Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-07-2012) 30-07-2012, n. 31030

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza emessa il 30.11.2011 il Tribunale del riesame di Palermo rigettava l’appello proposto dal difensore di M. C. avverso l’ordinanza 3.11.2011 con la quale il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo aveva rigettava la richiesta di revoca della misura cautelare della custodia in carcere, applicata per i reati di partecipazione all’associazione prevista dall’art. 416 bis cod. pen. (capo b) e per il reato, previsto dagli artt. 110, 494 cod. pen. e D.L. 13 maggio 1991, art. 7 convertito nella L. 12 luglio 1991, n. 203, di concorso nella attribuzione a F.G., latitante, delle false generalità di S. M., con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa "Cosa Nostra" di cui F. era rappresentante per la provincia di Agrigento (capo i).

Avverso l’ordinanza di rigetto dell’appello il difensore di M. C. propone ricorso per cassazione per i seguenti motivi: 1) travisamento delle prove e omessa o non corretta valutazione degli elementi di prova a favore, sopravvenuti dopo remissione della ordinanza di custodia in carcere e la conferma da parte del Tribunale del riesame, analiticamente indicati nell’atto di appello e nel presente ricorso; 2) violazione della legge penale sostanziale nella parte in cui le concrete condotte contestate a M.C. (concorso nella falsificazione del documento di identità utilizzato dal latitante F.) sono state ritenute corrispondenti alla fattispecie di partecipazione ad associazione a delinquere prevista dall’art. 416 bis cod. proc. pen., mentre esse rientrano nella fattispecie di reato di favoreggiamento personale descritta dall’art. 378 c.p.; 3) mancanza di motivazione nella parte in cui il Tribunale ha omesso di esaminare la richiesta di derubricazione della fattispecie associativa nel meno grave reato di favoreggiamento personale.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.

L’ordinanza impugnata muove dal corretto assunto che, avendo il medesimo Tribunale del riesame, adito a norma dell’art. 309 cod. proc. pen., confermato la misura cautelare della custodia in carcere emessa a carico di M.C., ritenendo, tra l’altro, la sussistenza di gravi indizi relativi al contestato reato associativo, sul punto si è formato il "giudicato cautelare", il quale può essere modificato solo dalla sopravvenienza di nuovi elementi di prova in grado di superare l’efficacia preclusiva della precedente ordinanza non impugnata dall’interessato.

Secondo un principio interpretativo univocamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (a decorrere da Sez. U, n. 20 del 12/10/1993, Rv. 195354 e in tutte le successive pronunzie costantemente conformi) alle ordinanze, non impugnate, adottate dal tribunale ex artt. 309 e 310 cod. proc. pen. in sede di riesame o di appello avverso provvedimenti "de libertate", va riconosciuta una limitata efficacia preclusiva di natura endoprocessuale, fondata sul principio del "ne bis in idem", di cui all’art. 649 cod. proc. pen..

Pertanto soltanto un successivo, apprezzabile mutamento del fatto consente la revoca, per inidoneità degli indizi, della medesima ordinanza, la quale sia stata, invece, confermata in sede di gravame o sia, comunque, divenuta definitiva.

La regola della efficacia preclusiva, rebus sic stantibus, dei provvedimenti in materia cautelare non impugnati o rispetto ai quali sono stati esperiti i mezzi di gravame previsti, appare coerente con la vigente formulazione dell’art. 111 Cost., comma 2, dal quale è desumibile la contrarietà al principio della "ragionevole durata del processo" di un sistema processuale che, a quadro probatorio invariato, consentisse un’illimitata reiterazione di richieste o proposizioni di procedimenti incidentali aventi contenuto identico a quello già definito con apposita statuizione.

Non sussiste il dedotto vizio di motivazione (nè per mancanza nè per "incongruenza) e non sussiste travisamento della prova, considerato che, per ciascuno degli elementi asseritamente "nuovi" prospettati nell’atto di appello, il Tribunale ha dettagliatamente motivato in ordine alla circostanza che, in parte, essi sono privi del requisito della novità essendo già stati valutati nell’ordinanza di conferma emessa nel procedimento di riesame (unicità del collaboratore di giustizia dichiarante; denuncia del furto di un autocarro, anteriorità della data di assunzione di S. rispetto a quella dei documenti ritrovati nel covo di F.); per la restante parte (protesto dell’assegno proveniente da società amministrata dalla moglie e dalla figlia di C. F.; deduzioni difensive concernenti le utenze telefoniche) il Tribunale ha evidenziato, con motivazione priva di vizi logici, la irrilevanza o inidoneità degli stessi a modificare il preesistente quadro probatorio. Le ulteriori argomentazioni, dirette a contrastare la valenza accusatoria del materiale probatorio vagliato dal Tribunale in sede di appello si traducono in una richiesta di un diverso apprezzamento del fatto interdetto al giudice di legittimità.

Il motivo di ricorso indicato al punto 3) è anch’esso inammissibile per due concorrenti ragioni: l’avvenuta valutazione, nel procedimento di riesame, della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla compartecipazione al delitto associata preclude, in sede di appello avverso lo stesso provvedimento de liberiate, la rivalutazione dei medesimi indizi ai fini della loro sussunzione entro una diversa fattispecie di reato; l’originaria richiesta di revoca della misura rivolta al Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catania non contiene alcuna istanza di riqualificazione dei fatti contestati sotto la diversa fattispecie del favoreggiamento personale, con la conseguenza che tale doglianza non poteva essere esplicata per la prima volta con la formulazione dei motivi di appello.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento in favore della Cassa per le ammende della somma di Euro 1000.

Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 30 luglio 2012

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