999, n. 8140), e che quindi nella retribuzione imponibile ai fini assicurativi e previdenziali devono essere comprese tutte le erogazioni in natura o in danaro che il lavoratore riceve dal datore di lavoro e che trovano la loro giustificazione nella costanza del rapporto di lavoro, quando l’erogazione non sia originata da causa autonoma, ancorchè occasionata dal rapporto di lavoro (Cass. 16 marzo 1999. n. 2353).

4. La modifica della nozione normativa di retribuzione imponibile ai fini contributivi ha avuto influenza in tema di assoggettabilità a contribuzione delle riduzioni tariffarie garantite dalla contrattazione collettiva ai dipendenti di aziende aventi ad oggetto la produzione e distribuzione di energia elettrica. Infatti nella vigenza del D.P.R. n. 797 del 1955, art. 27 si è rilevata la mancanza di corrispettività tra tale beneficio e la prestazione d’opera del lavoratore e conseguentemente esso è stato considerato una misura assistenziale non assoggettata a contribuzione (Cass., sez. un., 29 marzo 1973, n. 868; Cass. 28 marzo 1974, n. 870; 19 agosto 1977, n. 3809). Invece con riferimento alla L. n. 153 del 1969, art. 12 è stato qualificato come retribuzione assoggettabile a contribuzione il valore di tale riduzione tariffaria, da determinare con riferimento al parametro oggettivo del prezzo di mercato della prestazione (Cass. 26 gennaio 1981, n. 587; 7 aprile 1981, n. 1976; 9 novembre 1984, n. 5678). La stessa qualificazione è stata riconosciuta alle riduzioni tariffarie per forniture analoghe (come quelle del gas) previste dalla contrattazione collettiva in favore dei dipendenti delle aziende erogatrici (Cass. 2 marzo 1984, n. 1476;

16 aprile 1985, n. 2525), nonchè anche in caso di riduzioni tariffarie applicate da compagnie assicuratrici ai loro dipendenti in adempimento di obblighi previsti dalla contrattazione collettiva (Cass. 22 luglio 2002, n. 10716).

Carattere retributivo ai fini in esame è stato riconosciuto alla cessione in uso gratuito di pneumatici (Cass. 19 giugno 2008, n. 16678), al rimborso dei maggiori oneri sostenuti per la locazione dell’alloggio a seguito di un trasferimento (Cass. 21 febbraio 2001, n. 2571) e alla cessione di prodotti dell’azienda a prezzi ridotti, salvo prova da parte del datore di lavoro che il prezzo corrisposto dai lavoratori copre il costo reale di scambio correttamente valutato con considerazioni dei suoi vari elementi (Cass. 7 gennaio 1994, n. 105).

5. Passando all’esame dei precedenti relativi alla concessione da parte del datore di lavoro di prestiti a condizioni di favore, è opportuno prendere preliminarmente in considerazione due sentenze relative a fattispecie che presentano meno marcate affinità con quella coinvolta dal presente giudizio.

Cass. 7 febbraio 2001, n. 1761, riguarda la concessione da parte della datrice di lavoro ad alcuni dirigenti di prestiti ad un tasso inferiore a quello legale per l’acquisto di autovetture, allo scopo di agevolare la prestazione dell’attività lavorativa in luogo lontano dalla residenza abituale. La Corte, in assenza di censure specifiche relative al computo del valore del beneficio (computo in sede di merito basato sulla differenza tra tasso legale e tasso applicato dall’azienda), ha fatto riferimento alla consolidata interpretazione della L. n. 153 del 1969, art. 12 escludendo in particolare la rilevanza della sopravvenuta disposizione di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 18, prevedente, con decorrenza dal periodo di paga in corso alla data di entrata in vigore della legge, che "rientra nella retribuzione imponibile ai sensi della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 e successive modificazioni e integrazioni, il 50 per cento della differenza tra il costo aziendale della provvista relativa ai mutui e prestiti concessi dal datore di lavoro ai dipendenti ed il tasso agevolato, se inferiore al predetto costo, applicato ai dipendenti stessi", e la ricorrenza dell’ipotesi di esclusione dalla retribuzione imponibile relativa alle gratificazioni o elargizioni concesse una tantum a titolo di liberalità, di cui alla L. del 1969, art. 12, comma 2, n. 6, anche perchè era evidente il collegamento tra l’elargizione, il rendimento dei lavoratori e l’andamento aziendale, costituente secondo la disposizione richiamata elemento ostativo della configurabilità di una liberalità.

Cass. 12 dicembre 2002, n. 17788 ha ritenuto che dovesse essere computato nella retribuzione imponibile ai fini contributivi il beneficio derivante per il dipendente dalla erogazione da parte del datore di lavoro di anticipi di somme di denaro senza interessi – erogazioni previste entro limiti prefissati nel caso di presenza di comprovate necessità – e ha escluso che, stante anche il suo chiaro tenore letterale, potesse esercitare efficacia retroattiva, incidendo sulla disciplina L. n. 153 del 1969, ex art. 12la già richiamata disposizione di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 18.

6. Passando alla ricognizione dei precedenti relativi a fattispecie analoghe a quelle ora all’esame, deve rilevarsi che Cass. 23 marzo 2001, n. 4262, che ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’Inps, è formalmente basata sul rilievo che l’istituto assicuratore, censurando l’affermazione del giudice di merito secondo cui solo la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 18, aveva fornito un criterio preciso che consentiva la determinazione del quantum imponibile, aveva omesso di impugnare l’accertamento – sufficiente a sorreggere la decisione – della mancanza di un nesso di derivazione della prestazione dal rapporto di lavoro (infatti il giudice di appello aveva osservato che non era comprovato che il tasso applicato, dell’8,50%, sebbene inferiore a quello legale, all’epoca del 10%, si dovesse realmente considerare "sotto costo", non potendosi escludere che lo stesso trattamento fosse praticato dalla banca resistente a particolari categorie di clienti, e che nel complesso era ravvisabile un nesso di sola occasionalità con la prestazione lavorativa).

La decisività di tale punto era motivata anche con il rilievo che la dizione "in dipendenza del rapporto di lavoro", utilizzata dalla L. n. 153 del 1969, art. 12 recepisce una nozione, per così, dire ontologica della retribuzione, secondo cui la stessa è costituita da qualsiasi utilità economicamente valutabile che soggettivamente proviene dal datore di lavoro e, sotto il profilo oggettivo o causale, è conseguita dal lavoratore come corrispettivo della sua prestazione, qualunque sia la sua funzione (strettamente retributiva, previdenziale, assistenziale).

Cass. 16 agosto 2004, n. 15954, in relazione alla pretesa dell’Inail di sottoporre a contribuzione gli importi corrispondenti alla differenza tra il tasso di interesse legale e quello minore corrisposto dai dipendenti sui mutui loro erogati da un istituto di credito, ha confermato la sentenza impugnata sfavorevole all’istituto previdenziale, rilevando che il giudice di merito aveva escluso che i mutui comportassero l’erogazione dal datore di lavoro al lavoratore di qualche utilità patrimoniale aggiuntiva non giustificata dal solo contratto di mutuo, sulla base del rilievo che il tasso dell’8,50% non poteva considerarsi fuori mercato, in relazione accosti della raccolta. La tesi specifica del ricorrente, secondo cui nel mutuo agevolato è intrinseca un’utilità che, provenendo dal datore di lavoro, deve presumersi connessa al rapporto di lavoro, era ritenuta erronea dalla Corte, che al riguardo valorizzava la già richiamata disposizione di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 18, osservando che dalla norma si ricavava che un’utilità è assoggettabile a contribuzione quando essa corrisponde a un costo per chi la eroga e non soltanto quando chi la riceva paghi di meno del prezzo corrente. Nella specie, in ragione della presenza di un utile per la banca, sussisteva la ragione esclusiva e tipica per la stipula del mutuo, che aveva solo occasione e non la sua causa nel rapporto di lavoro.

7. E’ opportuno esaminare ora gli interventi normativi, anche se successivi ai fatti di causa, con cui è stato disciplinato il trattamento ai fini contributivi dei prestiti concessi dal datore di lavoro ai propri dipendenti.

7.1. Si è già riportato al paragr. 5 il testo della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 18 (legge avente ad oggetto un’ampia e complessa riforma del sistema pensionistico), di cui è espressamente prevista l’applicabilità "a decorrere dal periodo di paga in corso alla data di entrata in vigore della presente legge". In tale maniera l’efficacia temporale di tale disposizione è differenziata rispetto a quella prevista per le disposizioni di cui ai commi 15 e 16, introducenti nuovi casi di esclusione (o di limitazione, per l’ipotesi di cui al comma 16) dalla contribuzione rispetto a quelli già previsti dalla L. n. 153 del 1969, art. 12 (spese per le colonie climatiche e borse di studio in favore dei figli dei dipendenti, per asilo nido e circoli aziendali, ecc). Per talune di queste altre modifiche normative è prevista infatti un’efficacia retroattiva, con salvezza però dei versamenti contributivi già eseguiti e delle conseguenti prestazioni previdenziali, e per altre mancano disposizioni espresse sull’efficacia temporale.

Può risultare particolarmente significativa la considerazione dei lavori preparatori con riferimento alla specifica disposizione di cui all’art. 2, comma 18. Nel disegno di legge governativo, presentato il 17 maggio 1995, era prevista una norma diversa. Infatti la corrispondente disposizione (art. 17, comma 4) recitava: "la L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 e successive modificazioni ed integrazioni, si interpreta nel senso che rientrano nella retribuzione imponibile i punti di interesse compresi fra il tasso legale, vigente alla data di concessione, ed il tasso agevolato applicato su mutui e prestiti, concessi dal datore di lavoro ai dipendenti".

E’ agevole rilevare che la formulazione originaria avrebbe convalidato espressamente le tesi sostenute in materia, anche in sede contenziosa, dagli istituti previdenziali.

Il testo poi divenuto il comma 18 dell’art. 2 è stato introdotto (come art. 2, comma 17) nell’ambito di un emendamento di ampia portata del governo. Sul punto specifico interloquì nella seduta del 14 luglio 1995 un deputato con le parole "il Governo non è rimasto del tutto insensibile alle critiche ed ai suggerimenti avanzati per migliorare la riforma. E’ apprezzabile la diversa e più equa previsione della computabilità nella retribuzione imponibile delle agevolazioni nell’erogazione dei mutui ai dipendenti (…)".

7.2. Nel quadro del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, avente ad oggetto l la "armonizzazione, razionalizzazione e semplificazione delle disposizioni fiscali e previdenziali concernenti i redditi da lavoro dipendente (…)", l’art. 6 ha provveduto a una riscrittura, o sostituzione, della L. n. 153 del 1969, art. 12 facendo riferimento, salvo prevedere un elenco tassativo di voci escluse ai fini contributivi, alla determinazione del reddito da lavoro dipendente di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 48 del t.u. delle imposte dirette il cui testo, così come sostituito dallo stesso D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 3 prevede una serie di voci escluse dalla formazione del reddito o ammessevi solo nei limiti o alle condizioni specificamente previste. Il comma 4, lett. b), regola la materia dei prestiti, prevedendo che "in caso di concessione di prestiti si assume il 50 per cento della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di sconto vigente al momento della concessione del prestito e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi. Tale disposizione non si applica per i prestiti stipulati anteriormente al 1 gennaio 1997".

Segue la previsione di non applicabilità della disposizione relativamente a prestiti di breve durata e giustificati da particolari ragioni di bisogno o solidarietà.

8. Il già compiuto richiamo di precedenti giurisprudenziali aiuta a individuare gli elementi che caratterizzano l’ipotesi di concessione di mutui ai propri dipendenti da parte di un istituto bancario rispetto ad altre ipotesi in cui il datore di lavoro faccia prestiti ai propri dipendenti o fornisca loro a condizioni di favore beni o servizi oggetto della sua attività imprenditoriale.

Con riferimento a enti o società svolgenti l’attività imprenditoriale della produzione di elettricità o gas, la configurabilità, nelle previste forniture ai dipendenti a condizioni di favore, di una prestazione economica trovante la propria causa nel rapporto di lavoro era evidenziata sia dal fatto che, in genere, tali benefici erano previsti dalla contrattazione collettiva, sia comunque dalla circostanza che erano derogate tariffe di generale applicazione, soggette ad approvazione o controllo amministrativo. Lo stesso rilievo è estensibile alle condizioni di favore applicate da compagnie di assicurazione, sia per la loro previsione da parte della contrattazione collettiva, sia, quanto all’assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore, per la presenza, all’epoca, di tariffe amministrate obbligatorie.

Gli elementi qualificanti della dipendenza del trattamento dal rapporto di lavoro e della presenza di un vantaggio per il lavoratore e un costo per il datore di lavoro era ravvisabile pure nel caso di prestiti erogati da un datore di lavoro non esercente l’attività creditizia nel quadro degli accordi presi in occasione dell’assunzione o del trasferimento del lavoratore (apparendo evidenti i caratteri distintivi dei c.d. fringe benefits), oppure per particolari esigenze del lavoratore in base a previsioni del contratto collettivo.

In caso di riconoscimento di particolari condizioni da parte di un istituto di credito, per sua autonoma determinazione, nell’erogazione di mutui ai propri dipendenti, sono ravvisabili elementi che distinguono la relativa ipotesi da quelle finora esaminate. Deve rimarcarsi, oltre all’assenza di un obbligo derivante dalla contrattazione collettiva, il fatto che tra le parti sia stipulato un contratto autonomo inerente all’esercizio dell’attività imprenditoriale del datore di lavoro, presumibilmente nel rispetto di tutte le norme che regolano tale attività, assoggettata ad autorizzazioni e controlli amministrativi. In tale quadro, ulteriore caratterizzazione è l’assenza di vere tariffe, o condizioni economiche, di generale applicazione, non potendosi ritenere come tali neanche le condizioni eventualmente rese note dall’istituto di credito alla sua clientela, che non solo lasciano impregiudicata l’effettiva ammissione del singolo interessato alla stipulazione concreta di un contratto, ma anche non sono tariffe di generale applicazione, praticando le banche una politica di ampia personalizzazione delle tariffe rispetto ai singoli clienti e alle specifiche situazioni concrete.

Ne consegue che il semplice fatto che la banca abbia previsto, in caso di mutui concessi ai propri dipendenti, l’applicazione di tariffe di un certo favore, rispetto a quelle applicate a clienti non richiedenti particolare attenzione, non evidenzia di per sè che essa, per così dire, non abbia agito nell’esercizio discrezionale delle sue facoltà di imprenditore esercente nel ramo creditizio e che invece si sia in presenza di una speciale prestazione, vantaggiosa per il dipendente e onerosa per il datore di lavoro, che possa rinvenire la sua causa e non solo una sua occasione nel contratto di lavoro. Del resto vi sono ragioni che possono consentire e consigliare all’istituto di credito, innanzitutto mirando al favorevole esercizio della sua attività economica, di riconoscere buone condizioni contrattuali ai propri dipendenti, come il fatto che si tratti di soggetti selezionati e controllati, rispetto a cui è semplificata la fase istruttoria e di cui è prevedibile una bassa propensione all’inadempimento, considerata anche la possibile subordinazione – come nella specie – del trattamento agevolato ad un determinato stato di servizio. Nè sembra trascurabile il rilievo che la trasparente delineazione di condizioni applicabili a tutto il personale è utile (pressochè indispensabile) anche per prevenire situazioni di conflitto di interesse o di imbarazzo in capo ai funzionari e dirigenti incaricati della concessione dei mutui.

Con riferimento alla disciplina di cui alla L. n. 153 del 1969, art. 12 nel suo tenore originario e ai principi che, come si è visto (cfr. paragr. 3), se ne sono tratti sul piano interpretativo, deve quindi affermarsi che, affinchè nella stipulazione da parte di una banca con i propri dipendenti di mutui a prefissate condizioni più vantaggiose di quelle riservate all’ordinaria clientela sia ravvisabile un’attribuzione economica in favore del dipendente imputabile al rapporto di lavoro e costituente elemento della retribuzione imponibile ai fini contributivi, è necessario il concorso di condizioni contrattuali non giustificabili nel quadro dell’esercizio dell’attività imprenditoriale bancaria o di altri adeguati elementi di prova.

Nella presente controversia l’istituto assicuratore ha inteso far valere come elemento di prova dell’esistenza di un tasso agevolato, integrante un particolare beneficio per il lavoratore riconducibile al contratto di lavoro, il fatto che il tasso dei mutui era inferiore al tasso di interesse legale. Quello dedotto, però, è un elemento in sè non pertinente, in quanto il tasso legale di interesse non costituisce in sè un valido elemento di valutazione circa la presenza o meno di condizioni aventi una razionalità commerciale rispetto alla concessione di un mutuo ipotecario da parte di una banca (nello stesso ricorso si precisa che erano in questione mutui ipotecari per l’acquisto o il miglioramento dell’abitazione). A ragione il giudice di merito, stante tale impostazione della domanda, ha obiettato che doveva semmai darsi rilievo al confronto tra i costi sostenuti dalla banca per la raccolta e i tassi applicati ai dipendenti e quindi al fatto – il cui accertamento non è stato censurato dall’Inps – che il confronto dei due elementi evidenziava un utile per la banca. Tale accertamento è utilmente completato da quello secondo cui le stesse condizioni erano applicate ad altri clienti della banca, sia pure di particolare importanza.

Quanto alla subordinazione del trattamento agevolato a un determinato stato di servizio, si è già rilevato come tale condizione sia funzionale alla giustificazione dell’operazione sul piano imprenditoriale.

9. Le vicende relative all’approvazione della disposizione specifica di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 18 rappresentano un elemento che conforta la linea interpretativa qui recepita, in quanto,come si è visto, è stato accantonata l’iniziale ipotesi di una norma interpretativa attribuente rilievo al differenziale tra interesse legale e interesse praticato su mutui e prestiti dal datore di lavoro. Una discussione circa la portata della disposizione così come approvata non può invece ritenersi adeguatamente impostata in base all’interrogativo se si è in presenza di una norma che amplia o restringe la base imponibile. In effetti, come si è visto, prima della integrazione normativa non era ravvisabile una soluzione univoca riguardo alla rilevanza ai fini contributivi del trattamento inerente ai mutui concessi ai dipendenti dal datore di lavoro. Quel che risulta certo è che la norma ha l’efficacia temporale – sostanzialmente ex nunc – precisata dalla disposizione e offre criteri specifici e vincolanti circa i presupposti e i limiti della rilevanza di tali mutui ai fini contributivi. E può constatarsi che tali criteri risultano piuttosto restrittivi (anche a prescindere dal previsto limite di eventuale computabilità del 50 per cento) con riferimento alla concessione di mutui da parte di istituti bancari, così come concretamente piuttosto restrittivo appare anche il criterio, di più agevole applicazione, recepito successivamente dal D.Lgs. n. 314 del 1997, art. 3, comma 4, lett. b).

10. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

A norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, si formula il seguente principio di diritto: Con riferimento alla disciplina di cui alla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12 (nel suo tenore originario) e precedente all’entrata in vigore delle disposizioni specifiche di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 18 e al D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 3, comma 4, lett. b), affinchè nella stipulazione da parte di una banca con i propri dipendenti di mutui a prefissate condizioni più vantaggiose di quelle riservate all’ordinaria clientela sia ravvisabile un’attribuzione economica in favore del dipendente imputabile al rapporto di lavoro e costituente elemento della retribuzione imponibile ai fini contributivi, è necessario il concorso di condizioni contrattuali non giustificabili nel quadro dell’esercizio dell’attività imprenditoriale bancaria o di altri adeguati elementi di prova, esclusa di per sè la rilevanza della concessione del mutuo a un tasso inferiore a quello degli interessi legali o la subordinazione della concessione del mutuo a un determinato stato di servizio".

Le spese del giudizio vengono compensate in relazione alla complessità dei problemi interpretativi posti dalla questione oggetto del giudizio.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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