Cass. civ. Sez. III, Sent., 17-07-2012, n. 12227

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Pistoia in data 13 ottobre 2004 rigettava la domanda proposta da Ci.St. e C.F. contro Ma.Ma. e M.M., quali eredi di M. V., nelle more deceduto, volta a sentire dichiarare l’inefficacia del diritto di riscatto riconosciuto con sentenza del Tribunale di Pistoia il 10 luglio 1989 e passata in giudicato a seguito della sentenza di appello del 9 novembre 1993 che aveva dichiarato inammissibile il gravame e che non venne impugnata dai C..

Su gravame dei C. la Corte di appello di Firenze il 20 dicembre 2006 dichiarava che il riconosciuto diritto di riscatto era inefficace in quanto da parte del M.V. e, quindi, dei suoi eredi non era stato versato il prezzo del riscatto nel termine di mesi tre dal passaggio in giudicato della sentenza del 1989 e, pertanto, i C. erano gli unici ed esclusivi proprietari del fondo, condannando i M. al rimborso delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio.

Avverso siffatta decisione propongono ricorso per cassazione Ma.Ma. e M.M., affidandosi a cinque motivi.

Resistono con controricorso Ci.St., C.C. ved. C., Ci.Sa., C.M. quali eredi di C.F., deceduto il (OMISSIS).

Su istanza di trattazione L. 12 novembre 2011, n. 183, ex art. 26 il ricorso è stata fissato per l’odierna pubblica udienza.

Le parti costituite e segnatamente M.M., quale erede universale di m.m., tramite i suoi procuratori speciali, nonchè i resistenti hanno depositato rispettive memorie.
Motivi della decisione

1. – In punto di fatto, osserva il Collegio che i C. nell’atto introduttivo del giudizio assumevano che il versamento del prezzo di L. venti milioni a cui il tribunale aveva subordinato l’esercizio del diritto dei M. non era avvenuto nel termine di mesi tre come statuito dalla sentenza del Tribunale del 1989, passata in giudicato e avevano, quindi, richiesto che il giudice dichiarasse essi attori unici ed esclusivi proprietari del fondo da loro acquistato da un certo Co.Lu..

Il Tribunale rigettando la domanda con condanna alle spese, aveva statuito, invece, che l’obbligo del pagamento del prezzo doveva avvenire non dal passaggio in giudicato della sentenza del 1989, ma dal passaggio in giudicato dell’ultima sentenza ad effetti reali ex art. 2932 c.c., secondo un indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, che era rinvenuto nella sentenza Cass. n. 6334/99.

Ciò premesso come punto centrale della controversia sottoposta all’esame del Collegio, stante le due sentenze di merito che hanno dato risposte contrastanti sulla problematica e passando all’esame del ricorso va osservato quanto segue.

2. – Per priorità logico-giuridica – va esaminato il quarto motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 325, 326, 327 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; difetto motivazionale per travisamento dei fatti) che è infondato nel profilo dell’errore di diritto ed inammissibile nel profilo del travisamento dei fatti.

Di vero, come affermano gli stessi ricorrenti, la sentenza del 1989 fu pronunciata tra M.V., Ma.Ma. e M. V. (all’epoca attori) – i C. – convenuti e C. L. – chiamato in causa.

Quella decisione accolse la domanda del M.V., rigettò la domanda degli altri due M..

Essa fu notificata dall’avv. Bujani il 10 ottobre 1989 nei confronti dei C..

Assumono i ricorrenti che avrebbe errato il giudice dell’appello nel ritenere che detta notifica ai fini del termine per impugnare valeva anche per i due M. perchè, essendo il V. deceduto nelle more, la notifica, fu effettuata dall’avv. Bujani per conto degli eredi e non jure proprio quali soggetti che si erano visti respingere la domanda e che non avevano interesse a far decorrere il termine breve; nè dalla relata risulterebbe che il Bujani abbia fatto la richiesta a nome dai due M. jure proprio (p. 26 ricorso).

Questa censura contrasta nettamente con quanto affermato in sentenza, ove si afferma che già nella sentenza di appello del 1993 si ebbe a rilevare che la sentenza del 1989 era stata notificata su richiesta dell’avv. Bujani anche quale procuratore dei due M. (p. 13 sentenza impugnata).

3. – Con il secondo motivo (invalidità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 342 e 346 c.p.c.), anch’ esso da esaminare prima dei restanti, i ricorrenti lamentano la erroneità della decisione impugnata in merito al quando si sia formato il giudicato sulla sentenza del 1989 per, in buona sostanza, genericità dell’appello.

La censura va disattesa.

Di vero, il giudice dell’appello ha disatteso la doglianza dopo avere rilevato che dalla lettura della sentenza emergeva che la prima statuizione – quella che fissava il dies a quo del versamento nella data di passaggio in giudicato della sentenza da ottenere ex art. 2932 c.c. (ritenuta erronea in riferimento alla corretta interpretazione di questa Corte in tema) – era una mera enunciazione di un principio di diritto e la seconda doglianza – circa la inesistenza, nella fattispecie, dei presupposti per il rimborso del prezzo sotto il profilo della mancanza di una pronuncia che disponesse il trasferimento – era solo l’applicazione di tale principio al caso in esame.

Pertanto, avendo gli allora appellanti – i C. – chiesto la riforma della sentenza di primo grado e l’accoglimento delle domande formulate in quella sede e essi non avevano altro onere di motivare la istanza di riforma peraltro assolto ed in particolare di confutare la deduzione-eccezione formulata dai convenuti, ritenuta assorbita dal Tribunale sulla tempestività del pagamento effettuato con offerta reale del 16 novembre 1990 in relazione al passaggio in giudicato della sentenza di primo grado (p. 7-8 sentenza impugnata).

4. – Con il primo motivo (invalidità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; vizio di motivazione, sotto il profilo della illogicità e insufficienza per travisamento dei presupposti della sentenza del Tribunale di Pistoia n. 579/89 con violazione ed errata interpretazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c.) i ricorrenti lamentano che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe ritenuto che con la sentenza del 1989, passata in giudicato, si sarebbe avuta una automatica sostituzione del retraente nella posizione del retrattato e di conseguenza avrebbe escluso la necessità di una pronuncia di trasferimento del bene riscattato ex art. 2932 c.c..

A loro avviso il Tribunale di Pistoia, contrariamente a quanto invece ritenuto dal giudice dell’appello, si sarebbe limitato solo all’accertamento di un diritto, ma non avrebbe disposto il trasferimento del bene.

La doglianza è infondata.

Infatti, la sentenza che riconosce la legittimità del riscatto è sentenza di mero accertamento per cui comporta la sostituzione ipso jure del retraente, senza che occorra una sentenza ex art. 2932 c.c., nella posizione del terzo nel negozio concluso e non deve contenere alcuna condanna degli acquirenti a trasferire il fondo, ma solo constatare l’avvenuto trasferimento.

Così come, essendo la sentenza di inammissibilità del gravame per inutile decorso del tempo di impugnazione, come nella specie, è anch’essa una sentenza di accertamento. Infatti, in tal caso il giudice non può che prendere atto di una causa di inammissibilità che si è verificata in momento anteriore alla proposizione della impugnazione, per cui a nulla rileva, in caso simile, che la declaratoria abbia luogo con la pubblicazione della sentenza impugnata, che abbia accertato il verificarsi ante judlclum di quella circostanza.

Ne consegue che poichè il pagamento del prezzo è avvenuto il 16 novembre 1990, tale pagamento è tardivo perchè, essendo avvenuta la notifica di quella sentenza in data 9 settembre 1989, il prezzo andava versato entro i tre mesi dalla dichiarata inammissibilità, ossia entro il 9 dicembre 1989 (v.p. 12-13 sentenza impugnata).

5. – Di qui l’assorbimento del terzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. in relazione alla L. n. 2 del 1979, art. 1 contenente la interpretazione autentica della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, commi 6 e 7 modificato dalla L. 14 agosto 1971, n. 817 e in relazione all’art.360 n.5 c.p.c. conseguente errore motivazionale) e del quinto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), che insistono sulla tematica di quando si forma il giudicato.

Conclusivamente, il ricorso va respinto e le spese, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 4.200,00, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 22 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2012

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