Cassazione, Sez. III, 8 marzo 2010, n. 9154 Atti sessuali con minore e attenuante della minore gravità del fatto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Osserva

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’Appello ha confermato la condanna inflitta all’imputato – odierno ricorrente – per il reato di atti sessuali in danno della minore degli anni omissis M.D.S., consistito nell’abbracciata, darle baci sulla bocca e, comunque, amoreggiare con lei.

Avverso tale decisione, l’imputato ha proposto ricorso tramite il proprio difensore, deducendo:

1) vizio di motivazione perché illogica, carente e/o contraddittoria. A riprova di ciò, il ricorrente ripercorre le emergenze processuali sottolineando come, nei fatti, non vi fosse per nulla quella connotazione di clandestinità che si cerca di insinuare, che l’imputato nutriva effettivo trasporto sia verso la piccola M. che verso il fratellino tanto da porre in essere i comportamenti censurati alla luce del sole ed anche in presenza della madre dei bambini.

A tale riguardo, si censura il fatto che la Corte non abbia voluto rinnovare il giudizio mediante l’audizione della donna.

Ci si diffonde, poi, nel sottolineare come i fatti svolgessero in un clima di naturalezza e che anche quando i bambini andavano sul letto dell’imputato non era lui a cercarli ma loro a disturbarlo mentre riposava. Anche i baci sulla bocca vengono riferiti sia da S. che da M. come “normali” e, comunque, anche i biglietti affettuosi che l’uomo inviava erano aperti e contenevano attestazioni di affetto verso tutti e non solo M.;

2) mancanza della prova dell’elemento psichico tenuto anche conto del modesto livello intellettivo dell’imputato che è risultato persona molto semplice;

3) violazione di legge per insussistenza della condotta incriminata perché i comportamenti dell’imputato sarebbero stati del tutto privi di una connotazione sessuale per assenza di qualsivoglia attentato alle parti intime della bambina;

4) violazione di legge per non esser stata data applicazione all’ipotesi attenuata vista la modesta compromissione della libertà sessuale della vittima la quale anche in seguito non ha mostrato di vivere l’esperienza in maniera particolarmente traumatica ma, seguita dalle psicologhe, ha semplicemente rivisitato la vicenda in chiave critica senza nutrire sentimenti di rancore verso l’uomo con il quale qualche bacio o carezza non erano stati alcun gioco perverso.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata o, in subordine, il riconoscimento dell’attenuante di cui al 3 comma dell’art. 609 bis c.p..

2. Motivi della decisione – Il ricorso merita parziale accoglimento nei termini che vengono precisati di seguito.

2.1. Certamente inaccoglibile è il primo motivo che punta ad una rivisitazione dell’intera vicenda con l’auspicio che questa S.C. pervenga a conclusioni differenti rispetto a quelle tratte dai giudici di merito.

Siffatto modo di procedere è, però, non accettabile in sede di legittimità ove l’unico controllo consentito sulla motivazione afferisce alla logica della chiave interpretativa ed alla verifica che essa si basi su un esame completo di tutte le emergenze processuali.

È innegabile che molti eventi sono suscettibili di diverse “letture”, a volte anche antitetiche ma ugualmente sostenibili ma, nella misura in cui una delle possibili interpretazioni dei fatti è sviluppata in maniera consequenziale e non manifestamente illogica, il sistema delle impugnazioni preclude la possibilità di optare per una soluzione alternativa, sia pure anch’essa ugualmente logica, se non a rischio di trasformare il giudizio dinanzi a questa S.C. in un terzo grado di merito.

Siffatti concetti sono stati reiteratamente enunciati da questa S.C. (tra le ultime, Sez. II 11.1.07, Messina, Rv. 235716; Sez. VI 17.10.06 Ouardass, n. 37270; Sez. IV, 17.9.04 n. [omissis], Cricchi, Rv. 229690) e valgono più che mai in una vicenda come la presente in qualche modo “diversa” dalle molte altre relative alla stessa imputazione caratterizzate prevalentemente da condotte più univocamente definite e da una prevaricazione della sfera sessuale della vittima decisamente più ampia e, magari, anche violenta.

Il caso in esame, invece, si “colora” peculiarmente, sia per la personalità dell’imputato (oggettivamente di modesto livello intellettivo), che per l’intero contesto di sostanziale emarginazione e povertà (soprattutto culturale) di tutti i protagonisti (come si intuisce dalla complessiva “promiscuità” di coabitazione indotta anche dalla scarsità di ambienti abitabili) in cui una serie di “manifestazioni di affetto” (quelle dell’imputato) vengono esasperate sì da sconfinare rispetto ai parametri della stessa tutela penale.

Ciò viene attentamente esaminato e letto con rigore dai giudici di merito ai quali non possono essere mosse censure motivazionali perché il loro argomentare sul punto è rispettoso dei fatti e dei principi giurisprudenziali.

Come sottolinea anche la Corte, con riferimento alla decisione del Tribunale, vi è stata una “meticolosa ricostruzione dei fatti oggetto di causa ed un’attenta lettura delle prove acquisite” sì che non può a questo punto essere rivista la conclusione secondo cui B. aveva “nutrito una morbosa ed anomala passione verso la piccola D.S.M., all’epoca minore degli anni omissis, coinvolgendola in una singolare relazione che aveva avuto come sfondo la situazione di grave degrado nella quale si trovavano entrambi i nuclei familiari ai quali, protagonisti e comprimari della vicenda, appartenevano”. Nel confermare tale conclusione la Corte richiama, in particolare, le deposizioni e l’insieme delle prove acquisite tra le quali, segnatamente, le parole dei fratellini D.S. durante l’incidente probatorio che, unitamente alle riprese filmate eseguite dallo stesso minore L.S., depongono per comportamenti abituali da parte del B. consistenti in baci, anche sulla bocca, e carezze sul corpo verso la minore.

Questa S.C. ha già avuto modo, in più occasioni, di qualificare “atto sessuale” persino il bacio a labbra chiuse (Sez. III, 4.12.98, De Marco, Rv. 212821; Sez. III, 15.11.05, Beraldo, Rv. 233115) ed è stato puntualizzato che detta connotazione può essere esclusa “solo in presenza di particolari contesti sociali, culturali o familiari nei quali l’atto risulti privo di valenza erotica, come, ad esempio, nel caso del bacio sulla bocca scambiato, nella tradizione russa, come segno di saluto” (Sez. III, 13.2.07, Greco, Rv. 236964).

Nessun vizio è dunque ravvisabile nel modo in cui il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, hanno “fotografato” una vicenda sicuramente “al limite” ma non scevra di connotazioni allarmanti e correttamente interpretabili nel senso dell’accusa.

Per altro, se è pur vero che il bacio è gesto che può essere espressione di molteplici sentimenti – e che, giustamente è stata sottolineata a suo tempo (sez. III 27.4.98, Di Francia, Rv. 210975) la necessità di considerare le circostanze di tempo e di luogo in cui il bacio viene dato, le modalità e la zona prescelta nonché le condizioni dei due soggetti, attivo e passivo – a fortiori, l’applicazione di questi principi conduce legittimamente alle conclusioni della Corte d’Appello. Deve, infatti, aversi presente che i baci sulle labbra che il B. dava alla piccola non erano le sole manifestazioni di un “affetto” un po’ “particolare” come testimonia – commenta la Corte – lo “sconcertante contenuto della lettera che il B. ha scritto alla bambina ove sono usate espressioni quali “ti amo”, “mi manchi sempre amore”, “sono pazzo di te” che, come correttamente ha osservato il giudice di primo grado, evidenzia(no) che il legame che lo univa alla piccola fuoriusciva dai canoni della normalità di un rapporto tra un adulto ed una bambina”.

Ed è, appunto, questo, il “dettaglio” da non dimenticare nel qualificare la natura dei baci che venivano dati nel caso in esame, vale a dire il fatto che essi provenivano da un uomo adulto verso una bambina di età inferiore a omissis anni. Conseguentemente, è innegabilmente corretto ed obiettivo il rilievo fatto dai giudici di appello che “oltre ogni sofisma argomentativo”, un tale comportamento da parte dell’imputato denuncia “un atteggiamento relazionale che va al di là di ogni sentimento lecito e di rapporto consentito tra le due persone così diverse di età”.

La qual cosa risulta comprovata dall’ulteriore considerazione che, in base alla disciplina dei reati sessuali introdotta con la legge 15 febbraio 1996 n. 66, l’illiceità dei comportamenti deve essere valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona umana e della loro attitudine ad offendere la libertà di determinazione della sfera sessuale.

Quest’ultima è, pertanto, disancorata dall’indagine sul loro impatto nel contesto sociale e culturale in cui avvengono, “in quanto punto focale è la disponibilità della sfera sessuale da parte della persona, che ne è titolare” (sez. III 27.4.98, Di Francia, Rv. 210975). Il fatto che tali condotte fossero poste in essere nei confronti di una bambina di poco meno di omissis anni, “illumina” in modo decisivo posto che sicuramente, la bambina non aveva parametri propri per percepire la “stranezza” dell’agire di B. sì da poter anche – così come il proprio fratellino – “scambiare” il gesto come espressione di normalità ed accedere allo stesso ricambiando. La qual cosa, tuttavia non può essere interpretata come testimonianza di “normalità” di comportamenti obiettivamente scorretti ed irrispettosi di una libertà asessuale ancora non sufficientemente matura per “distinguere” e difendersi.

A tale stregua, pur potendosene tener conto ad altri fini, il richiamo fatto dal ricorrente alle condizioni oggettive e soggettive del fatto, è inconferente per decidere sulla sussistenza del reato ipotizzato posto che l’anomalia comportamentale dell’imputato era di un tasso tale da incidere indubitabilmente sulla sfera sessuale della minore al punto che – come ricorda la Corte – una volta scoperti i fatti in esame, la bambina “ha formato oggetto nella comunità che l’ospitava, di un progetto mirante a ricondurla ad una base di normalità (v. dichiarazioni. T. M. A., ud. 25.5.2007 fg. 15)”.

Da ultimo, deve soggiungersi che, per giurisprudenza costante (sez. I n. 8511/92, Russo Rv 191507; Sez. VI n. 6873/93, Rizzo, Rv. 195141; Sez. VI 15.3.96, Riberto, Rv. 205673) la rinnovazione del dibattimento nel giudizio di appello è un istituto di carattere eccezionale al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Non può, quindi, essere censurata la sentenza impugnata nella quale, invece, sono stati indicati i motivi per i quali la riapertura dell’istruttoria dibattimentale non è stata reputata necessaria (f. 4).

2.2. Le considerazioni che precedono conducono ad una sicura reiezione anche del secondo e terzo motivo che, oltre ad essere alquanto apodittici nella loro enunciazione, trovano sostanziale smentita in tutto quanto fin qui esposto.

2.3. Resta, invece, da osservare che, in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante speciale del penultimo comma dell’art. 609 quater (quarto motivo), le ragioni della Corte non risultano pienamente soddisfacenti sul piano dialettico né coerenti con le premesse – enunciate dalla stessa Corte d’Appello – secondo cui avrebbe dovuto essere operata una “valutazione globale del fatto”, così come affermato ripetutamente anche da questa S.C. (ex multis, Sez. III, 19.12.06, Sala, Rv. 236024).

Si constata, infatti, che i giudici di merito, pervengono ad una reiezione del terzo motivo di appello (avente ad oggetto l’attenuante in parola) solo evocando una situazione “potenzialmente sconvolgente, capace di turbare in maniera irreversibile il suo (della bimba n.d.r.) equilibrio”. Invero, però, l’affermazione è sfornita di adeguati riscontri non essendovi stato alcun accertamento tecnico né risultando sufficiente il fatto – richiamato in precedenza – che l’istituto ove la bimba era ospitata ritenne opportuno predisporre una sorta di “progetto di recupero”; la cosa, infatti, in sé, può essere meramente indicativa della ragionevole ipotesi dell’esistenza di un danno da riparare ma non ne attesta certo l’entità.

Deve, invece, rammentarsi che l’attenuante in discussione non risponde ad esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto rapportata al bene giuridico tutelato.

In realtà, l’argomentare della Corte d’Appello, a riguardo, si risolve solo in una serie di supposizioni come quella prima citata ovvero nel richiamare mere “impressioni” tratte dai consulenti del P.M. nel corso dei colloqui con la bimba.

Posto che, evidentemente, una volta affermata la sussistenza del reato è intuibilmente conseguenziale ipotizzare una lesione del bene protetto, di fatto, nel negare l’attenuante in parola, si è finito tautologicamente per richiamare l’esistenza del danno ma senza nulla dire sulla sua effettiva estensione.

Pur nella comprensibile difficoltà di operare la valutazione di cui si discute, non si deve, poi, dimenticare che, di certo, non è neppure sufficiente il richiamo all’età della persona offesa perché, diversamente, si finirebbe per vanificare la operatività della disposizione (prevista anche per gli atti sessuali con minorenni) e va anche considerato che questa S.C. (sez. III, 11.5.06, Aiello, Rv. 236266) ha ammesso che, in taluni casi, l’età del minore possa costituire un motivo per negare l’attenuante ma che deve trattarsi di età particolarmente tenera (lett. “se di gran lunga inferiore al limite dei dieci anni”) e da considerare non disgiunta da altri fattori.

Per altro, questa Corte di legittimità ha avuto occasione di soffermarsi anche sul profilo della ricerca di parametri ai quali ancorarsi per la decisione sull’attenuante speciale del 3 comma dell’art. 609 bis (e del corrispondete 4 comma dell’art. 609 quater) indicando l’opportunità, e la possibilità, di fare riferimento ai criteri della prima parte dell’art. 133 c.p. (sez. IV 4.5.07, Lasco, Rv. 236730) precisando che “ai fini del riconoscimento dell’attenuante speciale del fatto di minore gravità, non possono venire in rilievo gli ulteriori elementi di cui al comma secondo dello stesso articolo 133, in quanto utilizzabili solo per la commisurazione complessiva della pena”.

Avendo presenti i dettami della disposizione appena citata, risulta ancora più evidente la insufficienza della motivazione della sentenza impugnata che, oltre a non avere adeguatamente risposto sulla “gravità del danno” (art. 133, prima pt. n. 2) – meramente ipotizzato come “potenzialmente sconvolgente” senza però fondare su rilevazioni scientifiche – nulla dice con riferimento alla natura, al tempo al luogo e a tutte le modalità dell’azione né si esprime sulla intensità del dolo.

Inevitabile è la conclusione che, sia pure limitatamente al giudizio sulla attenuante speciale, la sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Caltanissetta perché rivaluti la situazione alla luce dei parametri e delle osservazioni fin qui svolte.

P.Q.M.

Visti gli artt. 637 e ss. c.p.p. annulla la sentenza impugnata limitatamente al giudizio sulla attenuante speciale di cui all’art. 609 quater comma 4 c.p. con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Caltanissetta.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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